Uguaglianza, rispetto e speranza, passano attraverso un corso di cucina

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“In cucina funziona come nelle più belle opere d’arte: non si sa niente di un piatto fintanto che si ignora l’intenzione che l’ha fatto nascere”. Scrive così Daniel Pennac, valorizzando con vivo accento quel legame indissolubile che trattiene l’arte e la cultura all’enogastronomia.

Un’intuizione che ci sembra estremamente calzante per raccontare l’esperienza vissuta da alcune mamme, protagoniste di un corso di formazione all’interno del progetto “Prima infanzia social club – Condividendo spazi e parole” selezionato da Con i Bambini Impresa sociale nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

L’iniziativa prende il via nel 2017 grazie alla collaborazione di diversi enti partecipanti che insistono nel Rione Esquilino, uno dei quartieri più complessi e vivaci di Roma: primo fra tutti, l’Associazione Genitori Di Donato, all’interno della quale è emersa la riflessione secondo cui è fortemente necessaria un’azione collettiva per togliere da situazioni di degrado sociale i soggetti più deboli del territorio, ovvero bambini e madri in difficoltà. L’Associazione, divenuta poi il soggetto responsabile del progetto, ha potuto contare sulla preziosa collaborazione di Slow Food Roma, da anni in prima linea nel supportare lo sviluppo di forme di cittadinanza attiva, partendo dalle buone pratiche diffuse da oltre 30 anni da Slow Food, legate al cibo buono, pulito e giusto.

Ed è proprio intorno al concetto di giustizia che si articola il Corso base di cucina ed educazione alimentare, finalizzato ad aumentare la crescita professionale delle partecipanti anche attraverso nozioni e strumenti del mondo della ristorazione. Una vera e propria iniziativa di riscatto sociale della durata di 4 mesi, la cui seconda edizione ha preso il via proprio in questi giorni, alla quale partecipano donne provenienti da tanti Paesi del mondo, Nigeria, Ethiopia, Bolivia, Perù, Marocco, Senegal, Romania e Italia. La prima edizione aveva coinvolto mamme provenienti da ben 7 nazionalità distinte: Marocco, Nigeria, India, Francia, Filippine, Bangladesh e Italia.

Prima Infanzia Social Club parla a donne sole, prive di rete familiare, vittime di violenza, di tratta, residenti in stabili occupati o migranti, che si trovano a non avere un lavoro o costrette ad affrontare quotidianamente situazioni di precarietà estrema. Per tale natura e per le implicazioni che genera, ci sentiamo di definire il progetto un valido strumento di giustizia. Laddove manca equità e sostegno da parte della collettività, diventa difficile garantire una società inclusiva, educante, civile e aperta al cambiamento. A risentirne più di tutti sono i figli, in particolare coloro che appartengono alla fascia tra 0 e 6 anni e la cui educazione – appunto – è spesso trascurata: come il diritto di vivere un’infanzia spensierata, da svilupparsi all’interno di spazi ricreativi, attraverso attività sportive, iniziative ludico-didattiche e programmi di sostegno che rappresentano un valido aiuto alla genitorialità delle mamme in difficoltà. Pensando a questi obiettivi, gli enti promotori del progetto (centro didattico interculturale Celio Azzurro, l’I.C. Manin, il Municipio Roma I Centro, Università Studi Roma Tre – Dipartimento Scienze Formazione, Human Foundation) hanno sviluppato azioni e iniziative rivolte ai più piccoli, per consentire anche ai bambini di apprendere cose nuove, giocare e stare insieme agli altri mentre le mamme partecipavano al corso di formazione. Per loro, sono stati organizzati percorsi ludico-didattici, laboratori di orticoltura e artistici sulle stagionalità, passeggiate nei parchi vicini della città, lezioni di violino e minibasket.

In che modo, però, un corso di cucina può incoraggiare un processo di self-empowerment affinché queste donne possano uscire da una situazione di precarietà sociale? Per rispondere, abbiamo intervistato Caterina Bilotta, responsabile e docente del corso.

Caterina, qual è stato il tuo percorso professionale? Come sei arrivata ad occuparti di un corso di questa natura?

Dopo la laurea in biologia e un master in nutrizione clinica e dietologia, ho iniziato a lavorare presso un centro estivo in cui mi è stato chiesto di organizzare dei laboratori di educazione alimentare e ambientale per bambini. In questa occasione ho conosciuto alcune persone che facevano parte di Slow Food che mi hanno proposto di entrare nella loro associazione. Sono diventata successivamente formatrice Slow Food e, nello specifico, responsabile del progetto “orto in condotta”. In questi anni ho collaborato a diversi progetti di educazione ambientale e alimentare, rivolti a bambini ed adulti: tra questi il progetto “Prima infanzia” del quale mi occupo del coordinamento e svolgo laboratori per bambini e lezioni rivolte alle mamme.

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato iniziando il corso? Dover parlare in italiano è stato un ostacolo in tal senso?

Superata una comprensibile diffidenza iniziale, una volta avviato il corso non ho incontrato particolari difficoltà né le ho avvertite da parte loro. La lingua non ha rappresentato un grande problema, perché tutte le mamme capiscono l’italiano e riescono ad esprimersi nella nostra lingua. Milagros, una delle dodici partecipanti, un giorno ha detto “quando si cucina insieme, ci si capisce anche se si parla una lingua diversa”, esprimendo al meglio uno dei valori del progetto, per cui la cucina diventa “il mezzo più efficace per connettere persone differenti”.

In che modo un progetto rivolto alle mamme può contribuire al contrasto della povertà educativa minorile?

Credo che un tale progetto possa contribuire al contrasto della povertà educativa nella misura in cui riesci, attraverso un percorso formativo, a dare alle mamme strumenti in termini di integrazione nel nostro Paese.

Quali sono stati – se ce ne sono stati – i momenti più intensi dal punto di vista emotivo durante il corso di cucina?

Ritengo che tutti i momenti trascorsi insieme siano stati emotivamente molto intensi e arricchenti ma ricordo in particolare la gioia sui loro visi al momento della consegna degli attestati e durante la festa quando abbiamo offerto un buffet preparato da loro.

Tu eri là per insegnare, ma cosa hanno insegnato le mamme a te?

Mi hanno insegnato alcune loro ricette, ma soprattutto mi hanno trasmesso un forte senso di dignità, rispetto e gratitudine.

Conosci già qualche partecipante che è riuscita a trovar lavoro grazie al corso di cucina?

Conosco una signora che lavora in un bar e un’altra che, di tanto in tanto, prepara catering per feste, ambiti in cui possono reinvestire le nozioni apprese e far valere gli attestati di partecipazione rilasciati a fine corso. Presso la sede di Slow Food Roma, ad esempio, abbiamo affrontato i temi della sicurezza alimentare, le misure igieniche e il metodo HACCP, mentre nella seconda fase, ospiti della scuola di cucina professionale MIND di Loretta Cavallaro, le mamme hanno imparato a lavorare le farine, a fare la pasta fresca a mano e a preparare le principali ricette regionali italiane e quelle della tradizione romana.

Quali sono stati i principali valori legati a Slow Food che avete approfondito durante la formazione?

Durante il corso abbiamo cercato di fornire gli strumenti per una scelta alimentare sana e consapevole e di stimolare comportamenti di consumo più sostenibili. In particolare abbiamo approfondito il concetto di cibo “buono, pulito e giusto” e quindi l’importanza della stagionalità e del rispetto per l’ambiente.

Ad ascoltare le parole di Caterina è facile commuoversi: il suo racconto lascia spazio a un’immagine di futuro migliore per noi e per le generazioni che verranno, alle quali auspichiamo di diventare protagoniste sensibili di un cambiamento sociale fondato sulla condivisione, sull’ascolto e sulla solidarietà. Non a caso, quando le chiediamo quali sono le tre parole che secondo lei esprimono al meglio l’essenza del progetto, Caterina non esita un secondo e risponde sorridendo: uguaglianza, rispetto e speranza.

Giulia Catania

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