La paura di essere abbandonati. Dalla scuola
di Fondazione Mondo Digitale
La campanella suona anche per OpenSpace e, con il nuovo anno scolastico, riprendono le attività nelle quattro Palestre dell’Innovazione, nelle “scuole polo” di Milano, Bari, Reggio Calabria e Palermo.
A raccontarci il suo primo giorno di scuola è la formatrice Fiammetta Castagnini, in trasferta presso l’istituto comprensivo Madre Teresa di Calcutta nella periferia di Milano. Ci confessa che della sua prima classe le hanno già parlato “come di un gruppo difficile”.
Mi preparo ad affrontare l’onda che di lì a poco inonderà la stanza. Eccoli, entrano uno ammassato all’altro strozzandosi nella porta e poi corrono, come furie, verso le postazioni computer. Io in mezzo alla stanza, loro non mi vedono.
Rumore di sedie, zaini con le rotelle lasciati cadere e urla. Fissano gli schermi neri davanti a loro “come si accende?!” “posso giocare?!” “che palle, ma questo non funziona!”.
Il professore che li accompagna riprende il controllo. Io sempre dal mezzo della stanza riesco a dire solo “Ciao, sono Fiammetta”.
Ciao fanno in coro.
Ok possiamo cominciare.
“È la mia classe migliore”, ci anticipa Fiammetta su WhatsApp. Non capiamo il senso della sua espressione fino a quando non arriviamo alla fine della sua lunga mail. Intanto sappiamo che cambia ogni giorno classe ma tutte sono coinvolte nello stesso laboratorio: “Storytelling audiovisivo: tecniche di ripresa e registrazione audio-video per il racconto di una storia“. Appuntamento tutti i giorni dalle 8 alle 13, per un’intera settimana. Poi per due pomeriggi è la volta dei docenti, anche loro in formazione.
Ma ora lasciamo che sia Fiammetta a raccontarci la sua “classe migliore”. Senza più interruzioni.
Il primo con cui ho a che fare è S., 11 anni e mezzo, nichilista di professione, non gli interessa nulla, la scuola gli fa “schifo” e ci metterebbe “due bombe”. Così si esprime. È il 17 settembre e alla prima ora era già in presidenza.
Appena mi vede si lancia in un “io mi ricordo di te!”, lo riconosco anche io adesso (maggio 2019, Stem in the city). Poco dopo dichiara di non voler fare niente, sforza il mento in segno di disgusto, ma gli occhi lo tradiscono. Sono vivaci e curiosi. S. quando non è impegnato a fingere il suo disprezzo riesce a seguire tutte le attività proposte. E a lui non sfugge niente.
G. lo noto quasi subito, si siede distante da tutti, sembra più grande e ha il cappuccio della felpa calato in testa; è visibilmente rallentato, parla bene l’italiano, ma la voce non si sente, nemmeno quando si sforza. Lo sguardo è spento e anche lui di lì a breve farà la sua dichiarazione “io voglio stare da solo”, come se non lo fosse già abbastanza.
Prendo la telecamera e gli dico che da oggi lui ne sarà responsabile. Inizia a farfugliare domande che purtroppo non sento, ma ora lo sguardo si è acceso. Uno stupore brevissimo che infatti perde subito dopo. La pesantezza è più grande di lui e rimane con la videocamera in una mano e l’altra in tasca. G. ha fatto diligentemente tutte le riprese che gli ho chiesto e a fine lezione, quando l’onda di zaini colorati defluisce fuori classe, torna indietro e mi chiede se si è “meritato qualcosa”. Lo ringrazio per il lavoro svolto e lui mi chiede il nome. Poi lo chiede un’altra volta. E ancora una terza, forse ha paura di dimenticare i dettagli.
Anche E. colpisce la mia attenzione. È abbastanza agitata. Carina e minuta, sembra anche lei più grande o più intensa. La mando alla lavagna con la mia scusa preferita, quella di non poter toccare il gesso. Facciamo un brainstorming con la classe per capire su che cosa costruire il nostro video e la risposta arriva abbastanza rapidamente: la droga. Tutti da ieri mi parlano di droga. Di spaccio e siringhe. Di Rogoredo e Ponte Lambro. Questa d’altra parte è la loro emergenza. Io però dopo 4 ore di lezione con 4 classi seconde medie sono un po’ stanca di sentire tutti i dettagli al riguardo. Chiedo se ci sono centri di aggregazione, prevenzione e dopo scuola dove possano passare le giornate lontani dai boschetti vari, viene fuori così per caso che ci sono alcuni centri molto attivi, tra questi il Centro Giovani Ponte Lambro, molto apprezzato.
Ancora alla lavagna, E. alza la mano e mi racconta che anche a scuola c’è la possibilità di parlare con qualcuno, si tratta di uno sportello di ascolto, riesce persino a dire che lei ci è andata per cercare di dare un nome ai suoi problemi. Mi sembra così coraggiosa. E mentre ho paura che si sia esposta a battute e scherni, vedo i compagni seri e in ascolto…
In quel momento capisco, e mi pare di arrivare sempre in ritardo, che la loro emergenza di quartiere ne nasconda un’altra, più intima e taciuta… qualcosa che somiglia alla paura di essere abbandonati, prima ancora di ogni loro eventuale abbandono scolastico.
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