Relazione genitore&bambino: che cos’è il “tempo di qualità”?
di Comunicazione NEST
Oggi è frequente sentire dire “non è importante la quantità di tempo che si passa con i bambini, piuttosto importa la qualità”. È una frase che durante questi 2 anni di NEST anche noi operatori di Pianoterra abbiamo ripetuto qualche volta ai genitori che frequentano l’hub di Napoli, soprattutto a quelli che lavorano e che, durante i colloqui di monitoraggio o gli incontri di sostegno alla genitorialità, raccontano di sentirsi in colpa, di temere di non riuscire mai a dedicare il “tempo giusto” ai propri figli perché divorati dalla stanchezza, dallo stress, dai pensieri del quotidiano.
Ma siamo proprio sicuri che il “tempo di qualità” esista? Che esista una ricetta con dosi e proporzioni del tempo da dedicare ai bambini? Che le occasioni che i genitori si sforzano di creare per trascorrere dei momenti con i figli siano davvero momenti preziosi per i più piccoli?
Negli articoli accademici di pedagogia e scienze dell’educazione si legge che è molto importante, per un genitore che lavora, tornare a casa, lasciar perdere ogni altra cosa e dedicare del tempo ai propri figli. Il monito è di spegnere i telefoni, isolarsi dal mondo e passare almeno mezz’ora insieme ai bambini. In quel tempo null’altro deve impensierire gli adulti. Non si deve chiedere ai piccoli cosa vogliono fare ma essere sempre propositivi, inventare giochi e presentarli ai bambini.
E che succede se quel bambino in quel momento di giocare non ne ha voglia? Se si sta rilassando e basta? Deve giocare per compiacere il genitore?
Vogliamo che il bambino giochi con il genitore perché l’adulto ha deciso che questo è “tempo di qualità”? Vogliamo che il bambino si dedichi anima e corpo a quell’attività perché siamo compiaciuti di aver creato un’occasione ai nostri occhi speciale? Ai nostri occhi, appunto, ma non necessariamente a quelli del bambino.
Durante i gruppi di sostegno alla genitorialità, ultimamente, stiamo lavorando con i genitori chiedendo loro uno sforzo non indifferente, quello cioè di provare a mettersi nei panni del bambino. È in questo modo che, magari, è possibile rendersi conto che il piccolo, al rientro del genitore dal lavoro, sta facendo qualcosa che gli dà molta soddisfazione e lo fa stare bene, dal momento che un bambino può essere appagato anche se non è in compagnia di mamma e papà. Siamo certi di volere negare momenti di soddisfazione per creare quello che noi pensiamo sia un “momento di qualità”?
Proviamo, allora, a considerare che cos’è il tempo per i bambini. E’ qualcosa di diverso dal tempo degli adulti. E’ il presente, il qui ed ora, mentre gli adulti sono sempre proiettati verso il futuro, impegni, scadenze, progetti. Oppure sono ripiegati sul passato, sconfitte, rimorsi, perdite.
Il medico e pedagogista Janusz Korczak, nel suo saggio “Il diritto del bambino al rispetto”, afferma che i bambini sono portatori di alcuni diritti fondamentali.
Il primo è che bisogna rispettare il loro tempo, il presente, cioè il tempo opportuno, il kairós per i greci, opposto a krónos, il tempo di necessità, raffigurato, non a caso, come un dio che divora gli uomini. Il bambino vive le sue giornate con passione, in piena naturalezza. Vuole solo essere felice, giocare, esprimersi liberamente, fare quello che desidera.
Il bambino poi, come sostiene Korczak, ha diritto a essere ciò che è, non di essere snaturato. Lasciamolo, pertanto, vivere il suo tempo opportuno.
Proviamo a rispettare il tempo e lo spazio dei bambini, la loro originalità. Il “compito” dei genitori è quello di cercare di non riempire la vita dei figli di scadenze, attività, compiti, di non caricare le loro agende quotidiane in nome del “tempo di qualità”. Il consiglio che oggi diamo ai genitori, piuttosto, è quello di accompagnare i bambini nei loro percorsi di libertà.
Se guardiamo da questa prospettiva, il tempo con i figli non è, come spesso i genitori riportano nei colloqui di consulenza, un dovere, un gesto di responsabilità (con tanto di sensi di colpa quando si è assenti), bensì un piacere, un atto di libertà prima che di amore. Cambiare i pannolini, magari, non è il massimo, ma riuscire a giocare con i bambini mentre li cambiamo, per esempio, seguirne l’evoluzione e anche le sorprendenti riposte che spesso danno, oppure raccontare e farsi raccontare storie, non solo favole, quando ne abbiamo e ne hanno voglia, sono certo piaceri più che doveri.
Per non parlare della gioia, delle risate, della leggerezza che arrivano, per esempio, dallo stare insieme a tavola, a cena, a scambiarsi sfoghi, battute, narrazioni. A litigare, a ridere e sorridere. Un piacere vero, infinitamente superiore al gioco forzato e “di qualità”. Un piacere contagioso che, se è davvero tale, diventerà desiderio di stare insieme per tutti, genitori e figli.
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