Sperimentare la propria individualità “oltre i compiti”

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“Secondo me il senso del nostro agire è creare le condizioni migliori per l’apprendimento in termini di contesto. Il fatto che il doposcuola si svolga in una scuola, ma non dietro ai banchi, è un punto di forza perché ci dà l’opportunità di sperimentare insieme ai ragazzi quel luogo, che a volte può essere fonte di ansia, sotto una nuova luce di collaborazione. Non c’è un processo didattico verticale e unilaterale e questo contribuisce alla responsabilizzazione dei ragazzi, li accompagna in un processo di empowerment, di assunzione delle proprie responsabilità.

Il senso di questo progetto è anche la costruzione di una comunità in cui sentirsi accolti. Questo è particolarmente importante vista la fascia d’età dei ragazzi che partecipano al doposcuola. L’adolescenza è un periodo di cambiamento: quelli che ieri erano dei bambini stanno costruendo sempre di più la loro personalità e conquistando uno spazio identitario. Nel gruppo dei pari, i ragazzi non vengono riconosciuti a-priori come avviene in famiglia ma devono essere accettati “là fuori”. Per questo la creazione di uno spazio in cui sentirsi liberi di esprimersi può favorire un processo di costruzione identitaria in cui l’individualità di un ragazzo emerge dalla relazione con gli altri, fonte di rispecchiamento.

Nella relazione con i ragazzi è importante guardare al processo di apprendimento più che al risultato e fare in modo che sia il contenuto da incamerare ad essere modellato sulla base della soggettività del ragazzo, in questo modo ci saranno dei piccoli traguardi, volta per volta. Secondo me il rinforzo positivo è la chiave di accesso per molte porte, anche e soprattutto quando c’è un DSA, che spesso si associa ad una bassa autostima. L’apprendimento, come sappiamo, non è affatto un processo separato dalla sfera emotiva. Questo emerge negli atteggiamenti che i ragazzi hanno nel momento dello svolgimento dei compiti ma ce lo confermano anche le neuroscienze che rintracciano, in strutture deputate, le tracce impresse nel nostro cervello dalle nostre esperienze.

È molto importante il clima emotivo che si viene a creare durante l’apprendimento perché alla fine quella traccia emotiva rimarrà impressa nella nostra memoria insieme al capitolo di storia.

A questo proposito, il concetto di intelligenza emotiva di Goleman viene descritto come l’abilità di persistere nel raggiungimento di un obiettivo superando le frustrazioni e tenendo sotto controllo i propri stati d’animo. Il punto rivoluzionario di questa teoria fu l’affermare che questa capacità non è innata: si apprende, si modifica con l’esperienza sociale e non ha nulla a che vedere con il QI. 

Per sperimentarsi nel gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle degli altri, dei role-playing potrebbero essere molto formativi per i ragazzi, si potrebbero affrontare tematiche a scelta o episodi accaduti per mettersi nei “panni di” in un’ottica di psicoeducazione emozionale.”

Dott.ssa Martina Caiulo, psicologa e tutor dell’apprendimento 

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