Le interviste di #LiberailFuturo alla società civile: parliamo con l’autrice Luisa Mattia

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Iniziamo oggi una serie di interviste con pubblici legati al progetto #LiberailFuturo condotte da Stefano Bernardini, responsabile della comunicazione del progetto.
Ogni settimana Vi proporremo una chiacchierata informale dove discuteremo della povertà educativa, della dispersione scolastica, della necessità di creare una comunità educante e quale futuro attende i ragazzi di oggi.

Clicca qui e scopri l’intervista video.

Chi è Luisa Mattia

Luisa Mattia è autrice di diversi romanzi e coordina un progetto di scrittura per la scuola; è autrice di Melevisione e l’albero Azzurro, e di alcune altre trasmissioni per bambini di Rai YoYo. È autrice di testi teatrali e scrive sceneggiature per cartoni animati. Luisa ha vinto il premio Pippi 2006, dedicato ad Astrid Lindgren, con un romanzo dal titolo “La scelta” pubblicato dalla Casa Editrice Sinnos”. Inoltre, ha ricevuto il premio Andersen 2008 come miglior scrittore dell’anno. Infine, insegna narrativa per ragazzi a Bottega Finzioni, una scuola di scrittura fondata da Carlo Lucarelli, e collabora con alcuni settimanali e periodici specializzati in educazione e letteratura per l’infanzia e l’adolescenza.

L’intervista

Stefano Bernardini: “Allora Luisa, ora parleremo un po’ di povertà educativa. Lavori da sempre nel mondo dei bambini, nel mondo dei ragazzi e soprattutto con loro. Quello che già era uno stato di disagio sociale, come ci dicevamo anche prima, questo disagio dell’abbandono della scuola, il disagio della povertà culturale che molti giovani toccano con mano e soprattutto subiscono, in questo periodo di emergenza sanitaria causata dal COVID-19, si è andato ad amplificare e quindi in qualche modo volevamo farti delle domande per capire la società civile cosa ne pensa di questa situazione e quali possono essere le idee per uscirne”. Luisa, ti faccio la prima domanda.

Pensi che la pandemia abbia accelerato il fenomeno della dispersione scolastica oppure ha solo ribadito, anche ampiamente, quanto siano grandi le differenze in termini di accesso ai servizi per gli studenti, ragazzi che sono rimasti a casa. Quindi l’accesso a internet, la disponibilità di device ecc. Cosa ne pensi Luisa? 

Luisa Mattia: “Io penso che la povertà educativa sia un concetto molto, molto ampio che riguarda anche gli adulti. Cioè noi parliamo sempre di ragazzi, di adolescenti e del pericolo della povertà educativa. Io credo che siamo, per lo meno nella società italiana, non mi azzardo a dire europea, ma ho la sensazione che potremmo anche far riferimento alla società europea, siamo di fronte a una condizione in cui esistono strumenti diversi di informazione, o perlomeno presunti tali, esistono diverse fonti di comunicazione, esistono diverse forme di approfondimento, ma in realtà è tutto così vissuto in superficie e in maniera frammentaria da diventare un po’ una coperta corta.
Quindi il lockdown, il problema legato alla didattica a distanza, la scuola a distanza, i contenuti in remoto, io credo che più che aggravare o far emergere in maniera evidente i diversi disagi abbia complicato la situazione. L’abbia complicata perché ormai mi rendo conto, anche leggendo diversi articoli che escono sui giornali o ascoltando i diversi esperti e opinionisti nei vari talk show, si fanno avanti due scuole di pensiero, entrambe con punti di vista accettabili.
Da un lato ci sono quelli che dicono – Meno male che c’è la didattica a distanza perché sennò come avremmo fatto – evviva il computer, evviva i telefoni, evviva il tablet. Poi certo, ci perdiamo qualche pezzo però diciamo che la quota parte più importante non l’abbiamo persa. L’altra parte invece, dice in maniera altrettanto radicale – No, no ma la scuola è un’altra cosa, la scuola è relazione, la scuola è rapporti, la scuola è riflessione, è spazio condiviso, quindi quello che stiamo vivendo è un dramma educativo.
In tutto questo si inserisce, per fortuna dico io, una consapevolezza che non riguarda gli addetti ai lavori, come possiamo essere definiti noi, quindi persone che con l’infanzia e i ragazzi hanno a che fare quotidianamente con strumenti diversi e per motivi diversi, ma comincia ad affiorare una consapevolezza molto più ampia. Mi riferisco nello specifico a un libro che è uscito poco tempo fa, proprio in questi giorni, della giornalista Annalisa Cuzzocrea che si intitola “Dove sono finiti i bambini”, senza punto interrogativo che è già un segnale, cioè è sicuramente una breve indagine giornalistica che racconta in termini molto diretti tutte le inadeguatezze del nostro sistema educativo, sia a livello sociale che a livello scolastico, e qui torno all’inizio del nostro discorso. La povertà educativa non la troviamo solo a scuola, non la troviamo soltanto nell’incapacità del sistema scolastico, in generale nonostante l’impegno dei singoli, degli insegnanti, degli educatori, dei ragazzi. Noi parliamo sempre di povertà educativa ma non teniamo conto del fatto che i ragazzi coinvolti stanno dando il meglio di sé, non è vero che sono, come vengono spesso, in maniera colorita, descritti furbacchioni, che spengono la telecamera e giocano col videogioco, lo farà pure qualcuno non ho dubbi che questo possa accadere, però non mi sembra significativo comunque di una dimensione invece molto ampia in cui i ragazzi, di cui tanto chiacchieriamo e sottolineo chiacchieriamo perché manca un pensiero pedagogico ed educativo più ampio e profondo; i ragazzi stanno facendo, molto dignitosamente, la loro parte.
Questa situazione secondo me può essere l’occasione per capire cosa noi adulti non abbiamo fatto e dobbiamo ancora fare. Dobbiamo offrire delle occasioni di incontro, di formazione, di approfondimento, la povertà educativa secondo me, si combatte e si annulla con la cultura diffusa, quindi con il teatro, con il cinema, con le biblioteche scolastiche che sono ancora una realtà lontanissima dall’essere realizzata; con un coinvolgimento anche diretto dei ragazzi, cosa che manca completamente in questa fase. Si parla tanto di scuola, ne parlano i pedagogisti, ne parlano i maestri, i professori, i giornalisti, ma ai ragazzi il massimo che io sento domandare è: sei contento di tornare a scuola in presenza? Stavi meglio a casa? Segui le lezioni in pigiama?
Ecco questo secondo me Stefano è il segnale che ancora siamo molto indietro perché la percezione che si ha dei giovani è ancora una percezione paternalistica, è ancora una percezione difettosa, mancano sempre di qualche cosa questi ragazzi. Non gli si chiede mai veramente cosa vogliono fare. Io spero che il lockdown, la chiusura delle scuole a singhiozzo, vanno un gruppo, altri no, finisca presto. Mi piacerebbe molto che gli addetti ai lavori, che non siamo né io né te, parlo di quelli che sono seduti in spazi gestionali concreti, quindi investimento di denaro, investimento anche di ricerca educativa, siano capaci di accorgersi dei bambini e dei ragazzi perché, secondo me, ancora non se ne accorgo. Ne parlano, che è tutta un’altra cosa”.

Stefano Bernardini: “Quanta responsabilità hanno le famiglie, la scuola, i media in questa poca comprensione che hanno delle capacità e della voglia invece di porsi in gioco da parte dei ragazzi?”.

Luisa Mattia: “Ma quanta non so dirti. Sicuramente c’è una responsabilità, c’è una responsabilità gestionale, generazionale. Le famiglie vivono una solitudine diversa, ma comunque una solitudine. In questo momento in Italia non c’è un dibattito che consenta ai genitori, in quanto educatori dei loro figli, di ricevere supporti culturali e strutturali.
Anche perché io quando incontro i ragazzi che spesso sono estremamente critici nei confronti dei genitori e altrettanto spesso hanno ragione. Cito sempre un film di moltissimi anni fa che si intitolava “Sirene”, con la protagonista Cher insieme a Bob Hoskins. Cher è una madre bizzarra, più bizzarra delle sue figlie, perché anche le figlie non scherzano. È madre di due ragazzine di cui un’adolescente. Cerca di fare quello che può perché intorno non ha niente. È una donna sola, intelligente ma assolutamente priva di una strumentazione disponibile e, nell’ennesimo scontro con la figlia adolescente, con la figlia più piccola, dice questa frase che è di una verità profonda. Le guarda e dice: non siete nate col manuale d’istruzioni quindi non chiedetemi di non sbagliare. Non chiedete a me di essere perfetta perché io sto cercando di essere una madre decente ma non so da che parte girarmi.
Io credo che questo sia un problema vero, che si ripete di generazione in generazione per le famiglie, non hanno il manuale d’istruzioni e non ci sarà mai un manuale d’istruzioni.
Però ricordo, tanto per citare il ‘900, che ormai sembra lontanissimo ma non è così lontano, che dalla metà del Novecento, quindi dal dopoguerra fino agli anni alla metà degli anni Settanta, che invece c’è stato un investimento, pieno di difetti, ma anche di tanti pregi, per cui si cercava, da parte di chi studiava i fenomeni sociali e di chi lavorava per governare la società italiana, di rendere tutti partecipi; si parlava del ruolo dei genitori, gli si dava comunque una responsabilità che non era solo limitata alla famiglia. Adesso noi siamo quella che chiamano la società liquida, ma deve essere molto liquida, perché siamo trasportati dalle correnti in maniera evidente e questo ovviamente incide anche poi sulla qualità dei messaggi e delle comunicazioni dei media e sula scuola e tutto quel che ne consegue. Quindi ci vorrebbe un bel gruppetto di filosofi, la butto lì come provocazione, non la filosofia politica ma la filosofia della vita e la filosofia dell’educazione, recuperando alcuni principi fondamentali. Io in questi giorni, per lavoro, sto rileggendo Mario Lodi, sto rileggendo i libri della Montessori, ci sono dei principi dentro che sono assolutamente attuali e che andrebbero rimodulati, rimessi in movimento, resi dinamici in una società come la nostra. Attualmente siamo in una società che lavora molto per compartimenti stagni, nonostante noi viviamo in rete; però la rete non c’è e questo è quello che paghiamo in termini di inadeguatezza educativa in senso lato”.

Stefano Bernardini: “Molti esperti di neuroscienze indicano che è essenziale, per la comunità scientifica, per chi lavora nelle scuole, per la famiglia, per le comunità educanti, valutare e analizzare l’impatto psicologico causato dalla pandemia da coronavirus sui bambini e sugli adolescenti. Secondo te qual è stato e qual è oggi l’impatto emotivo diretto di questi lockdown, della didattica a distanza sui bambini e sui ragazzi?”

Luisa Mattia: “Devo dirti che per l’esperienza che ho avuto io, ovviamente non ho fatto didattica a distanza, però sia l’anno scorso che quest’anno continuo a fare tantissimi incontri on-line con gruppi di classi, gli ultimi proprio due giorni fa. Io ho la sensazione che da un lato si tenda a far emergere il disturbo adolescenziale. È vero che ci sono molti ragazzi che stanno a distanza di tanto tempo segnalando disagi, sofferenza e anche qualche piega seria che li porta a chiudersi in casa invece che uscire. Molti ragazzi arrivano a dire – evito il contagio ma evito anche il contatto – che è un’altra dimensione ancora. In generale, devo dirti che io ho la sensazione che i nostri bambini, i nostri ragazzi, e lo dico a ragion veduta perché leggo tante cose che loro scrivono e hanno scritto anche l’anno scorso sulla loro esperienza di lockdown, che sono consapevoli di quello che non hanno potuto praticare come consuetudine quotidiana, abitudine, relazioni. È chiaro che a un bambino, un ragazzo manca la relazione diretta, non solo con i parenti ma anche con gli amici, per cui sentirsi un po’ colpevole se vede un amico o a rischio se vedo un amico, sicuramente, da un punto di vista psicologico, incide. A me sembra che stiano reagendo al lockdown e a questa inattesa esperienza; inattesa per loro ma anche per noi. Nessuno avrebbe mai pensato e predetto a Capodanno 2019 un anno e mezzo di pandemia da virus: era un’idea proprio lontanissima. Potevamo pensare alle catastrofi ambientali, che la Corea del Nord lanciasse una bomba atomica, quello arrivavamo a pensare ma altre cose no. E invece stiamo facendo i conti con un dato di realtà che è molto più diffuso ed esteso.
A me sembra che i ragazzi, i bambini siano molto più concreti di noi. Siamo noi adulti più insofferenti, siamo noi adulti più lagnosi, siamo noi adulti più preoccupati. I ragazzi fanno il conto alla rovescia, magari esplodono e dicono “che palle”, o qualcosa di più greve o pesante.
Comunque, bene o male io trovo che siano di un’autodisciplina meravigliosa da cui dovremmo prendere esempio. Non li vedo patire in questo momento. È chiaro che se noi finita questa emergenza, faremo finta che non ci sia mai stata, allora sì che faremo danno. Faremo un gigantesco danno ai piccoli come ai grandi, facendo finta che il tutto come prima torni esattamente come prima.
Io sto preparando un libro, non scritto da me, ma scritto dai ragazzi in cui mi misuro con le cose che loro hanno scritto e lì vedo soluzioni, non problemi, vedo una consapevolezza, una lucidità che dice: viviamo le nostre giornate, quando finirà tutta questa emergenza vivremo e vorrò vivere la mia giornata con semplicità, senza troppi accumuli di chissà che cosa. Poi però attenzione certe cattive abitudini, io non le voglio riprendere. Dovremo fare attenzione al clima.
I ragazzi fanno un progetto politico Stefano e sono bambini quelli che sto leggendo. Io in questo momento sto leggendo bambini di 8-9 anni che scrivono un programma politico molto chiaro, senza troppi giri di parole, perché, giustamente, loro ti dicono abbiamo capito dov’è il problema, abbiamo capito quali sono stati gli errori e che ci vuole? ti dice un bambino. Hai capito dov’è che sbagli. Del resto, l’esperienza che hanno giornalmente a scuola, in casa, gli si insegna ad imparare dagli errori, e così i bambini imparano.
Noi no, noi torniamo a sbagliare, noi abbiamo sovrastrutture che ci consentono di non capire gli sbagli che facciamo.

Stefano Bernardini: “Da qui ti faccio l’ultima domanda ma poi vorrei approfondire quello che stavi dicendo riguardo il programma politico dei bambini!
Come evidenziato proprio da Con i bambini, che promuove questi progetti tra cui appunto il progetto #liberailfuturo. La povertà educativa è strettamente legata alla povertà economica, impedisce a bambini e ragazzi di avere accesso alle opportunità che potrebbero garantire loro anche una crescita sana, dei singoli individui, dei singoli bambini, dei singoli ragazzi. Istruzione, accesso ad internet, percorsi formativi, servizi per l’infanzia, sport, luoghi di aggregazione, educazione musicale, artistica, culturale e naturalmente anche la cura della salute. A causa della povertà educativa il potenziale di tanti giovani forse rischia di rimanere un po’ schiacciato, ai margini. Secondo te quali dovrebbero essere le azioni che andrebbero poste in campo per contrastare questo fenomeno, quello che si dice l’ascensore sociale, in fondo se non lo prendi da ragazzo non lo prendi più forse; dove c’è nella società la possibilità di scalare attraverso la professione, attraverso le proprie scelte di vita di fare degli upgrade individuali di crescita”.

Luisa Mattia: “Guarda io chiaramente non ho una soluzione però penso che tutto quello che tu hai elencato debba essere una sorta di progetto trasversale a tutte le politiche che sono in atto o che si metteranno in atto.
Il punto è che, l’ho imparato grazie all’Arciragazzi a Carlo Pagliarini negli anni ‘90, noi viviamo ancora in una dimensione culturale in cui i ragazzi non sono considerati una categoria sociale, sono considerati un transito, un passaggio, mentre questo è un progetto che sociologicamente dovrebbe essere invece acquisito. È vero che un bambino cresce, diventa un adolescente, un giovane, un adulto eccetera eccetera, ma bambini, si spera ce ne saranno sempre, adolescenti ce ne saranno sempre, quindi il nostro stato sociale, come lo chiamano il Welfare, dovrebbe prevedere non solo sussidi, come spesso succede, quando si parla di servizi educativi, a me sembra, ed è una impressione che va replicandosi di anno in anno, che le politiche siano un po’ come chi arriva col secchio se dal tetto scende l’acqua e dice – adesso ho messo il secchio così l’acqua non allaga il pavimento. A me sembrano delle toppe, sembrano un po’ come le toppe delle strade di Roma, dove però la strada rimane dissestata. Io credo che la considerazione delle cosiddette nuove generazioni, che hanno facce, nomi, esperienze, debba essere, dovrebbe essere, e non è, al primo posto di tutti i programmi politici, di tutti i partiti, senza distinzione di schieramento. Mi preoccupa che questo non ci sia. Per esempio, una cosa che noi viviamo, e chi lavora anche nei servizi educativi di sostegno intorno, come chi lavora per Arciragazzi conosce bene, accade che viviamo in una condizione di interventi che vengono resi progettuali e transitori da un lato, ma non si lavora per creare realtà stabili, non si lavora per intervenire sull’emergenza ma per prevenire l’emergenza, tutto questo è fondamentale Stefano e manca nella politica. Mi stupisce che non ci sia nel programma dei partiti una sezione che non è scuola e basta, ma che sia scuola e poi da un’altra parte, infanzia, adolescenza, giovinezza. In genere quando si parla di adolescenti li si accorpa sempre alla scuola, questo è. Non è la stessa cosa, la scuola è un pezzo. Tu Stefano sai meglio di me, lavorando nel settore dell’educazione, che la scuola può essere un anello importantissimo, ma non l’unico di una formazione giovanile che deve avere altre possibilità, ci deve essere una società dinamica che invece di girarsi verso il pensionamento, parliamo solo di pensioni, parliamo solo di adulti belli stagionati e poi si parla di giovani, di emergenza giovani. Io sono stufa di sentir parlare di emergenza giovanile, sono proprio stufa di sentire questa parola, perché vuol dire continuare a volersi occupare della punta dell’iceberg e non pensare a una politica educativa e sociale per l’infanzia, l’adolescenza e i giovani che sia veramente, così come tu elencavi prima, efficace e consolidata. Non può essere che oggi apro un centro giovanile, però tra un anno lo chiudo perché è finito il progetto; questo è il nostro male. Se qualcosa funziona ne faccio un qualcosa di consolidato, non è il fidanzamento di un’Estate.

Stefano Bernardini: “Luisa, intanto grazie per essere stata con noi e grazie per questo confronto. Mi piacerebbe sentirci per una prossima intervista ed approfondire quel discorso sul programma politico dei bambini e delle bambine, mi ha incuriosito molto”. 

Luisa Mattia: “Si, devo dire che è molto interessante, ed essenziale. I bambini sono molto diretti, concisi”.

Stefano Bernardini: “Grazie Luisa Mattia, grazie mille. Buon lavoro”.

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