Le Interviste di Libera il Futuro | parliamo con la Dottoressa Chiara Agostini
di Arciragazzi Roma
Il progetto #liberailfuturo riprende il suo percorso di interviste con esperti del settore. Oggi intervistiamo la Dottoressa Chaiara Agostini. La presentiamo in questa intervista realizzata dal responsabile della comunicazione del progetto Stefano Bernardini.
Chi è Chiara Agostini?
La Dott.ssa Chiara Agostini è ricercatrice del Laboratorio “Percorsi di Secondo Welfare”; Dottore di ricerca nelle Analisi delle Politiche Pubbliche; si è occupata della relazione tra sistemi di welfare e sistemi dell’istruzione e inoltre è molto concentrata sulle politiche di contrasto alla povertà, di conciliazione e per l’infanzia.
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Dunque, cosa si intende con povertà educativa?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Intanto faccio una premessa. La povertà educativa è un concetto relativamente nuovo, ha meno di dieci anni di vita, guardando l’Italia. Nel 2014 Save the Children ha lavorato tanto su questo tema con un gruppo di esperti e ha definito la povertà educativa come tutto quel processo che fa riferimento alla condizione di privazione a cui sono sottoposti i bambini e ragazzi rispetto alla loro possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire quelle che sono le loro capacità e aspirazioni che possono avere riguardo il loro futuro. In Italia, come dicevo, è una problematica più recente e dal 2016, da quando è stato istituito il Fondo per il Contrasto alla Povertà Educativa, vengono finanziati molti progetti sul tema, che è ormai condiviso e conosciuto da chi si occupa di politiche di welfare. La povertà educativa è un concetto con origini più antiche, che possiamo rintracciare nelle politiche europee degli inizi degli anni ’90 e che hanno promosso l’adozione di un approccio alle politiche sociali che non fosse più riparativo, cioè intervenire a posteriori quando emergono dei bisogni, ma in una prospettiva chiamata “dell’investimento sociale”, che vede come le politiche sociali devono intervenire in una logica preventiva, mettendo le persone in condizione di poter far fronte al proprio futuro in maniera adeguata. Da qui parte una particolare attenzione ai bambini e all’istruzione, in particolare all’istruzione nella prima infanzia.
STEFANO BERNARDINI: Come si manifesta la povertà educativa e soprattutto come si misura?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Dal 2014 l’Indice di Povertà Educativa elaborato da Save the Children poggia su una serie di indicatori. Tra questi, è interessante notare che, ci sono sia indicatori “solidi” che hanno a che fare con l’istruzione in senso stretto e quindi con il sistema scolastico come per esempio: la possibilità di usufruire del tempo pieno, l’accessibilità alle mense scolastiche, gli abbandoni scolastici etc… etc. E poi ci sono una serie di indicatori che fanno riferimento alle opportunità culturali, ricreative e di socializzazione dei ragazzi come: la possibilità di partecipare a concerti, mostre, cinema, eventi teatrali, accedere a internet, leggere un libro.
Questo ci consente di capire che la povertà educativa non è solo legata al sistema scolastico e dunque alle competenze che si acquisiscono tramite l’istruzione, ma anche proprio in merito alle possibilità di accrescere le opportunità culturali rispetto all’ambiente in cui si vive.
STEFANO BERNARDINI: Dietro la povertà educativa si celano una serie di problematiche e tra queste l’isolamento e la deprivazione; cosa vuol dire?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Sono sicuramente due termini chiave che ci aiutano a definire sempre meglio il concetto di povertà educativa. L’isolamento è centrale nel momento in cui guardiamo alla povertà educativa in senso ampio. Quindi non guardiamo solo agli indicatori relativi alla scuola e al percorso d’istruzione, ma, guardiamo a tutte le possibilità e opportunità formative che avvengono nel contesto in cui si vive. Allora è chiaro che l’isolamento è un elemento che favorisce la povertà educativa. Perché, se io sono socialmente isolato per qualsiasi motivo, per esempio ho un background migratorio e dunque la mia famiglia ha difficoltà ad integrarsi nella società; è chiaro che io, pur andando a scuola regolarmente, dovrò prendere in considerazione che anche le opportunità ricreative culturali e di socializzazione al di fuori dell’orario scolastico saranno più ridotte rispetto ad altri.
STEFANO BERNARDINI: La interrompo un attimo… quindi in questo contesto di emergenza sanitaria da covid-19 abbiamo avuto moltissimi casi di isolamenti da parte di bambini e ragazzi e avrà sicuramente influito…
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Si, io mi sento di dire che la condizione di deprivazione culturale ed educativa che si è creata con il covid-19 non mi sembra che abbia precedenti nella storia più recente. Questo avrà purtroppo un impatto sul futuro, di cui oggi ancora non riusciamo a cogliere pienamente i lati negativi, dato che sono processi di lungo periodo; ma è chiaro che un’influenza sui tassi di abbandono scolastico, il fenomeno dei neet, in un paese in cui tali fenomeni erano già presenti prima della crisi, purtroppo cresceranno a causa della crisi. A proposito della crisi mi lego al concetto di deprivazione che mi ha esposto prima. Secondo me la deprivazione è una parola chiave che pone in evidenza il nesso tra povertà educativa e povertà materiale. Tra la povertà educativa e quella materiale c’è un circolo vizioso: laddove bambini e ragazzi vivono in contesti di povertà materiale, hanno purtroppo meno opportunità di partecipare alla vita sociale e ricreativa, culturale e sportiva. Ciò porta ad una situazione di deprivazione educativa che nasce da un contesto di deprivazione materiale che in qualche modo è destinato a generare nuova povertà materiale. Perché, se oggi non sviluppo quelle competenze necessarie per il futuro, avrò ovviamente un futuro più complesso….come per esempio l’inserimento nel mercato del lavoro. Questo fa si che la mia povertà educativa determini povertà materiale nelle generazioni successive. In un circolo vizioso che purtroppo tende ad autorinforzarsi.
Questo si lega alla pandemia perché diciamo che già dal 2008 i tassi di povertà infantile sono cresciuti in maniera enorme e più rapidamente rispetto ai tassi di povertà della popolazione in generale; l’arrivo del covid ha aumentato questi tassi.
STEFANO BERNARDINI: Dottoressa intanto grazie per questo percorso di consapevolezza e conoscenza che ci consente una maggiore comprensione. Quali soluzioni si possono porre in campo per contrastare la povertà educativa?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Partendo secondo una logica di lungo periodo e guardando dunque ai piccolissimi, la letteratura dice da sempre che l’educazione nella primissima infanzia è centrale. I bambini provenienti da famiglie svantaggiate, riescono ad uscire più facimente dal “circolo vizioso” solo se entrano nei circuiti dell’istruzione ed educazione sin dai primissimi anni di vita. Per convenzione parlo principalmente dei nidi, perché sono i servizi più corposi, ma esistono altri tipi di esperienze sulla primissima infanzia non collegati al nido e sono altrettanto importanti. E’ evidente che bisogna agire in fase prescolare. Perché quando un bambino arriva alla scuola elementare con un background fragile, che si porta dietro dai primi anni di vita, come per esempio la difficoltà di parlare la lingua, si dovrà di conseguenza compensare molto, molto di più le lacune dell’esperienza prescolare.
L’educazione della primissima infanzia da noi è considerata come una politica di conciliazione. Entrano nei nidi i bambini i cui i genitori lavorano, e che hanno la possibilità di sostenere le spese del nido. Ecco perché l’accesso al nido è sempre collegato alla capacità economica delle famiglie. Se pure le rette sono parametrate ai redditi, l’Istat ci dice che nei bambini che frequentano i nidi sono sovra rappresentate le famiglie a reddito e titolo di studio più alto e i cui entrambi i genitori lavorano. Quindi il bambino a rischio di condizione di povertà educativa è colui che purtroppo non partecipa all’educazione della primissima infanzia.
STEFANO BERNARDINI: Dottoressa Agostini come possono cambiare queste cose?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: E’ molto complesso perché da un lato bisognerebbe potenziare l’offerta aumentando i posti nidi, per esempio, e non concepirla più come politica di conciliazione. E iniziare ad interpretare l’educazione prescolare come parte integrale del sistema d’istruzione. Allo stesso modo bisognerebbe agire sulla domanda, perché c’è una resistenza culturale nel concepire l’educazione 0-3 anni come una politica educativa, come opportunità di crescita, sviluppo, inclusione e interazione con la società.
STEFANO BERNARDINI: Guardando invece al breve periodo, dunque ai ragazzi di oggi e alle loro problematiche causate e peggiorate dalla pandemia, quali soluzioni dovrebbero essere poste in campo per aiutarli?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: Ci sono tante iniziative interessanti, come per l’appunto quella di “Con i Bambini” e del “Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa” e tutte quelle che vanno nella direzione di costruire comunità educanti e patti educativi di comunità, che sostanzialmente rimandano a quell’idea che la scuola si deve aprire verso il territorio. Questo si lega anche all’idea di come la povertà educativa non va vista solo come alla possibilità di usufruire di percorsi scolastici adeguati, ma si traduce in un discorso, come già detto, più ampio. Allora tutto questo si traduce nella scuola. La quale potrebbe essere ripensata come luogo aperto al territorio, in cui l’interazione con il territorio facilità la moltiplicazione di opportunità non legate solo all’istruzione, ma anche alla possibilità di fruire di attività culturali e ricreative che possono essere fruite negli spazi della scuola oltre che con le realtà presenti nel territorio, come associazioni, etc. etc. . Qui si collocano le esperienze di scuole aperte oltre l’orario scolastico, per la realizzazione di attività ricreative extrascolastiche che arricchiscono il percorso formativo. Tra l’altro questa idea rimanda a un’idea generale di attivazione della comunità. Io credo molto che sarebbe importante sostenere le forme di mutuo aiuto, cioè famiglie che si autosostengono. Faccio un esempio banale: ci sono bambini più in difficoltà nel fare i compiti, per esempio, a causa di problemi di barriere linguistiche. Se si recassero a casa di altre famiglie per farli, sarebbero supportati da forme di mutuo aiuto. Queste semplici azioni favorirebbero i bambini non solo a fare meglio i compiti ma anche alla socializzazione ed inclusione. Attenzione però! Questo non significa lasciare tutto in mano alle sole famiglie e all’auto aiuto perché non sarebbe sufficiente. Sono processi che vanno governati da soggetti dedicati, come la scuola. Sarebbe interessante governare dei processi in cui il mutuo aiuto è sostenuto da soggetti esterni, quindi dalle scuole o da soggetti che vi lavorano e che in questo caso aiutano a mettere in comunicazione le famiglie a fare cose semplici ma che necessitano di coordinamento.
Un altro punto è la partecipazione giovanile studentesca mirata a ragazzi più grandi e qui la letteratura ci dice che la partecipazione è fondamentale per un miglior rendimento scolastico perché i giovani che partecipano sono in genere quelli che vanno meglio a scuola. Dunque la partecipazione dovrebbe essere incentivata sia all’interno che all’esterno della scuola. Questo è un tema centrale perché nella pandemia è emersa la richiesta dei ragazzi di essere ascoltati.
L’ultimo punto che vorrei citare è l’innovazione della didattica. Anche qui gli studi ci sottolineano quanto sia importante una didattica più inclusiva e partecipativa non solo basata sulla trasmissione verticale dei saperi, ma ponendo al centro i ragazzi per stimolarli verso un loro pensiero critico ed evitare la dispersione scolastica. Sarebbe molto interessante veicolarlo tramite strumenti digitali. La digitalizzazione della scuola non può e non deve essere pensata in termini di D.A.D.. Ma come strumento che può favorire l’innovazione della didattica, pensando a metodi di insegnamento che favoriscano l’inclusione sociale ed evitino la dispersione scolastica, attraverso strumenti e linguaggi più vicini ai giovani, per un più facile coinvolgimento. In termini di lungo periodo questi processi di digitalizzazione potranno favorire anche in futuro i ragazzi stessi ad avere competenze digitali utili per l’inserimento nel mercato del lavoro. Quindi c’è un doppio risultato che incide positivamente sul presente, in merito al coinvolgimento dei ragazzi, e soprattutto offrendo loro, strumenti per affrontare un domani in cui la digitalizzazione sarà chiaramente centrale.
STEFANO: Ma quali sono le resistenze che si incontrano rispetto anche a queste idee che ci sta illustrando?
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: C’è sicuramente questo modello trasmissivo che è molto consolidato, cioè l’idea che la scuola sia la didattica ed il programma. Questa è un’idea difficile da smuovere. Servirebbe anche ripensare gli spazi. La stessa sistemazione della classe e alla disposizione dei banchi e la cattedra sono pensati per quel tipo di didattica li. Andrebbe un po’ ripensato tutto. Però mi sento di dire che a fronte di queste resistenze, ci sono tante esperienze di innovazione, come quella dell’avanguardia educativa mirata sulla digitalizzazione, che ci mostra sperimentazioni innovative, e tanta gente a partire dagli insegnanti, che si mette in gioco con nuove modalità. La pandemia, per l’appunto, ha probabilmente creato un’accelerazione e costretto tutti a fare i conti con il digitale.
Molti esempi positivi esistono e a me piace pensare positivo. Da questo punto di vista con i grandi danni della pandemia e della D.A.D possiamo portarci a casa un salto rispetto la digitalizzazione, che costringe ad un ripensamento della didattica. Non capiterà ovunque, ma forse potrà iniziare a verificarsi in molti contesti
STEFANO: Dottoressa la ringrazio della sua presenza e della sua visione in merito alla povertà educativa. La invitiamo a condividere con noi la sua intervista non appena sarà online sui canali di #liberailfuturo. Grazie e buona giornata!
DOTT.SSA CHIARA AGOSTINI: La ringrazio.
Ringraziamo la Dottoressa Chiara Agostini per questa intervista!
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