Le interviste di Libera il Futuro | parliamo con il Professor Carlo Barone

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Il progetto #liberailfuturo riprende il suo percorso di interviste con esperti del settore. Oggi intervistiamo il Professor Carlo Barone, interessato da sempre allo studio e alla ricerca. Lo presentiamo in questa intervista realizzata dal responsabile della comunicazione del progetto Stefano Bernardini.

Chi è Carlo Barone?
Carlo Barone è attualmente professore ordinario presso L’Observatoire sociologique du changement du Sciences Po. I suoi principali interessi di studio sono le disuguaglianze sociali nell’istruzione: il ruolo del contesto familiare, di genere e origini migratorie. Il mercato del lavoro che torna all’istruzione e il ruolo dell’istruzione per la mobilità sociale, in prospettiva dinamica e comparativa. Infine esperimenti sociali di ricerca educativa, di politiche educative e di valutazione dell’impatto delle politiche.

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L’intervista

STEFANO BERNARDINI: Allora professor Barone, cosa si intende per povertà educativa? Come si manifesta?

PROF. BARONE: La povertà educativa si manifesta in quell’insieme di condizioni di contesto: contesto familiare o più ampiamente contesto territoriale che, sin dalla prima infanzia, riducono le possibilità di sviluppare quelle competenze, capacità e conoscenze necessarie per riuscire a scuola e poi per inserirsi nel mercato del lavoro e nella società. Quindi il concetto di povertà educativa mette al centro dei nostri ragionamenti di policy, la dimensione dell’imparare, dell’apprendere… per riuscire prima a scuola e nella vita e nel mercato del lavoro. Dall’altro lato ci invita a prendere in considerazione in che misura le difficoltà di apprendimento siano legate al contesto familiare e ancora di più a quello territoriale.

STEFANO: Quanta responsabilità hanno le famiglie, la scuola, i media nei comportamenti dei giovani che abbandonano la scuola e che trovano per questo maggiori difficoltà a crescere soprattutto da un punto di vista culturale ed educativo?

PROF. BARONE: In Italia i tassi di abbandono scolastico sono particolarmente elevati rispetto agli altri paesi europei. Tale abbandono è collegato alla grande difficoltà di inserimento occupazionale e sociale e più ampiamente ai rischi di comportamento deviante più elevato.

Come valutare il peso dei differenti attori? E’ una questione molto complessa. Sappiamo che il contesto familiare e dunque il reddito e il livello di istruzione dei genitori sono una determinante molto forte del rischio di abbandono precoce. L’influenza della posizione sociale dei genitori agisce praticamente già quando nasciamo. Nel senso che le difficoltà economiche e occupazionali dei genitori, ad esempio, si traducono in minor investimento nello stimolare le capacità di apprendimento dei propri figli in giovanissima età.

Sappiamo che i genitori più istruiti hanno un vocabolario più ricco e dialogano con i propri figli incitandoli a sviluppare un dialogo e un’interazione. Quindi gli stimoli che questi bambini ricevono sin dai primi anni di vita creano le basi per apprendere di più, soprattutto a scuola.

La dimensione socio economica è molto legata anche a quella migratoria. Per tali famiglie le difficoltà possono essere legate anche alla poca conoscenza del sistema educativo del paese dove si trasferiscono; alla lingua e di conseguenza all’apprendimento delle dinamiche sociali, politiche ed economiche da trasmettere poi ai propri figli.

Il problema però è ancora un altro. Cosa fa l’Italia per aiutare e sostenere i bambini che vivono in contesti come questi e le famiglie meno attrezzate economicamente e culturalmente per accompagnare i propri figli? In questo senso la responsabilità è più dalla parte dei policy maker che da quello delle famiglie.

STEFANO: Che relazione c’è tra i divari educativi e il mancato sviluppo dei territori?

PROF. BARONE: In Italia, come ho già detto prima, rispetto agli altri paesi europei il tasso di abbandono scolastico è più elevato, soprattutto nel sud Italia. Sappiamo che tali rischi riflettono dei divari di competenze e capacità di apprendimento dei bambini sin dalla scuola elementare. In determinate regioni del sud Italia tali divari ci sono sin dall’inizio della carriera scolastica. Si trascinano lungo tutta la scuola primaria e secondaria inferiore, traducendosi poi in rischi di abbandono più elevati come quello universitario.

Per quanto riguarda il ruolo dei territori sappiamo che il livello di istruzione, difficoltà economiche e problematiche occupazionali delle famiglie nel sud Italia in media è più basso. Questo si riflette in difficoltà di apprendimento per i bambini.

Un altro fattore messo in evidenza dalla letteratura è la motivazione ad imparare. Ciò significa che, sei vivo in un contesto territoriale dove posso aspettarmi che se studio e acquisisco delle competenze queste saranno riconosciute e valorizzate nel territorio in cui mi trovo per cercare un lavoro, ho una motivazione reale e tangibile ad apprendere.

Se prefiguro il mio futuro, che io impari o no, che io studi o mi laurei o no, comunque le opportunità sono limitate, chiaramente anche la motivazione ad apprendere sarà minore. Il ruolo dei territori si gioca a monte dal punto di vista delle risorse socio economiche, dei rischi di povertà economica e culturale delle famiglie. A valle invece nella motivazione ed incentivi che si possono offrire ai giovani per imparare e per investire in istruzione.

STEFANO: E in Francia invece?

PROF. BARONE: In Francia si fa molto di più. In uno studio comparativo che ho fatto ho notato che l’Italia entra nel podio dei paesi europei più diseguali in termini di incidenza del contesto familiare sulle opportunità di studio. Che cosa fa la Francia di più dell’Italia? Moltissime cose. Ad esempio, abbiamo parlato delle difficoltà sin dall’infanzia. In Italia è scarsa la diffusione ed il sostegno degli asili nido e anche l’accessibilità economica in termini di posti disponibili in tali strutture. Altro fattore è l’investire molti più soldi nelle scuole situate in quartieri e in contesti svantaggiati. Cosa che in Francia, per esempio, nelle scuole come queste sono presenti almeno il doppio degli insegnanti nei primi due anni di elementari e con una didattica più personalizzata.

STEFANO: In che modo l’abbandono influisce sulla formazione dei cittadini del futuro? Quali soluzioni si possono attuare per aiutare i giovani a contrastare la povertà educativa?

PROF. BARONE: Secondo uno studio degli ultimi anni si è dedotto che è necessario un gruppo sperimentale e di controllo per effettuare esperimenti sociali che testino gli impatti delle diverse politiche.

Sappiamo che la disponibilità degli asili nido impatta; prevedere programmi di accompagnamento educativo ai genitori impatta positivamente. Per esempio nei primi anni di vita sviluppare un vocabolario ricco è assolutamente importante per un bambino perché avere parole significa avere anche un pensiero più ricco. Uno strumento concreto per stimolare i bambini è la lettura, quindi ogni sera leggere una storiella ai propri figli è assolutamente necessario. Un’attività, tra l’altro, che i genitori altamente istruiti fanno molto di più rispetto a quelli meno istruiti. Dispositivi che spiegano i benefici della lettura sin dalla prima infanzia accompagnano i genitori meno istruiti rispetto a come leggere, fornendogli anche libri. Dunque una serie di interventi: sia negli asili nido, sia a livello di accompagnamento dei genitori, sin dall’infanzia che è il momento decisivo per sviluppare le competenze dei bambini; investire di più nel sostegno scolastico nei primi anni delle elementari; rafforzare l’orientamento scolastico che è uno degli anelli deboli in tutti i livelli di istruzione in Italia e sulla poca trasparenza e poche informazioni su quanto costa studiare, sui benefici delle lauree e sulla consapevolezza dell’avere una preparazione adeguata al percorso di studi da scegliere.

STEFANO: Per quanto riguarda i bambini stranieri che hanno maggiori difficoltà nell’integrarsi e il cui tasso di abbandono scolastico è superiore a quello dei nativi, cosa si può fare per invertire la tendenza?

PROF. BARONE: I bambini stranieri cumulano un duplice deficit: da un lato i genitori stranieri in Italia, rispetto agli altri paesi, sono spesso impegnati in lavori sottopagati e instabili, spesso con contratti in nero. Quindi, quando parliamo di svantaggio dei bambini stranieri, dobbiamo prendere in considerazione la situazione dei genitori in merito allo svantaggio economico e culturale legato alla poca conoscenza della lingua e delle questioni politiche e sociali del territorio in cui si trasferiscono. Quello che penso è che da un lato la disuguaglianza delle “classi sociali” e quelle relative ai bambini stranieri sono dinamiche molto legate tra loro. Se vogliamo offrire maggiori opportunità ai bambini stranieri bisognerebbe offrire innanzitutto maggiori possibilità occupazionali ai loro genitori e favorire il loro reddito. Il secondo punto è l’intervento al sostegno delle competenze linguistiche dei genitori, cosa che in Francia fanno.

L’orientamento è fondamentale anche perchè i genitori stranieri hanno poca conoscenza del sistema educativo e non sono in grado di indirizzare i propri figli nel loro percorso di studi.
Per fare un esempio concreto: sappiamo bene che un percorso di scuola in un istituto tecnico o liceo apre le porte all’università, ma i tassi di abbandono universitario sono più alti per quanto riguarda ragazzi provenienti da istituti tecnici. In questo caso i genitori stranieri non conoscono queste dinamiche a causa di una scarsa informazione di orientamento scolastico dunque hanno bisogno di un maggiore accompagnamento.

STEFANO: Bene professor Barone, è stato molto esaustivo. La ringraziamo per questa sua gradita presenza nel progetto #liberailfuturo. La aggiorneremo anche sugli sviluppi del nostro progetto.

PROF. BARONE: Mi fa assolutamente piacere. Grazie!

Ringraziamo il Professor. Carlo Barone per questa intervista!

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