Attraversare il conflitto. Annullare il potere. In dialogo con Dario Davì

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Cos’è il bullismo e quale rapporto ha con la disabilità?

Se al primo interrogativo rispondono molte ricerche scientifiche, altrettanto non si può dire per la seconda domanda. Hanno provato ad affrontarla Giovani Merlo, Ledha, con Dario Davì, psicologo psicoterapeuta e autore del libro “Bullismo e disabilità. Riconoscere le differenze. Attraversare il conflitto. Annullare il potere”.

Nel bullismo e disabilità occorrono maggior sensibilizzazione, informazione ed esplorazione rispetto al bullismo “puro”. Secondo Dario Davì il miglior modo per prevenire il fenomeno è osservare ed esplorare il contesto di azione, ponendosi delle domande: cosa significa per me bullismo? Cosa significa subire? Cosa si intende per disabilità?”.

I comportamenti del bullo infatti si basano infatti sulla “non conoscenza” che lo portano ad utilizzare sovente  “le parole” come armi per colpire con violenza all’interno di una relazione in cui non è condiviso il significato delle parole stesse. Ad esempio, la parola autistico può essere vissuta in modo diverso a seconda del rapporto che intercorre tra le persone: come un’offesa o con molta serenità.

Appellando come autistico uno studente, l’insegnante riduce l’identità del ragazzo unicamente a questo aspetto, non riconoscendone altre qualità o caratteristiche. Al contrario, non riconoscere l’autismo significa non vedere una parte dell’identità della persona. Per comprendere dunque il vero significato e peso delle parole, bisogna contestualizzare la dinamica. Sicuramente, dove vi è una relazione profonda aperta, qualsiasi parola può essere usata senza diventare mezzo di offesa.

Ma quali sono le strategie per prevenire e ridurre i fenomeni del bullismo, nei confronti dei giovani con disabilità ma non solo?

Le parole chiave stanno nel sottotitolo del Libro di Davi: annullare il potere (quando serve per escludere) e distribuirlo trasformandolo in leva positiva.

Nella dinamica base del bullismo il potere è esercitato come modo di acquisire tempo e spazio, è un tentativo del cosiddetto bullo per mostrarsi, per essere “visto”; distribuire potere significa trasformarlo in una risorsa del gruppo che riconosce le individualità e le valorizza creando un contesto solidale.

Concretamente secondo Davi si dovrebbe agire, innanzitutto, sulla conoscenza delle differenze e reciproca. Educare alla differenza dovrebbe essere una decisione assunta a monte dall’intero collegio docenti e poi declinata da ciascuno insegnante nel suo specifico ambito disciplinare.

Si dovrebbe poi favorire la conoscenza reciproca: tutti, anche i ragazzi con fragilità dovrebbero avere la possibilità di presentarsi agli altri, magari concordando prima con la famiglia e fornendo i supporti necessari a chi non ha voce.

La presentazione al gruppo da parte di ogni studente è utile per avere dei ritorni identitari e favorisce l’empatia che manca invece nel bullismo.

Mettere in atto queste strategie può talvolta non essere sufficiente a evitare fenomeni di bullismo: in questo caso, secondo lo psicologo, occorre attraversare il conflitto: supportare, ad esempio, il ragazzo-vittima a rispondere alla provocazione evitando che si chiuda; la risposta ad una provocazione scioglie la dinamica ripetitiva tipica del bullismo. Rompere gli schemi significa rompere la cristallizzazione delle dinamiche, interrompere la ripetizione di comportamenti sempre identici.

Davì suggerisce anche agli adulti – insegnanti, educatori, genitori, di cambiare in prima persona, mettere in discussione sé stessi e anche le organizzazioni, anche se non è facile. “Occorre ascoltare l’insolito, offrire alternative possibili a se stessi e agli altri; promuovere la creatività, favorire il dialogo franco e aperto senza avere paura del conflitto.

 

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