CasaStorie : storie di adolescenti durante l’emergenza CoronaVirus. Episodio 1

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Il Racconto come forma di elaborazione e di riflessione sui propri stati d’animo e, perché no, in un periodo di isolamento forzato, come mezzo di evasione e di apertura al mondo. È questo il punto di aggancio su cui Coordinamento Genitori Democratici Napoli ha rimodulato le azioni di Progettazione Partecipata e Tutoring dei Volontari del progetto Futuro Prossimo, sviluppato un laboratorio a distanza denominato – Casastorie: adolescenti ai tempi del Coronavirus.

In un momento storico così delicato, in cui il mondo della scuola, del terzo settore e delle istituzioni in genere, si interroga su come poter intervenire per essere a supporto di minori e adolescenti, attraverso il laboratorio Casastorie, tenuto a distanza on –line, abbiamo voluto chiedere ai diretti interessati, il loro reale punto di vista.

Casastorie è il racconto di storie, pensieri e riflessioni quotidiane, è il confronto e la condivisone dei propri stati d’animo (e non solo).

Il Casastorie si pone in continuità con la metodologia applicata sin dall’inizio del progetto Futuro Prossimo, in cui gli adolescenti coinvolti nelle attività dei laboratori di progettazione partecipata e tutoring dei volontari, hanno imparato a sviluppare il proprio senso critico e civico e hanno vissuto momenti di scambio e confronto tra adulti e istituzioni, partecipando ai Tavoli Territoriali.

Gli adolescenti in questo modo possono continuare ad affermare, nonostante la distanza e la quarantena, il proprio protagonismo giovanile.

Lasciamo, quindi, la parola a due ragazze diciassettenni, di Napoli, che ci raccontano come stanno vivendo questo momento. Buona Lettura!

 

Ciao a tutti,

vi scriviamo da quel posto in cui ci troviamo tutti da alcuni giorni a questa parte, ovvero tra le mura delle nostre abitazioni, dalle quali ci stiamo aggiornando su come il corona virus sta stravolgendo le nostre vite, ma non solo. Abbiamo sentito dire in giro che questa situazione nella quale ci troviamo si chiami quarantena, ma sembra un po’ troppo catastrofico, personalmente la chiamiamo “pausa di riflessione” da una vita che ti affanna; d’altronde le conosciamo bene queste tipologie di pause, ma almeno una volta nella vita le vivremo tutti. Vi starete chiedendo: chi siamo? Beh, siamo due diciassettenni che frequentano l’istituto superiore Giancarlo Siani, precisamente al 4º anno del Turistico, ma non siamo solo questo, siamo anche coloro che in questo momento rappresentano la confusione di migliaia di adolescenti nel mondo. La gente probabilmente penserà che siamo felici, perché basta sapere che non dobbiamo andare a scuola e non ci sono problemi, e invece preparatevi a stupirvi.

Si è soliti pensare che noi ragazzi oltre ad avere un rapporto con lo schermo del nostro cellulare non lo abbiamo con nessuno, e forse non è del tutto falso; è vero trascorriamo le nostre giornate con un dito che scorre kilometri su uno schermo, spesso dimentichiamo di apprezzare dettagli che fanno la differenza:come il suono degli uccellini che canticchiano al mattino, oppure la colazione al letto che non la ricevevamo da quando avevamo 6 anni all’incirca.

Sembra strano, quasi surreale, che noi ragazzi in fondo in fondo possiamo essere profondi, ma cosa più importante possiamo diventare lo spiraglio di speranza degli adulti, che a differenza nostra si trovano nel panico più totale. Cosa sta accadendo lo sappiamo tutti, c’è una pandemia in giro per il mondo, di cui conosciamo il nome ma non sappiamo esattamente da cosa sia nato. Il punto non è rispondere al cosa ma, a come sta accadendo. È successo tutto così velocemente, come l’acqua che scorre da una cascata e, dal quel momento in poi, le nostre vite si sono dirette in una caduta libera senza fondo, un fondo oscuro che incute paura anche a chi ha sempre sostenuto che tutto questo fosse solo un’esagerazione. Tutto quello che sta accadendo sembra surreale, improvvisamente ci siamo ritrovati il mondo sottosopra e molte volte nei libri di storia abbiamo riscontrato situazioni simili, ma viverle sulla propria pelle non è paragonabile, solo sentir dire che nel 2020 un virus abbia creato una catastrofe globale sembra una barzelletta. Fino al mese scorso il nostro più grande nemico era il 5 in matematica e, adesso, ci ritroviamo contro un avversario che non ha un volto, così piccolo ma così potente.

Per noi napoletani tutto questo è ancora più difficile, perché Napoli è un abbraccio che ti stringe il petto, è la chiacchierata sull’autobus con il vecchietto che non si conosce, è il caffè in compagnia in quei dieci minuti di pausa dal lavoro, Napoli è l’amarezza squarciata da un sorriso che appare sul viso di un bambino, come un arcobaleno dopo una pioggia di lacrime, Napoli è la bestemmia urlata nel traffico. Napoli è tutto e niente allo stesso tempo, vederla così vuota trasmette malinconia nei nostri cuori.

Ci definiscono “terroni”, analizziamo questo termine: terrone significa “uomo legato alla propria terra”, ed è vero lo siamo, siamo coloro che cantano canzoni a squarciagola di balcone in balcone e se questo vuol dire essere terroni, allora sì, lo siamo e ne andiamo fiere di esserlo. Non è stata solo Napoli a cambiare in queste due ultime settimane, come abbiamo già detto le nostre vite sono state stravolte, il giorno prima eravamo per locali a divertici e la mattina seguente tutto ad un tratto c’è stata negata persino la libertà di poter andare a scuola, e forse è stato proprio quello il momento in cui abbiamo captato che la situazione stava sfuggendo di mano, non tutti i ragazzi si sono reclusi in casa dal primo momento, un po’ perché a differenza di altri che non capivano noi già sapevamo che la frase “ scuole chiuse” era solo l’inizio di una reazione a catena; per cui finché abbiamo potuto siamo usciti ed è vero, essendo anche un po’ egoisti forse, ma sta proprio qui cercare di capire dove, come e perché fermarsi.

Psicologicamente non è facile vedersi privati di una cosa tanto scontata da noi come la libertà, soprattutto nel momento in cui nessuno era preparato, in una società che non ha regole. Non è facile, non è facile per nessuno, non si tratta di giovani che escono oppure di anziani che passeggiano, anzi, sembra strano ritrovarsi tutti sulla stessa barca, una barca che sta galleggiando in una tempesta e c’è bisogno del lavoro di tutti i marinai per far sì che questa barca non affondi.

Chi resta a casa sta facendo la propria parte e dopo un po’ i social stancano, i film su Netflix finiscono ma appena decidiamo di studiare ecco che si presentano mille cose da fare, le giornate sembrano così monotone tra video lezioni, compiti assegnati svolti a distanza, e prof che non si perdono d’animo continuando col programma, ma alla fine quello che ci resta da fare è immaginare cosa faremo una volta che tutto questo sarà finito, immaginare di ritrovarsi tutti in un bar a fare serata, immaginare di nuovo le strade trafficate ed i locali stracolmi di persone, immaginare il momento in cui rientreremo a scuola tra quei banchi che tanto ci mancano, immaginare il momento in cui potremmo riabbracciarci senza paura, immaginare i cinema e le sale gioco affollate, immaginare quella normalità che tanto ci manca.

Charles Bukowski disse che l’uomo è eternamente insoddisfatto, ma queste due diciassettenni rinchiuse tra quattro mura, sono fermamente convinte che dopo tutto questo l’essere umano riuscirà ad apprezzare di più tutto quello che lo circonda.

Se siete arrivati a leggere fino a qui trattenetevi un’altro po’, scriverlo è quasi un controsenso, è così straziante aspettare ma d’altronde ci resta solo questo da fare; in fin dei conti se è vero che l’attesa aumenta il desiderio, aumenterà ancora di più il desiderio di abbracciarci, baciarci e toccarci, abbiate pazienza per poterne uscire vincitori ma soprattutto più consapevoli del mondo in cui viviamo.

Sfruttate questo tempo per avere un confronto, non con le persone, bensì con la persona che evitate ogni giorno focalizzando i vostri impegni su altro, vi chiediamo di confrontarvi con il vostro “io”, interrogatevi su come sta andando la vostra vita e una volta cha avremmo affrontato la “nostra corsa alla libertà” mettete in pratica i buoni propositi stilati. Non disperatevi, non ascoltate chi grida che è arrivata “la fine del mondo”.

Le civiltà non muoiono così facilmente, ma anche se così fosse non crollerebbe prima di altri; d’altronde se l’unione fa la forza, prima di cadere il mondo dovrà scontrarsi con la voglia di vivere di un popolo intero. È vero che siamo in un’epoca tragica, ma troppa gente confonde la tragedia con la disperazione, quindi tenete duro, rispettate le norme di sicurezza e pian piano i cocci di questo mondo ribaltato si incontreranno.

Dopotutto, domani è un altro giorno e non sappiamo cosa ci riservi il futuro.

Racconto a cura di due  ragazze diciassettenni di Napoli.

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