LETTERA DI UN INSEGNANTE SENZA TITOLO AI RAGAZZI CHE HA LA FORTUNA DI INCONTRARE A SCUOLA
di Exodus
La riflessione di Donato, educatore del Polo Exodus di Assisi per il Progetto Donmilani2: Ragazzi Fuoriserie, per i suoi ragazzi in zona rossa da pandemia
Ciao giovane,
come stai?
Te lo chiedi mai?
Qualcuno te lo chiede mai?
Non sai quanta voglia ho di chiedertelo io, professore, prigioniero di abiti che devo per forza indossare, ma che non sempre corrispondono a ciò che vorrei poter fare.
Devo essere formale, politicamente corretto, ligio alle regole, fedele al programma.
Ma io non sono questo, o meglio, non sono solo questo. Sono quello che ti guarda e vede suo figlio, che ti vorrebbe abbracciare, che ti vorrebbe dire “dai cavoli, credi in te stesso, puoi farcela” e invece si trova costretto a dire “devo metterti un brutto voto, non hai studiato!”
Ma come sto io? Te lo chiedi mai? Pensi che qualcuno me lo chieda mai?
Anche io soffro questa situazione maledetta, che ci vede lontani, che ci costringe a trovare nuove strategie, che ci obbliga a fingere di crederci quando dite “prof ho problemi di connessione” o “prof, se accendo la telecamera non sento niente”.
Vorrei abbracciarvi uno ad uno e dirvi che andrà tutto bene, ne usciremo presto, che resterà solo un brutto ricordo, ma vi voglio bene e quindi non posso e non voglio illudervi.
È vero che ne usciremo, è vero che ce la faremo, ma intanto siamo qui a soffrire.
Ecco perché dobbiamo fare squadra, non andare l’uno contro gli altri.
Sai perché ho scelto di fare il professore? Perché amo insegnare. Insegnare, non mettere voti, non far vedere quanto sono acculturato (che non vuol dire che ho il culo grosso, ma che ho una vasta cultura), ma insegnarti quello che so, per aiutarti a scoprire se fa per te oppure no, per aiutarti a scoprire cosa e chi vuoi essere tu.
Lo so che non mi credi, fa parte della divisione dei ruoli tra insegnante e allievo, ma è così, o almeno lo è per la maggior parte degli insegnanti.
Quindi, mi tolgo l’abito da insegnante e con la tuta indosso, le ciabatte ai piedi e i capelli spettinati, ti chiedo di nuovo “come stai?”
Ricordati che io credo in te, ci credo profondamente, altrimenti non mi arrabbierei quando non ti impegni; sarebbe molto più facile lavarsene le mani, no? E invece io credo in te e voglio vederti tirare fuori il meglio di te. Coraggio, ce la faremo insieme.
Ti voglio bene
Il prof
Donato, educatore Polo Exodus Assisi
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