Teatro Diffuso a Manfredonia: 120 ragazzi e una città che riparte dal Teatro
di crescincultura
Cosa fanno i ragazzi in una cittadina di provincia del Sud, una di quelle da cui si aspetta solo di scappare appena compiuti i 18 anni?
Cosa fanno i ragazzi in una cittadina in cui lo scioglimento dell’Amministrazione per mafia è stata accolta con un misto di rassegnazione “tanto si sapeva” e di quasi soddisfazione “così imparano” (chi?).
Che ci fanno 100 ragazzi provenienti da tutti gli angoli della città alle quattro e mezza di sabato pomeriggio davanti a un cancello in una via di periferia?
Aspettano che quel cancello si apra per poter finalmente entrare in teatro e restarci fino alle otto e mezza, sfatando il luogo comune del “sabato pomeriggio si esce”.
E, sfatato il primo, i luoghi comuni vacillano e crollano uno dopo l’altro.
“I ragazzi di oggi non possono vivere senza il cellulare”: non siamo in grado di garantire che possano resistere per tutta la vita, ma possiamo assicurare che per 4 ore i loro telefoni restano nelle tasche delle giacche sulle poltrone del teatro. Non possiamo mettere la mano sul fuoco che accadrebbe anche con gli adulti.
“I ragazzi non sono abituati ad ascoltare”: stiamo lavorando su Uccelli di Aristofane e l’ultima volta gli abbiamo raccontato nel silenzio più assoluto del mito di Tereo e Procne. E di solito succede che poi qualcuno lo racconta a casa.
“I ragazzi non hanno rispetto”: dopo tre incontri quello che hanno imparato è che sul palco nessuno dice a un altro cosa deve fare, ma ognuno pensa a cosa può fare lui per migliorare la situazione o darle una svolta; la chiamiamo improvvisazione, e per metterla in pratica servono occhi e orecchie aperte ed è importante non mettersi troppo comodi, perché bisogna essere pronti a reagire a quello che abbiamo intorno.
“I ragazzi non sono più capaci di entusiasmarsi”: al primo appuntamento ci siamo ritrovati in più di novanta, 84 ragazzi dagli 11 ai 19 anni, attori, danzatori, regista e musicisti per un laboratorio che rimette in vita una felicità “attenta”. Al secondo appuntamento i ragazzi erano 97, al terzo 102 e in attesa del quarto altri 18 sono venuti a iscriversi.
Teatro diffuso è un rito di comunità, che sconfina, apre e fa risuonare forte il senso di “essere assieme”.
I ragazzi di una comunità si fanno coro e a turno si fanno corifeo, cioè guidano l’intero gruppo, mettono voce singola e corpo per guidare tutti gli altri.
La costruzione del coro è il motore che genera sguardi e attenzione. Costruzione che passa anche dal piccolo Nico, 11 anni, che parte in sordina (all’inizio non è sicuro di voler dire il suo nome a voce alta davanti a tanti sconosciuti) e già dopo un’ora si prende la felice responsabilità di essere corifeo, perché crede al patto fondamentale a cui il laboratorio ci spinge: nessuno giudicherà l’operato degli altri, né il proprio.
Occupiamo tutta la sala, perché il palco con i suoi fieri 100 metri quadri è troppo piccolo per contenerci tutti, circondiamo le comode e rosse poltrone di un teatro che si ritrova a contenere più vita di quella che forse i suoi progettisti si aspettavano.
Ora quelle poltrone fisse e ingombranti è come se non esistessero, nessuno pensa di sedersi, nessuno pensa al suo cellulare e tutti già dopo mezz’ora hanno capito che non è il caso di aspettarsi copioni e battute, che ci sarà da studiare sì, ma non da imparare a memoria. Che, soprattutto, ci sarà da costruire insieme, sulle macerie dei luoghi comuni.
Teatro Diffuso è un’iniziativa promossa da Crescincultura, progetto selezionato dall’Impresa Sociale “Con i Bambini” nell’ambito del “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”,
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