La criminalità minorile in Campania

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Il coinvolgimento di minori in fatti criminali di rilevante allarme sociale non costituisce un fenomeno nuovo nel territorio del napoletano e tuttavia negli anni il fenomeno si è sempre più chiaramente strutturato. Oggi la criminalità dei minori nel napoletano ha tre forme: la criminalità “fisiologica”, con condotte devianti occasionali, prevalentemente motivate da finalità predatorie, spesso generate dalla condizione di tossicodipendenza; la criminalità “patologica”, che include sia i casi di affiliazione di minori a famiglie tradizionali di camorra, sia la formazione di nuovi gruppi giovanili, con consistente presenza di minori; una criminalità “epidemica”, che si distingue per l’operare in gruppo degli autori dei reati, anche se al di fuori dei contesti di criminalità organizzata e per il tasso di violenza utilizzato nei confronti delle vittime, generalmente elevato (dalle lesioni all’omicidio) e, comunque, del tutto sproporzionato rispetto al movente. Le baby gang insomma.

Le bande giovanili assumono aspetti diversi a seconda dei tempi, dei luoghi e del sostrato sociale che le caratterizza, ma esistono da sempre, rappresentando una forma di aggregazione che comincia a affacciarsi nell’età puberale. Tali fenomeni possono avere, però, un’evoluzione patologica.

Esiste sicuramente, da parte della stampa, una certa enfatizzazione e una tendenza ad esasperare le caratteristiche del fenomeno, ma sicuramente si tratta di un dato reale che merita di essere studiato, anche perché si presenta con caratteristiche del tutto particolari. È presente, per esempio, nelle periferie delle grandi città, ma anche nei centri urbani e ha caratteristiche diverse, a seconda che si sviluppi nelle une o negli altri riguardo al tipo di reati, alle caratteristiche dei minori che si aggregano, all’estrazione sociale ed al retroterra culturale. Questi gruppi sono composti generalmente da ragazzi italiani, dei quali molti infraquattordicenni e sono presenti in modo paritetico anche le ragazze, mentre nello schema abituale di ragazzo deviante l’elemento femminile è solitamente presente in maniera non rilevante.

Il fenomeno è, dunque, molto vario e va analizzato ancora perché non c’è possibilità di una risposta univoca, ma sono necessarie risposte calibrate. Altre caratteristiche di questi gruppi sono la ridottissima capacità di elaborazione di un qualsiasi pensiero e di espressione di esso, la mancanza di senso del limite, la decisione di commettere reati in modo estemporaneo ed improvviso, l’incapacità di rendersi conto della gravità degli atti commessi o dell’entità dei danni che questi possono provocare, non esclusivamente al patrimonio ma, talvolta, anche alla psiche delle persone coinvolte.

 

Il fenomeno dei gruppi di ragazzi nelle grandi città è trasversale, e riguarda tutti i ceti sociali, con caratteristiche diverse a seconda delle situazioni. Ciò che più colpisce è che, mentre in passato questi gruppi avevano comportamenti trasgressivi ed anche violenti nei confronti degli oggetti, con atti di vandalismo, si è rilevato in quest’ultimo periodo uno spostamento verso comportamenti violenti nei confronti di persone, prevalentemente coetanei, e soprattutto nei confronti di soggetti ritenuti più fragili.

 

Non esistono reti di servizi sociali adeguati, competenti e professionalizzati e molto viene delegato ad un volontariato sociale che non può far tutto e che in alcuni casi è straordinario ma in altri si trova a gestire senza controlli e senza strategia. C’è l’impressione, in sostanza, che non ci sia una strategia complessiva che tenga conto che bisogna operare tutti insieme, e che manchino progetti educativi.

Nessuno, infatti, si interroga più su quali sono i contenuti dell’educazione, su cosa vogliamo da questa società, su come siamo in grado di indirizzare in un certo modo una società che sembra andare in direzione completamente opposta: che società è quella in cui il consumo dei beni materiali è al di sopra di ogni interesse diverso per i nostri giovani?

 

I protagonisti

​In generale, gli autori dei reati provengono prevalentemente da periferie degradate e da contesti familiari caratterizzati da deprivazione culturale, economica e affettiva, mentre teatro delle azioni predatorie è di norma il centro cittadino, preferito perché serbatoio di facili obiettivi, spesso individuati in giovani di classi sociali abbienti, detentori dei beni di consumo maggiormente ambiti.

Questi ragazzi hanno, per la gran parte, hanno maturato esperienze di vita difficili, segnate da disgregazione o disagio familiare, da difficoltà economiche, da gravi forme di precarietà abitativa, da carenze culturali derivanti da discontinuità o abbandono scolastico e dalla totale mancanza sul territorio di presenze istituzionali o di centri di aggregazione sociale. I minori appartenenti alle bande giovanili sono descritti come violenti ed aggressivi. Questi elementi che si manifestano proprio nelle azioni di cui essi si rendono responsabili, rappresentano un mezzo per imporsi nel contesto sociale assumendo, come si sottolineava in precedenza, una forte valenza comunicativa.

La violenza e l’aggressività rappresentano i due cardini principali attorno ai quali si costruisce l’immagine di coloro che mettono in atto azioni devianti. Accanto ad essi, emergono altre caratteristiche quali l’estrema fragilità e malessere e un forte bisogno di acquisire sicurezza. Quest’ultimo aspetto si carica anche di una forte valenza motivazionale rispetto alla messa in atto di azioni devianti di gruppo.

Un’altra motivazione rilevante nella messa in atto di azioni devianti di gruppo è rappresentata dalla tendenza ad uniformarsi al contesto sociale di appartenenza. In queste situazioni l’attrazione per i disvalori espressi dalla subcultura camorristica è pressoché invincibile, consentendo il rapido conseguimento del potere, della leadership tra coetanei e di disponibilità economiche. All’interno di un simile contesto culturale, il minore tenderà a percepire come perseguibili e replicabili valori e comportamenti rispecchianti una cultura deviante.

 

Nella pubblicistica si parla di ragazzi che provengono da famiglie normali.

Normali, però, sono, anche le famiglie nelle quali il dialogo tra genitori e figli è sbrigativamente basato sulla soddisfazione dei bisogni e dei desideri piuttosto che sulla lenta e faticosa negoziazione ed elaborazione di quest’ultimi, che costringe a motivare i no e sì e ad essere coerenti con le prescrizioni date, oggi normalmente non esistente. Normali, inoltre, sono anche le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, stanno fuori casa tutto il giorno e confessano di cominciare ad avere problemi nel tenere i figli, non tanto e non solo come custodia, ma soprattutto come stile relazionale ed educativo, fin da quando hanno 3 anni.

Perciò questi genitori «normali» cercano, man mano che il figlio cresce, il cosiddetto aiuto degli esperti (psicologi, psichiatri, curatori di rubriche di consulenza giornalistica o televisiva) oppure di servizi istituzionali (dai consultori alla scuola), che non sempre, per vari motivi, riescono a rispondere in modo adeguato. Questi ragazzi provengono generalmente da famiglie che hanno alle spalle almeno una separazione o comunque una situazione di disagio; sono molti i genitori che non sospettano neanche che i propri figli potessero essere coinvolti in comportamenti trasgressivi o che non controllano ciò che i loro figli portano a casa o portano via da casa.

 

Prevenzione

Un’efficace politica di prevenzione della devianza giovanile richiede l’intensificazione degli sforzi di inclusione del minore in attività ulteriori rispetto a quelle scolastiche, in particolare, culturali, sociali e sportive. Ecco che allora vengono proposti interventi quali, ad esempio, la costituzione di centri aggregativi in cui sia possibile per il minore sperimentare nuovi percorsi di socializzazione e processi culturali e rapportarsi ad altre figure adulte significative. Sempre all’interno di questa cornice è necessario aiutare i minori a sperimentare nel contesto scolastico il proprio percorso tenendo in debito conto le risorse personali del minore e quelle a cui può attingere dal contesto di appartenenza. Importante è la stipula di protocolli tra istituzioni e associazioni che offrano ai minori e alle loro famiglie la possibilità di svolgere una serie di attività gratuite, tra cui l’accompagnamento allo studio, i laboratori artistici e musicali, le attività motorie, la promozione della lettura, l’accesso alle nuove tecnologie, l’educazione alla genitorialità e le consulenze pedagogiche, pediatriche e legali.

 

Nella città metropolitana di Napoli gli assistenti sociali in servizio presso o per conto dei comuni nell’anno 2018 sono 1.042, per una popolazione di 5.839.084 abitanti, vale a dire un assistente sociale ogni 5.600 abitanti. Il punto è che la presenza è fortemente disomogenea sui territori: nel comune di Giugliano, terza città della Campania, ci sono 6 assistenti sociali (a tempo determinato), per 124.139 abitanti, pari a un assistente sociale per 20.600 abitanti mentre il rapporto a Napoli è di un assistente per 2.600 abitanti.

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