La violenza in casa, l’allontanamento, la ricostruzione dei rapporti. E’ la storia della piccola Gemma

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C’è chi il maltrattamento lo ha conosciuto presto, anzi, molto presto. La piccola Gemma che oggi ha sei anni lo sa bene che cosa significa andare oltre, perché quei modi di fare l’hanno portata sin dai primi anni di vita in una comunità che l’ha accolta, le ha voluto bene. Ma era altro dal suo focolare.

La sua storia è una delle tante, purtroppo tante, raccontate da una cronaca che non dovrebbe esistere. Una cronaca che impera tra le stanze dei centri specializzati come quello nato in seno al progetto Child Care di Campobasso. Qui l’équipe multidisciplinare si è messa al lavoro non appena il caso è stato attenzionato.

In seguito a una segnalazione per maltrattamenti in famiglia, i genitori di Gemma hanno perso temporaneamente la responsabilità genitoriale  e per decreto del Tribunale per i minorenni la bambina è stata collocata in  una comunità di tipo familiare. La decisione aveva il chiaro obiettivo della ricostruzione, se possibile, dei parametri di fondo che regolano rapporti e comportamenti. Rapporti piuttosto complessi, visto che Gemma non è la sola figlia, ma ha una sorella più grande e con lei in quel periodo non andava molto d’accordo. La sorella è in realtà una ‘sorellastra’ per definirla con un termine desueto e piuttosto sgradevole: sono figlie della stessa mamma ma di padri diversi.

Con l’acuirsi della conflittualità tra i genitori Gemma era diventata, come accade nella maggior parte delle storie come questa, uno strumento. I genitori la utilizzavano per colpirsi a vicenda, finché il padre non ha deciso di tenerla con sé, impedendo alla madre di vederla. L’amore per i genitori è qualcosa che va oltre l’accessibile: Gemma, sebbene il padre sia una persona violenta, era legata a lui. Inoltre si sentiva abbandonata dalla madre, verso la quale montava risentimento. Così, d’altra parte, le aveva detto papà. Ma anche i sentimenti che lei stessa provava non erano ormai puliti: quell’attaccamento al padre altro non era che la terribile paura di essere abbandonata anche da lui. Un muro scuro davanti a lei.

Ma il suo aprirsi con le persone che di lei si prendono cura ha aperto un varco di speranza e di uscita. Gemma ad un certo punto è riuscita a tirare fuori quel mare di dolore che conservava dentro di sé, raccontando i fatti, descrivendo le violenze subite. Il padre in varie occasioni l’aveva picchiata; e lo aveva fatto sia quando i genitori stavano ancora insieme, sia dopo. Aveva usato violenza sia fisica che psicologica sulla sua compagna, su di lei e sulla sorella.

Per individuare l’intervento clinico più opportuno al Centro di Child Care è stata effettuata una valutazione delle capacità genitoriali. L’avvio di un percorso di psicoterapia relazionale si è rivelata la via migliore, che in un secondo tempo ha visto coinvolta anche la sorella maggiore nel progetto di intervento. Duplice obiettivo era quindi favorire l’uscita della minore dalla comunità e il rientro a casa dalla madre, apparsa come la figura più idonea a riaccogliere la bambina in famiglia. Un percorso che non è stato semplice per nessuno, ma costante e convinto.

Oggi Gemma (ovviamente nome di fantasia, ndr) ha compiuto passi importanti, sta recuperando tratti di serenità che sono fondamentali per ricostruire una struttura un po’ più solida della sua persona. E il Tribunale per i Minorenni, che ha da sempre ha vigilato sulla vicenda, grazie anche al continuo monitoraggio dei servizi sociali, ha già disposto dei graduali rientri a casa nel fine settimana.

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