I Mega Partner si raccontano – Centro regionale S. Alessio

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Intervistiamo ora le referenti del progetto «Bloom Again» per il Centro regionale S. Alessio «Margherita di Savoia» per i ciechi: Barbara Meneghin e Carmen Pirro.

 

D: Barbara, quali sono stati i benefici emersi fino a questo momento grazie alla partecipazione al progetto?

Meneghin: Per rispondere vorrei intanto spiegare brevemente quale è stata l’azione che in particolare ci ha riguardato come Centro S. Alessio: noi infatti, nel corso dell’anno scolastico scorso, e lo stiamo ripetendo anche quest’anno, ci siamo occupati di creare dei percorsi educativi domiciliari. In concreto abbiamo messo a disposizione dei bambini (125 l’ultima volta) un tiflodidatta o un operatore tiflologico che ha seguito ciascun bambino a casa. Quest’azione ha aiutato tutti i bambini a sviluppare delle competenze necessarie per poter portare avanti il lavoro svolto in classe. Quindi il maggior beneficio che abbiamo ottenuto con il progetto è stata sicuramente la possibilità data ai bambini coinvolti di rafforzare le proprie competenze nell’ambito della didattica in un ambiente domestico. L’obiettivo era infatti poter seguire a scuola le lezioni insieme a tutti gli altri compagni e rafforzare altrove le abilità dei beneficiari del progetto ricevendo singolarmente un aiuto specifico e preciso per il caso di ciascuno (come ad esempio rafforzare il braille, l’uso degli ausili informatici ma anche semplicemente sviluppare una migliore metodologia di approccio allo studio). Rafforzando queste capacità a casa, senza perdere la lezione che si svolge nell’ambiente scolastico, abbiamo capito che i bambini, in classe, hanno maggiori capacità di restare connessi al gruppo e fare attività insieme ai compagni. Tra l’altro, quest’operazione ha avuto un altro beneficio: coinvolgere i genitori. Ogni regione è diversa ma qui, nel Lazio, noi forniamo ai bambini e ragazzi un servizio di assistenza specialistica già nelle scuole ma a casa, a volte, i genitori fanno fatica a seguirli anche nello svolgimento dei compiti. Invece avere un operatore anche a casa, ha potuto vedere coinvolte le famiglie e fornire loro gli strumenti utili. A mio avviso, questi sono stati i benefici maggiori e li vediamo tutt’ora, nell’azione che stiamo svolgendo quest’anno, dove invece abbiamo coinvolto ragazzini delle medie e adolescenti delle superiori: il progetto ha avuto un grandissimo successo soprattutto tra i ragazzi più grandi. Sinceramente non ci aspettavamo questo risultato perché credevamo che determinate competenze fossero già acquisite; pensavamo che il servizio sarebbe stato più utile nelle fasce “più giovani”. È stato invece accolto benissimo dagli studenti, come miglioramento soprattutto per i licei.

 

D: Per questa domanda mi rivolgo a entrambe. Avete da segnalare qualche difficoltà, anche data la situazione pandemica che abbiamo vissuto?

Meneghin: Sì, direi che la principale difficoltà è stata la diffidenza delle famiglie. Eravamo in un periodo di alti contagi, in un momento in cui incontrare persone estranee era considerato un rischio, quindi ovviamente pensare di accogliere un operatore in casa è stato piuttosto problematico. Infatti il primo anno non siamo riusciti a raggiungere tutti i 125 bambini proprio per questo motivo. Un’altra difficoltà è stata legata ai contagi, quindi ad esempio se c’era un caso di positività in famiglia o un operatore risultava positivo, si andavano a bloccare le attività.

Pirro: Dato che io mi sono occupata dei workshop esperienziali, vorrei aggiungere che la grande difficoltà è stata la pianificazione degli interventi quindi gli argomenti e la modalità di trasmissione dei contenuti. Inizialmente erano basati su una progettazione prettamente laboratoriale; si associavano ad esempio le strategie e metodologie ovvero la parte teorica a un momento di attività pratica, condivisione con gli operatori e partecipanti ai vari workshop. Purtroppo a causa della pandemia quest’azione è stata svolta a distanza, con una piattaforma online. Nonostante ciò si è cercato comunque di trasmettere una serie di contenuti, soprattutto sull’utilizzo di mediatori, strumentazioni che potrebbero andare a supporto di azioni educative, formative ecc. Almeno per me, quindi, la difficoltà è stata proprio riprogettare totalmente l’azione formativa pensata a creata inizialmente per gli operatori che hanno partecipato.

 

D: Secondo voi, quali potrebbero essere invece i punti di forza?

Meneghin: Per quanto riguarda il mio caso, quindi l’azione individuale con i ragazzi, credo che il punto di forza sia proprio la modalità di lavorare 1 a 1 con loro perché ha permesso una grande flessibilità. Ogni operatore infatti ha potuto effettuare una valutazione dei bisogni della persona che stava seguendo e a quel punto è stato in grado di fissare degli obiettivi specifici che potessero garantire un’attenzione molto personalizzata per poterli raggiungere. Ovviamente quando si lavora in gruppo questa flessibilità viene meno perché bisogna adeguarsi a più esigenze diverse.

Pirro: Per me invece che ho partecipato ai campi estivi, il punto di forza è stata la possibilità di incontrarsi effettivamente di persona così da creare dei momenti di confronto, di azione diretta sia con i partecipanti ma anche con gli operatori e organizzatori. Si è creato infatti il clima, la condizione giusta anche per trasferire contenuti che molte volte, non sempre negli incontri di pianificazione, sono realizzabili. In questo caso invece partecipare a un campo ha dato proprio la possibilità di scambiare nel concreto una serie di azioni e di strategie che vengono utilizzate: per me questo è stato un ottimo punto di forza di tutta l’azione progettuale sicuramente trasferibile come ottima pratica!

 

D: Barbara, quali sono i suggerimenti che propone per migliorare il progetto?

Meneghin: Partirei dal successo dell’azione a cui ha partecipato Carmen che ha previsto la collaborazione di tutte le regioni e di tutti i partner coinvolti nella creazione di workshop esperienziali, svolti per una platea vasta di operatori. Questa condivisione, che è avvenuta sia in una fase di preparazione che in quella di erogazione, ha visto i rappresentanti delle varie ragioni dare agli operatori di altre regioni delle lezioni pratiche o teoriche sulle buone pratiche del proprio territorio. Tutto ciò, che è un grande punto di forza, potrebbe essere utilizzata per migliorare il progetto espandendola anche ai coordinatori dei vari territori perché porterebbe un valore aggiunto alle azioni di tutti. Faccio un esempio: noi nel Lazio affrontiamo il diritto allo studio assegnando a ogni bambino non vedente un operatore che a scuola lo aiuta per un certo numero di ore; in altre Regioni il diritto allo studio viene garantito in altro modo. Quindi la condivisione tra i coordinatori del progetto anche rispetto a queste tematiche correlate, potrebbe portare a buone pratiche che si possono condividere in altri territori. Approfondirei quindi questa condivisione.

 

D: Carmen, ci può raccontare un episodio che le è rimasto particolarmente impresso e che secondo lei ha caratterizzato gli interventi all’interno dei workshop?

Pirro: I workshop, anche se a distanza e mediati attraverso un computer, sono stati un momento effettivamente di confronto con gli operatori che vivevano realtà territoriali differenti quindi anche un momento in cui sono entrata in contatto con una serie di domande e condivisione circolare delle informazioni. Purtroppo il workshop ideato inizialmente era di tipo prevalentemente laboratoriale perché prevedeva l’impiego dei Lego Braille Bricks e quindi la possibilità di utilizzare il gioco.

Se lavoriamo su diversi campi e su diverse fasce d’età, il gioco è infatti proprio una delle possibilità che consentono di rilevare tutte le competenze e quindi i contenuti trasmessi perché ci permette di effettuare dei momenti di ricostruzione, di narrazione e di rivisitazione di una serie di esperienze. Ho avuto la fortuna di riuscire a sperimentare e capire nel concreto, all’interno del campo svolto a Paestum insieme a un meraviglioso gruppo ben organizzato, come sia possibile comprendere attraverso il gioco quali siano le competenze acquisite anche durante un’esperienza “normale”. Dopo una fase di conoscenza, di preparazione degli operatori siamo passati al momento di condividere attraverso i partecipanti del campo la fase di ricostruzione e rilevazione di competenze. È stata individuata una possibile attività che è stata svolta durante il campo ovvero la visita al Parco archeologico di Paestum e i partecipanti hanno in primis ricostruito l’evento ma soprattutto sono riusciti a collaborare, ognuno secondo le proprie abilità, nell’arrivare a un “prodotto finito”. L’obiettivo è stato proprio riuscire a ricostruire tutta la giornata vissuta sia attraverso un’azione concreta, quindi i ragazzi hanno materialmente ricostruito parti della visita con i Lego Braille Bricks, ma anche con la narrazione, il supporto e soprattutto la collaborazione tra le diverse persone che sono riuscite a condividere anche elementi esperienziali che altri non avevano colto. Quindi altro elemento importante, la condivisione perché molto spesso le esperienze restano in una fase in parte individuale e invece la ri-narrazione dell’esperienza ha aiutato anche a far emergere questo aspetto all’interno del gruppo. Questo workshop ha avuto, a mio avviso, anche una diffusione esterna cioè i contenuti dell’esperienza sono entrati a far parte della mia stessa esperienza, dove si è cercato di rivivere in concreto e riattualizzare gli argomenti esposti oralmente durante l’incontro formativo con gli operatori.

 

A questo punto, è il momento di conoscere Samia Clavinini, operatrice del Centro regionale “S. Alessio”.

D: Quali sono state, a suo avviso, le ricadute sui minori coinvolti nel progetto?

R: Sicuramente è stato fortuito il momento in cui è capitato questo progetto. Con la pandemia il bambino che seguo si sarebbe sentito abbandonato dalla scuola perché l’intervento domiciliare è partito un po’ in ritardo e invece, la fortuna ha voluto che partisse questo progetto in concomitanza anche con l’arrivo del nuovo strumento tecnologico del giovane. Questo ha fatto sì che ci fosse una continuità con la scuola: proseguire un lavoro iniziato a scuola, anche a casa, magari approfondire, rafforzare concetti, tornando su ciò che non era stato ben compreso o completato. Secondo me, è stato veramente molto utile.

 

D: Quali sono stati invece i benefici riscontrati dalle famiglie dei minori coinvolti?

R: Ovviamente qualunque tipo di supporto è importante e soprattutto a livello didattico perché le famiglie non sempre sanno come poter aiutare i ragazzi nei compiti o semplicemente nel rafforzare le conoscenze che apprendono a scuola. Quindi il fatto di avere un raccordo tra la scuola, il supporto a domicilio e la casa è stato molto importante! Nello stesso periodo poi l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù ha fornito uno strumento tecnologico al bambino ovvero un computer, un comunicatore con software “The Grid 3”; è stato molto utile poter avviare il lavoro con questo dispositivo con me, con una persona quindi che conoscesse il bambino, le sue difficoltà e i suoi interessi. Infatti lui ha una grande passione per le nuove tecnologie e attraverso questo strumento abbiamo potuto veicolare anche altri contenuti dove magari risultava più carente. Ad esempio l’italiano, la letto-scrittura a cui la famiglia teneva molto.

 

D: Ha incontrato difficoltà durante la prima parte del progetto?

R: Paradossalmente è stato proprio utile in quel periodo perché con la disorganizzazione iniziale dovuta all’emergenza pandemica dove non si sapeva esattamente a cosa stessimo andando incontro, non è stato attivato subito un servizio scolastico a domicilio e infatti il bambino, inizialmente e per un periodo è rimasto “scoperto”. Riusciti invece a partire sia con l’assistenza scolastica a domicilio e sia con il progetto “Bloom Again”, quindi con 80 ore aggiuntive, è stato veramente fondamentale per il bambino perché ha avuto continuità e ha potuto partecipare a delle attività didattiche che magari si svolgevano in dad e che per lui non sarebbero state accessibili se non avesse avuto un intervento a casa.

 

D: Cosa suggerirebbe per migliorare gli interventi messi in atto?

R: Questo è stato un argomento su cui ci siamo soffermate molto con la famiglia del bambino che seguivo. Il progetto è stato davvero utile da tutti i punti di vista. La carenza che però abbiamo riscontrato entrambe è stata la non continuità. Porto ad esempio il caso del giovane che ho seguito io, uno studente di 5a elementare che l’anno prossimo andrà in 1a media quindi in una scuola già più richiedente. Poter fare una programmazione e sapere di avere un aiuto aggiuntivo a casa, oltre quelle ore scolastiche dove magari non si riesce a fare tutto, fa la differenza. È stato utile e lo sarebbe ancora di più poter programmare a lungo termine, a livello di ciclo scolastico, prevedendo magari un tot di ore da fare a domicilio su un periodo più lungo, non solo una tantum.

 

D: In ultimo ci può raccontare un episodio significativo che si è contraddistinto fra le attività inziali delle prime fasi?

R: L’episodio più significativo è stato sicuramente il primo giorno perché il bambino ragiona a “compartimenti stagni”. Sia io che la madre ci siamo chieste come avrebbe reagito alla mia presenza in casa perché abituato a vedermi a scuola, in un certo contesto e con un certo ruolo. La mamma si aspettava che nel vedermi a casa, non mi avrebbe accettata anzi mi avrebbe rifiutata. Invece appena sono arrivata e l’ho salutato, è rimasto inizialmente perplesso però appena mi ha riconosciuta e ha capito perché ero lì, la gioia è esplosa sul suo volto, mi ha presa per mano e mi ha portata in camera sua. Si è poi seduto sul suo banchetto come per dirmi: “ok, che facciamo? Cominciamo? Lavoriamo?”. È stato bellissimo! La mamma è rimasta molto sorpresa ed io ero veramente commossa. Mi ha dimostrato il suo amore per la scuola e anche se l’interruzione non è stata lunga, per lui è stata pesante. Lui infatti ama l’idea di imparare, conoscere cose nuove e l’ha dimostrato anche quando mi ha vista a casa forse pensando: “allora si lavora anche a casa!”.

 

D: Grazie per il suo contributo e in bocca al lupo per il suo lavoro.

 

Dopo questa significativa intervista, andiamo da Valentina, mamma di Davide uno dei bambini beneficiari del progetto “Bloom Again”.

D: Per prima cosa, vorrei chiederle: quali sono stati i benefici finora ottenuti da suo figlio grazie al progetto?

R: I benefici sono stati molteplici. Noi abbiamo deciso di indirizzare l’attività principalmente sulla letto-scrittura e sulla tiflo informatica attraverso l’uso di uno strumento molto evoluto che avevamo ottenuto proprio qualche mese prima dell’avvio del progetto. Le attività sono stata condotte da una tiflodidatta, la stessa che lo seguiva a scuola, basate sugli obiettivi definiti dalle docenti e dalle terapiste, in particolare la logopedista e la neuropsicomotricista. Davide ha infatti anche problemi al livello uditivo, cognitivo e comunicativo. Il progetto è stato colto con entusiasmo da mio figlio e ha permesso di rafforzare le sue competenze linguistiche e comunicative, in particolare poi ha imparato a usare il computer, a famigliarizzare con un programma di comunicazione aumentativa. Al termine del progetto abbiamo chiesto all’operatrice di trasferire anche ai docenti e terapisti alcune nozioni di base per estendere sull’uso dello strumento anche ad altri contesti. Direi quindi che i benefici proseguono tutt’ora.

 

D: Come ha potuto sostenere suo figlio a partecipare agli interventi?

R: In realtà non c’è stato bisogno di un particolare sostegno perché Davide era entusiasta dell’attività, l’uso del computer lo diverte molto e inoltre conosceva già l’operatrice perché è la stessa che lo segue a scuola. Questo ha reso tutto più facile e naturale, sia perché non c’è stato bisogno di introdurre Davide a un altro tiflodidatta sia perché l’operatrice conosceva già il bambino, le sue difficoltà e le sue potenzialità, sapeva come interagire con lui. Inoltre gli interventi sono stati realizzati in un ambiente domestico in un giorno favorevole sia a lui che al resto della famiglia.

 

D: Come ha inciso il percorso realizzato nella vita di suo figlio?

R: Sicuramente il progetto ha proseguito e rafforzato il percorso di sviluppo delle competenze linguistiche e comunicative già avviato anche in ambito scolastico. Ha contribuito all’ampliamento del lessico, al miglioramento della comprensione testuale e della scrittura. Poi, a mio avviso, l’aspetto distintivo del progetto è stato sicuramente il lavoro sull’autonomia nell’uso dello strumento informativo; Davide ha imparato ad avviare il pc, a fare delle ricerche in autonomia e a famigliarizzare con strumenti di comunicazione aumentativa che ora utilizza anche a scuola.

 

Come sono state superate le difficoltà causate dalla situazione pandemica da parte del gruppo di lavoro che ha interagito con suo figlio?

R: Il progetto “Bloom Again” è stato una benedizione perché proprio in un questo periodo è andato a compensare un vuoto che si era creato a scuola, soprattutto durante il primo lockdown. Mio figlio infatti in quella occasione ha perso molte ore di scuola e di terapia, non potendo partecipare alla didattica a distanza per le sue difficoltà. Naturalmente sia l’operatrice che il bambino hanno sempre indossato la mascherina durante le attività.

 

D: Cosa suggerisce per migliorare gli interventi?

R: Io sono grata per questa opportunità e molto soddisfatta per i risultati raggiunti. Se potessi tornare indietro non cambierei nulla. Spero solo in una maggiore continuità, con dei follow up anche negli anni successivi, eventualmente anche su meno ore. Principalmente credo che la mia esperienza possa suggerire anche in altri casi, un raccordo con la scuola, con i terapisti e famigliari sia nella fase di definizione degli obiettivi dell’intervento sia nelle fasi conclusive del progetto, per condividere risultati, trasferire strumenti e tecniche per assistere un bambino ipovedente anche in altri contesti (scolastico, terapeutico, famigliare). Quindi mi auguro che il progetto prosegua anche per i prossimi anni coinvolgendo sempre più ragazzi e famiglie.

 

D: C’è un episodio significativo che vorrebbe condividere con noi?

R: Non mi viene in mente un unico episodio ma ricordo in generale l’entusiasmo con il quale, ogni volta mio figlio accoglieva l’operatrice al suo arrivo e la dedizione che ci metteva nelle attività.

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