Ketò: In uscita il docu-film che racconta il progetto Youth & Food

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Che cos’è un innesto? Un processo doloroso eppure evolutivo, che può essere persino salvifico. Inizia con un taglio netto: un ramo viene reciso e viene messo a contatto con altri ramoscelli di provenienza diversa, dapprima il processo è doloroso ma a poco a poco le due piante si fondono in un’entità unica. 

Si chiamerà “Ketò”, “innesto” in lingua Fula (idioma parlato in Africa Occidentale) il docu-film in uscita a fine anno che trae ispirazione dalle vicende dei minori non accompagnati coinvolti nel percorso “Youth and Food”.

La potente metafora dell’innesto è stata scelta dal regista agrigentino, Andrea Vanadia, per restituire le storie di questi ragazzi partiti giovanissimi dalla loro terra di origine, del loro percorso di ambientamento e delle opportunità offerte dal progetto. 

Il medio-metraggio sta prendendo forma e il regista racconta di come non sia stato facile restituire al pubblicole esistenze acerbe, eppure già dense e composite, dei giovani protagonisti: «Mi sono interrogato molto su come entrare nella loro vita in punta di piedi ma al contempo potendo cogliere l’essenza del loro percorso. Abbiamo iniziato a dialogare con loro in italiano, anche con l’aiuto di Abderrhmane Amajou, responsabile del progetto, ma le conversazioni non erano abbastanza significative a causa della conoscenza ancora limitata della lingua. Dopo qualche mese ci siamo chiesti se non fosse opportuno dar loro la possibilità di esprimersi nel loro idioma di origine, e proprio lì c’è stata la svolta: siamo riusciti a portarli in un terreno familiare dando loro la possibilità di verbalizzare tutto il proprio vissuto in un contesto intimo e protetto, ascoltarli è stata un’esperienza molto intensa. Naturalmente questa scelta ci porterà ad avere un prodotto sottotitolato».

I protagonisti del film sono quattro: Kareem, egiziano, lavora attualmente presso il mercato ortofrutticolo di Eataly, a Milano, Alassani, originario del Benin, Aissa, tunisino, al momento impegnato come pizzaiolo presso il ristorante “Il Bergamotto”, situato a Venaria Reale in provincia di Torino; infine Big (da sempre il suo soprannone), originario del Senegal. 

Per scelta stilistica le registrazioni sono state realizzate in due modalità: in alcune scene il regista restituisce il loro punto di vista, seguendoli durante le vicende quotidiane, sia private che professionali; le riprese in soggettiva si alternano a dialoghi in cui i ragazzi si rivolgono direttamente alla videocamera in una modalità di scambio più intimo che ha permesso loro di raccontare la propria storia familiare e i motivi per cui sono partiti. 

Tanto del racconto è dedicato ai  corsi di formazione professionale proposti ai giovani nell’ambito del progetto: «Il corso di potatura, ad esempio – prosegue Vanadia – è stato molto apprezzato. Si tratta di competenze molto richieste e spendibili sul mercato del lavoro; le maestranze che acquisiscono queste abilità diventano persone di fiducia poiché la produttività della pianta dipende anche da quanto si è stati bravi a eseguire le operazioni di potatura. In questo modo i giovani si sentono responsabilizzati perché vengono loro affidati dei compiti importanti, spesso accade che altri coetanei vengano trattati come bestie da soma, sfruttati per trascinare carichi o eseguire compiti ripetitivi che li rendono sostituibili e non valorizzano le loro inclinazioni». Ascoltando le parole di Vanadia torna in mente la recente vicenda di Satnam Singh, il bracciante indiano morto mentre lavorava nei campi laziali. Impossibile dimenticare la disumana condotta del suo datore di lavoro, che, dopo l’incidente, lo aveva portato lontano dall’azienda lasciandolo morire dissanguato. 

Cosa aspettarsi quindi? Certamente una pellicola intensa, punteggiata da elementi di “fiction” ma sempre al servizio delle storie: «Il mio obiettivo è sempre quello di restituire i fatti in maniera autentica, sebbene ci sia una dimensione estetica da curare. Il fenomeno delle migrazioni l’ho potuto conoscere da vicino: nelle mie zone è normale andare al mare per un tuffo mentre si verifica uno sbarco e per molti anni sono stato volontario in associazioni come Caritas e Guardia Costiera. Per questi motivi il rispetto per quanto realmente accaduto a questi giovani, che con coraggio hanno affrontato un viaggio difficile, è un’assoluta priorità» conclude Vanadia.

di Giada Fabiani, g.fabiani@slowfood.it

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