Teatro educativo e comunicazione sociale: i laboratori di We Care nelle scuole

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Emanuela, Elisa e Giulia: per coordinare e gestire le attività di laboratorio all’interno dei due istituti partner di progetto, il Polo Liceale Illuminati e l’Istituto Di Marzio Michetti, il progetto We Care ha schierato in campo tre donne forti, e al tempo stesso consapevoli, che hanno scelto di fare del proprio lavoro una missione.

Elisa è pedagogista, comunicatrice e attrice. Giulia è psicologa ed Emanuela, oltre ad essere la Coordinatrice dell’ Area Progettuale dell’Associazione L’Angelo Custode in capo a cui sono tutte le attività di creazione di una comunità educante e di service learning di We Care, è antropologa ed educatrice.

Le abbiamo intervistate per capire meglio come si sono svolti i laboratori, quali dinamiche hanno attivato. Insomma, per fare il punto della situazione.

Ma non sono le uniche protagoniste di questa storia: insieme a loro hanno camminato – e ancora camminano – tanti giovani studenti che si sono confrontati con le tematiche relative all’abuso, al
maltrattamento e alla violenza sui minori.

Del resto, saranno proprio i ragazzi, dopo mesi e mesi di lavoro, a divenire ambasciatori di un messaggio di speranza e prevenzione di ogni forma di violenza contro i bambini e gli adolescenti. I
laboratori sono stati infatti realizzati come una delle tante tappe previste da We Care (a breve partiranno le cosiddette attività di study visit sul campo) che porteranno tutti loro a realizzare un vero
e proprio “Tour della Prevenzione” che coinvolgerà altre scuole delle province di Teramo e Pescara.

Anche se abbiamo parlato con Elisa, Giulia ed Emanuela, sono proprio i ragazzi, infine, i protagonisti dell’intervista che segue. Attraverso le parole di chi li ha seguiti e accompagnati giorno per giorno, ci
sono tutti gli sforzi fatti insieme, le difficoltà superate durante il viaggio, ma soprattutto c’è la gioia di averli visti crescere e aprirsi. Forse, in primis, a se stessi, e poi al mondo.

Elisa, hai voglia di inquadrarci il contesto?

Certo! Per prima cosa è utile dire sin da subito che il lavoro svolto con i laboratori presso le due Scuole Superiori è stato realizzato sia con ragazzi che provenivano dallo stesso gruppo classe sia con
gruppi misti dove è stato necessario dar vita ad attività mirate al conoscersi e a essere (e diventare) davvero gruppo. La situazione sociale oggi, esasperata dalla pandemia Covid 19, pone tutti noi
professionisti dell’età evolutiva di fronte a dinamiche mai prima conosciute, soprattutto tra gli adolescenti: difficoltà di comunicare, di relazionarsi e di esprimere le proprie emozioni. C’è
molto imbarazzo rispetto al mostrarsi e al raccontarsi, ci sono anche tanti blocchi fisici. Basti pensare al cellulare che è diventato ormai espressione, parte del loro corpo. Per questo è necessario
modificare la modalità di approccio nei loro confronti anche già solo rispetto a quella che si poteva mettere in gioco 10 anni fa. Per questo il laboratorio sul teatro è stato così importante. Perché il
teatro ha attraversato le loro “resistenze”, li ha condotti a conoscere linguaggi altri di relazione, a sperimentare e sperimentarsi. Lo stesso cellulare è stato utilizzato come strumento
utile, ad esempio per la ricerca di contenuti.

Quando parli di “resistenze”, a cosa ti riferisci?

Al fatto che questi adolescenti hanno tanto bisogno di una forma di ascolto diversa da quella che la dimensione sociale richiede. E’ facile inoltre vedere che aprono un dialogo con l’adulto di
riferimento solo se capiscono che quella figura non li porta dove vuole lui. Offrire l’opportunità a un’istituzione formale, come quella scolastica, di inserire un laboratorio di teatro-educazione e
uno di comunicazione sociale è stato, a mio parere, uno dei tanti punti di forza del progetto We Care. Perché significa offrire ai giovani l’opportunità di lasciarsi andare e aprirsi. Una delle
difficoltà più grandi che abbiamo incontrato, è stata quella di far capire ai ragazzi che ci interessavano come persone non come allievi.
L’ascolto che abbiamo loro riservato è stata di conseguenza la chiave che li ha fatti sentire riconosciuti e che ha permesso loro di raccontarsi, di raccontare le loro paure, i loro sogni e le loro
passioni. In poche parole, la chiave che ha permesso loro di comunicare ciò che avevano dentro.

E di fronte al tema del maltrattamento e degli abusi, come hanno reagito i ragazzi?

Il progetto è un’occasione per spezzare la catena della violenza. I ragazzi provano amarezza, rabbia, tristezza. Almeno idealmente sentono forte la voglia di dire NO a tutte le violenze, di dire che non vanno
bene e che non sono giuste. Ciò su cui abbiamo lavorato tanto sui laboratori è far emergere la consapevolezza del fatto per cui per cambiare il mondo è necessario partire da ognuno di noi, dalle
piccole cose sino alle grandi. Un esempio? Anche una frase detta “per scherzo” a volte può ferire chi abbiamo davanti. Cambiare linguaggio in tanti momenti della nostra vita può essere già il primo passo per
un cambiamento notevole che porta al confronto e non allo scontro.

Giulia, vuoi approfondire questo argomento?

Durante i laboratori abbiamo introdotto i ragazzi a una serie di argomenti sul tema della violenza sui minori e li abbiamo condivisi insieme. Poi li abbiamo fatti riflettere su cosa a loro poteva fare
più male, su quale violenza li aveva colpiti di più. Ciò che ci ha stupito tanto è la loro fame di conoscenza ma anche la voglia di trovare soluzioni. Ci premeva molto lavorare sullo sviluppo del
cosiddetto pensiero critico, che è un po’ l’obiettivo del progetto We Care. In primis, abbiamo puntato sull’imparare a gestire la carica emotiva che spesso demotiva i più giovani al fare, chiedendo loro di
non scappare, ma di prendersi del tempo e poi scegliere dove andare. Poi sui cosiddetti “campanelli di allarme” e, soprattutto, su come i ragazzi potevano fare a riconoscerli e, infine sulla consapevolezza
dell’importanza che i problemi vanno condivisi, se si vuole superarli, così come sull’importanza di chiedere aiuto: alla rete famigliare, a quella amicale, ma anche a figure di riferimento adulte come possono
essere i professionisti dell’età evolutiva.

Emanuela, perché proprio i laboratori come strumento di formazione e crescita per i più giovani? 

I laboratori per noi rappresentano validi e potenti strumenti attraverso i quali riusciamo a trasmettere competenze, utilizzando una metodologia di partecipazione attiva, in cui i ragazzi coinvolti
possano sentirsi parte pensante e costruttori di contenuti, scardinando così l’idea comune di contenitori vuoti, da colmare solo con le nostre idee preconfezionate. Se da un lato il laboratorio di
teatro educazione ha insegnato ai ragazzi che esistono modi diversi di entrare in relazione tra di loro e con gli adulti, dotandoli per così dire di “super-poteri”, di occhiali invisibili che li hanno aiutati a
guardare il mondo da un punto di vista diverso, il laboratorio di comunicazione sociale è stato un’ulteriore tappa nel loro percorso di
crescita. E’ proprio qui che, infatti, hanno dovuto confrontarsi con la presa in carico delle loro azioni, a partire dalla scelta di come organizzare tutte le informazioni ricevute, per poi comunicarle al
meglio agli studenti loro pari che incontreranno durante il Tour della prevenzione.

Elisa, a questo punto tocca a te iniziare a svelare cosa racconteranno i ragazzi nei prossimi mesi quando, con l’ultimo laboratorio a loro dedicato di storytelling e video making realizzeranno un cortometraggio. 

I ragazzi si sono interrogati davvero tanto e sono arrivati a chiedersi se, visto che il tema su cui verterà il cortometraggio sarà quello della prevenzione delle violenze sui minori, se a loro
bastavano tutti gli stimoli ricevuti sino a quel momento.Tanta è stata la nostra meraviglia quando li abbiamo visti iniziare un percorso in loro stessi che li portava a ricercare nel passato, nei
loro stessi traumi infantili, la chiave dei loro irrisolti di adolescenti. Di fronte a ciò che loro percepiscono come una mancanza di responsabilità nei loro confronti degli adulti, hanno iniziato a
prendersi cura di sé, a chiedersi dove si era inceppato il meccanismo, a capire il perché dei loro traumi.

Il momento più bello di tutto il percorso? 

Prima delle vacanze natalizie. I ragazzi sono abituati che, dopo le vacanze, rientrano in classe e trovano i loro insegnanti e tutto prosegue come prima. I laboratori non sarebbero però ricominciati con
la stessa cadenza del calendario scolastico. Quando i ragazzi l’hanno saputo, sono rimasti stupiti e disorientati e ci hanno chiesto come facevano, senza di noi, a riflettere e a discutere. Gli abbiamo
provato a dare un input, gli rispondemmo di iniziare a riflettere e discutere tra di loro. E’ successo proprio così. Al nostro ritorno in classe i ragazzi avevano tolto lo scettro delle responsabilità alla
figura adulta e se le erano redistribuite nella relazione tra pari. Ci ha commosso vederli così  chissà quante altre volte ci commuoveranno ancora.

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