Servizi territoriali e home visiting: quanto è importante fare rete
di focolaremariaregina
L’ ultima richiesta al servizio di home visiting del progetto We Care è arrivata per un neonato di poche settimane. Francesco, lo chiameremo così per preservarne la privacy, e la sua famiglia hanno bisogno di aiuto, sostegno e accompagnamento, per affrontare insieme e con serenità le sfide della vita.
Francesco è infatti un bimbo che è venuto al mondo con tante fragilità, per questo è stato accolto dal reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale di Pescara dove è presente una psicologa di We Care dedicata all’individuazione dei bisogni dei neonati e delle loro famiglie al fine di attivare una rete capace di offrire cura e sostegno, attenzione e scambio, dialogo e fiducia attraverso gli interventi di home visiting.
Per 6 mesi le sue fragilità e quelle della sua famiglia diventeranno il centro di un lavoro di équipe che, prendendosi cura di lui e dei suoi genitori, darà vita a tante piccole trasformazioni in grado di far fronte e provare a superare tutte le piccole e grandi criticità quotidiane.
Del servizio di home visiting del progetto We Care e del suo impatto in termini di prevenzione e contrasto di forme di trascuratezza e maltrattamento minorile interne alle famiglie, ne abbiamo parlato con la sua Coordinatrice, Dott.ssa Raffaella D’Elpidio.
– Dott.ssa D’Elpidio, la storia di Francesco è una delle tante storie che vedono protagonisti i bambini e le loro famiglie che vivono situazioni di disagio e difficoltà sul territorio delle province di Pescara e Teramo e di cui il progetto We Care si è fatto carico attraverso il servizio di Home Visiting. Ha voglia di raccontarci meglio di cosa si tratta?
Certo, e sono davvero felice di iniziare a raccontare il servizio di home visiting partendo da Stefano, che è il bimbo più piccolo preso in carico dal nostro progetto.
Da quando We Care è nato, ormai sono più di 30 i nuclei familiari provenienti dalle zona metropolitana pescarese e dalla zona del teramano e una buona metà delle famiglie di Pescara sono state inviate al Progetto dal nostro servizio attivo presso il reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale. Un dato davvero importante che ci dimostra
come l’essere riusciti a fare rete con l’ASL di Pescara ci ha permesso di intercettare le famiglie che necessitano di aiuto sin dai primissimi giorni di vita del bambino o della bambina, collegandoli al nostro progetto.
– Un bel traguardo! E le altre famiglie che avete seguito? Come siete riusciti ad intercettarle?
Attraverso la costruzione di altre reti che ci vedono collaborare con i servizi territoriali delle due province. Nella zona di Teramo la fascia d’età dei bambini coinvolti è varia, ma prevalente è quella che va da 5 a 16 anni. In questi casi l’home visiting è uno strumento che rafforza – e non sostituisce – gli interventi che già vengono messi in atto, offrendo alle famiglie un vero e proprio zaino di attrezzi che va, di fatto, a potenziare il servizio domiciliare previsto ordinariamente. We Care mette poi a disposizione delle tante realtà che incontriamo anche una dote educativa: grazie a un voucher possiamo abbinare all’home visiting la possibilità di sostenere le famiglie attraverso azioni come, per esempio, l’acquisto di servizi e opportunità per i bambini (abbonamento scuolabus, buoni pasto, retta centri educativi e sportivi, libri scolastici ma anche materiale ludico). Un dato colpisce particolarmente ed è la richiesta di aiuto che proviene dai nuclei familiari dove sono presenti dei bambini/ragazzi con disabilità.
– Secondo lei perché?
In primis per le problematiche di salute dei bambini che spesso hanno bisogno di un supporto h24, a cui fanno eco le tante paure dei genitori che vivono la disabilità dei loro bambini come un evento traumatico. Da un lato bisogna sostenere la forza che devono farsi i papà per lasciare a casa la loro famiglia e andare a lavorare, dall’altro la solitudine delle mamme e la sofferenza dei fratelli e delle sorelle. Attraverso lo strumento dell’home visiting abbiamo potuto aiutare tante famiglie a capire e, soprattutto, abbracciare la situazione a livello emotivo. L’home visiting è infatti uno strumento di tutela dei bambini, per ridurre l’isolamento dei neo genitori, affiancarne le azioni di cura quotidiane, per cogliere i progressi valorizzandoli restituendo alla famiglia ciò di cui può essere capace.
– Si potrebbe quasi definire una vera e propria condivisione nell’accudimento?
Sì, l’home visiting è proprio questo: un sostegno che aiuta le famiglie a fronteggiare le difficoltà insieme alla nostra equipe, una proposta di modalità diverse di seguire i figli, un orientamento verso nuovi percorsi e soluzioni condivisi, una forma di mediazione del conflitto e, allo stesso tempo, un rinforzo dell’autostima dei genitori. Entrare in un setting come quello famigliare non è un compito facile: si usa dire che si entra in terra straniera. La nostra presenza può infatti essere percepita come un’invasione. Per questo lavoriamo sempre in punta di piedi, soprattutto mettendoci a disposizione e in ascolto delle famiglie e in totale assenza di giudizio. C’è una frase di una mamma che mi piace ricordare quando penso a quanto abbiamo fatto sino ad oggi. Il giorno in cui la nostra equipe concluse il percorso con la sua famiglia, questa donna chiese alla nostra operatrice “Noi possiamo sempre chiamarti?”. L’home visiting non è solo un intervento che ha un inizio e una fine: il filo dell’ascolto resta sempre aperto, il prendersi cura mette in gioco relazioni e vincoli che rimangono nel tempo, tesori e scambi umani di alta intensità.
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