I laboratori scolastici di Vagabondi Efficaci: i temi centrali della paura e dell’immaginazione per l’a.s. 18-19

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Il progetto Vagabondi Efficaci prende in prestito il titolo del libro, oggi introvabile, di Ferdinand Deligny, uscito in Francia nel 1970. Deligny, a partire dagli anni Trenta, si occupò di ragazzini difficili, caratteriali, ribelli, agitati; nel periodo della guerra e negli anni successivi mise a punto non propriamente un metodo, ma un modo di agire pedagogico, basato sulla mobilità dei giovani, creando una rete di luoghi, simili agli ostelli della gioventù. Quando François Truffaut girò la memorabile scena finale de I 400 colpi, con il piccolo Antoine Doinel che corre libero sulla spiaggia verso il mare, aveva in testa proprio Deligny con i suoi ragazzi.

 Vagabondi efficaci è un progetto diffuso sul territorio regionale, che intende contrastare la dispersione scolastica con l’attivazione di numerosi laboratori di natura artistica e culturale. L’idea di fondo è costruire, in trenta mesi (la durata dell’intero progetto), una sorta di grande mappa della Toscana. Riscrivere la mappa del proprio territorio vuole essere un gesto di riscoperta e conoscenza del paese o città o provincia, dove si vive. I laboratori saranno i momenti di lavoro comune, durante i quali i linguaggi dell’arte (in particolare il teatro, la narrazione e l’arte visiva) serviranno per esplorare e allo stesso tempo raccontare i luoghi che vengono frequentati quotidianamente dai ragazzi e che risultano importanti, per i più svariati motivi.

Il progetto si sviluppa in una prima fase stanziale, organizzata durante l’orario scolastico, dove l’intera classe costruisce una “mappa emotiva”, cioè organizza i luoghi della vita quotidiana secondo narrazioni collettive, esperienze vissute, conflitti in atto e sogni di trasformazione. Nella seconda parte del progetto invece il “vagabondaggio” si farà reale e fisico con la possibilità di conoscere i territori limitrofi e gli altri gruppi di adolescenti coinvolti nel progetto, con i quali si attiveranno scambi e reciproci racconti. L’appuntamento finale raccoglierà azioni teatrali, testimonianze e manufatti dell’intero progetto in una sorta di grande mostra collettiva che sarà anche il racconto di una Toscana vista dallo sguardo mobile e inquieto degli adolescenti di oggi.

All’interno dell’idea di mappa e a fianco dei vagabondaggi letterali e metaforici, s’individuano due motori emotivi per la costruzione dei laboratori: la paura e l’immaginazione. In particolare come riferimento è stata presa la recente intervista di Daniel Pennac, in cui lo scrittore riflette su alcuni temi che riguardano l’educazione. Pennac confessa che quando era un ragazzo, a scuola, aveva paura. Paura di essere giudicato dagli adulti, dagli insegnanti, dai genitori. Sostiene che anche gli adulti hanno paura: i genitori hanno paura che i loro figli non riescano, gli insegnanti di non essere buoni maestri. Dice che il suo lavoro da adulto, quello di romanziere e scrittore, è stato tutto incentrato sul guarire da questa paura.

Tutta questa paura è legata alla solitudine: solitudine del ragazzo, del professore, del genitore. Allora è necessario colmare questo vuoto, questa solitudine. Come fare? Pennac è convinto che pedagogicamente si può infrangere questa solitudine realizzando dei progetti comuni, dove tutti sono coinvolti. Per esempio con il teatro. Ma anche con altre forme espressive e laboratoriali.

Poi tratta il tema di come stimolare lo studente senza ingannare la sua fiducia e racconta di quando da ragazzo era un pessimo studente che non faceva compiti e ingannava i docenti. E il suo professore di francese gli chiese di trasformare la sua immaginazione, con cui fabbricava sempre nuove menzogne, in immaginazione per scrivere un romanzo. Gli chiese di abbandonare i compiti a casa, ma di portargli solo 10 pagine scritte ogni settimana. Bene, quel professore lo salvò, aveva trasformato uno studente passivo in uno studente attivo, con gli esiti che noi tutti conosciamo.

L’immaginazione è la macchina più bella e potente che abbiamo, ed ha bisogno di nutrimento. L’immaginazione crea nuovi mondi e apre a prospettive diverse per indagare la nostra realtà. Ma come si nutre l’immaginazione? Attraverso la lettura, il rapporto con le arti, la conoscenza del prossimo, del diverso, di ciò che mette in dubbio le nostre certezze, attraverso lo sforzo di capire ciò che non capiamo.

Pennac prosegue affermando la difficoltà che oggi gli insegnanti trovano nell’insegnare a bambini che sono fin da subito soggetti ai desideri della società dei consumi; desideri che confliggono con quelli che sono invece i bisogni fondamentali dell’apprendere a scrivere, a far di conto, a pensare.

Dice poi che la prima forma di educazione è l’esempio. Questo è un concetto che possiamo estendere a tutti i livelli sociali: siamo tutti responsabili di come vanno le cose intorno a noi. Il nostro esempio è fondamentale per migliorare le cose. Così come l’esempio del genitore, prima che dell’insegnante è fondamentale nel processo formativo di uno studente.

Chiude sostenendo una grande e semplice verità: quello che sappiamo, ciò che abbiamo imparato, che abbiamo studiato, non ci appartiene. Non è nostra proprietà privata. Noi non siamo che dei trasmettitori di questa cultura. E questa trasmissione è una delle ragioni più importanti della nostra esistenza.

Quest’ultima riflessione in particolare dovrebbe guidare la nostra progettazione e i nostri interventi nelle scuole.

Sono concetti molto semplici che possiamo prendere come una prima base di riflessione su cui iniziare a costruire un percorso comune.

 

Link all’intervista: https://www.youtube.com/watch?v=e_tOoQIwLMc

 

Articolo e riflessioni a cura di Lorenzo Cipriani e Rodolfo Sacchettini

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