In Val Polcevera, la speranza rinasce dal Villaggio per Crescere
di Centro per la Salute del Bambino
«Mi chiama mamma ma sa che sono la nonna». Luigia – i nomi non sono quelli reali per tutelare i minori – oggi ha 57 anni e ha dato la vita per sua nipote. «Me la misero in braccio quando aveva 20 giorni e la mamma andò via. Se non la prendevamo noi finiva in istituto. L’ho tirata su con le mie forze tra mille difficoltà come i figli disoccupati e lavoretti saltuari. Me la sono portata a fare le pulizie, la portavo al parco nei momenti di pausa. Sono ancora costretta a lavorare». I ritagli di tempo erano gli unici momenti che la mamma/nonna poteva trascorrere con la sua adorata nipote, Francesca, che oggi ha 9 anni e va a scuola ma prima, fino ai 6 anni non aveva altro punto di riferimento se non la nonna. Suo papà ora ha trovato un’altra compagna, da cui ha avuto un altro bambino, Fabrizio che ha 18 mesi. «Ma la storia è diversa per lui – sottolinea Luigia – adesso c’è il Villaggio».
Già, perché da giugno a Genova, nella biblioteca del Castello Foltzer della Val Polcevera, ha aperto le porte “Un Villaggio per Crescere”. Dopo la pausa estiva, le attività riprenderanno a novembre ma dal 17 settembre c’è un altro Villaggio, presso la Casa della Beata Chiara, il centro polifunzionale di via Bonaventura.
Dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi, che ha colpito duramente tutta la città ma in particolare questa zona del capoluogo ligure, gli abitanti della Val Polcevera hanno ora un luogo di socialità di alta qualità, dove passare delle ore fruttuose per sé e per i propri bambini. Un luogo costruito soprattutto da loro e per loro. Perché se ci sono caratteristiche che accomunano i cittadini di questa zona di Genova è quella di essere combattivi, di non fermarsi vai ed andare avanti, di costruire reti sociali, ponti relazionali, ponti umani per sentirsi più vicini, per non andare in frantumi ma anzi rinascere dopo la morte.
Ed è un anche un orgoglio poter ricordare che quello genovese è il primo Villaggio a spalancare le porte dei 9 previsti in Italia.
Tutti sorgeranno in zone caratterizzate da alta prevalenza di povertà educativa o carenza di servizi per l’infanzia. I nove centri sono l’espressione del progetto nazionale “Un Villaggio per Crescere”, proposto e coordinato dal Centro per la Salute del Bambino e attuato grazie al Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile dell’Impresa Sociale Con i Bambini e alla collaborazione di numerosi partner locali. Tramite i Villaggi, ci si propone di garantire un’offerta educativa di qualità a tutte le famiglie con bambini di età compresa tra 0 e i 6 anni
Il territorio della Val Polcevera
La scelta di realizzare il Villaggio di Genova nella Val Polcevera non è casuale. È un territorio dove negli anni Sessanta e Settanta, come in tante parti d’Italia, sono stati costruiti i casermoni di edilizia popolare, «con situazioni di fragilità enormi e degrado sociale in zone, peraltro, ad alta concentrazione di immigrazione proveniente dal sud Italia. Questi luoghi poi sono diventati destinazione di altri flussi migratori, nuovi, dal resto del mondo», spiega Nadia Porfido, psicologa dell’Ambito Territoriale Sociale 41 del Comune di Genova.
Ma è proprio grazie a questa storica presenza di immigrati che qui c’è uno dei maggiori tassi di fecondità del capoluogo ligure. L’Istat ci dice che a livello nazionale si è battuto il record negativo delle nascite dall’unità d’Italia (1861), ma nella Val Polcevera si va controcorrente. Anche rispetto a un altro dato, spesso non considerato: i cittadini provenienti da altre parti del mondo iniziano ad acquisire stile di vita italiani e dunque fanno meno figli rispetto al passato. Ma non qui.
Ad abitare la vallata del ponente genovese sono soprattutto ecuadoriani e albanesi. Due etnie che a Genova si sono rivelate molto prolifiche. Oltre i bambini messi al mondo direttamente dagli immigrati, a far aumentare la popolazione qui è anche il fenomeno del ricongiungimento familiare. I ragazzi raggiungono i genitori e, una volta insediatisi, fanno figli a loro volta. Spesso in giovane età. Inoltre, la presenza di nuclei familiari completi è un altro elemento che favorisce la fecondità. Quindi assistiamo a un insieme di fattori che messi assieme spiegano le condizioni particolarmente positive per avere l’inusuale incremento demografico.
Se in un paese “vecchio” come l’Italia l’arrivo di nuovi cittadini non può che essere una notizia positiva, però dobbiamo considerare che a seconda delle condizioni sociali e dei contesti territoriali ed economici in cui avviene, l’aumento demografico può portare con sé anche diverse problematiche.
La generazione “sandwich”
«Questa si può considerare una generazione “sandwich”, schiacciata tra l’allevamento dei figli, il lavoro – che rappresenta sempre un elemento di criticità – e l’accudimento dei genitori anziani», spiega Maria Carla Sivori, pedagogista e responsabile del Villaggio della Val Polcevera, oltre a coordinare i servizi per minori di Ascur, una cooperativa sociale attiva da più di trent’anni e partner locale del Villaggio insieme al Comune di Genova. Le problematiche di cui parla non riguardano solo gli stranieri ma la popolazione nella sua complessità, italiani compresi. «Anche le donne – sottolinea Sivori – perché hanno un livello di istruzione più basso, e sono inserite in circuiti di fragilità di deprivazione materiale e morale».
In generale sono famiglie in cui aumentano i bisogni e c’è al tempo stesso una minore potenzialità di cura. Perché accanto alle famiglie complete, coesistono famiglie piccole, monoparentali, a causa di separazione, o perché ci sono molte ragazze madri. E anche quando la famiglia è maggiormente strutturata, come nel caso di Luigia, soffre privazioni materiali dovute alla mancanza di lavoro e alla scarsa qualificazione professionale che impedisce un reinserimento più veloce.
La storia di Luigia conferma empiricamente questo dato: «Il padre di Francesca e l’altro mio figlio – spiega infatti Luigia – sono muratori ma hanno perso il lavoro e non ne trovano. Negli ultimi dieci anni sono fallite 4 ditte in cui lavoravano. Quindi io sono ancora costretta a fare le pulizie negli studi dei professionisti».
Anche le famiglie complete, strutturate, soffrono la mancanza di una rete parentale e amicale, di vicinato. Delle vere e proprie istituzioni sociali che negli anni passati costituivano un contraltare all’individualismo e all’isolamento. Alla solitudine.
Questo succede purtroppo anche nella Val Polcevera, cioè in un territorio dove le reti sociali non si sono mai completamente sfaldate. Tra queste salite e discese del ponente genovese c’è sempre stato un fermento di risposte, con una lunga tradizione di intervento delle parrocchie, del volontariato laico e cattolico. «È un territorio – continua Sivori – nel quale i bisogni sono evidenti: o decidi di andare ad abitare da un’altra parte, con tutto quello che comporta, o li affronti». E in tanti qui hanno deciso di prendere di petto le asperità della vita.
E tra chi maggiormente patisce questi disagi, ci sono i bambini.
Le problematiche minorili
«Siamo una delle zone il più alto numero di minori con affidamento con mandato dell’autorità giudiziaria ai servizi sociali e in affido familiare. Spesso anche nella fascia 0-6. In questo momento ci sono bambini che arrivano da maltrattamenti, che può essere considerata anche la trascuratezza fisica, la mancanza di igiene, pulizia, di bisogni affettivi forti. Bambini che non vengono abbracciati o che vengono abbandonati davanti alla tv, ai tablet, ai telefonini delle mamme e dei papà. C’è una genitoralità casuale, con maternità precoci che avvengono per caso. Abbiamo situazioni con genitori minorenni, che andrebbero tutelati loro stessi», sottolinea Nadia Porfido.
Mentre Maria Carla Sivori mette in luce un altro aspetto importante: «Molte delle offerte educative per la fascia 0-6 sono molto più tarate sui tempi del genitore più che su quelli del bambino. Invece è emersa la necessità di risposte più declinate con i tempi dei bambini».
Ed è proprio uno degli obiettivi principali del progetto Un Villaggio per Crescere. Operatori e volontari della Val Polcevera stanno cercando di attivare un processo partecipativo dal basso, che individui l’emergere dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie.
Come nel caso di Fabrizio, l’altro nipote di Luigia, la cui infanzia sembra essere molto diversa rispetto a quello della sorella, anche grazie al Villaggio.
Perché è necessario il Villaggio
«Mio figlio ha 18 mesi, è molto vivace, non sta fermo un attimo. Si è ambientato bene, gli è piaciuto. Ho notato – spiega Filippa, 28 anni, mamma di Fabrizio e nuora di Luigia – che quando torniamo a casa è cotto dalla stanchezza. Andiamo un’ora il martedì e un’ora il giovedì».
Filippa ha seguito il consiglio di Luigia e ha portato suo figlio al Villaggio. «Me ne ha parlato proprio la signora Sivori dell’apertura di questo nuovo centro per i bambini piccoli, da 0 a 6 anni, quando ho portato Francesca al centro dell’Ascur, dove fa tante attività. Ho pensato subito all’altro mio nipote, alla possibilità che poteva avere», spiega la nonna.
In realtà Luigia aveva anche un altro incubo: che suo figlio le desse in carico anche il secondogenito, così come aveva fatto con Francesca. «Quando è rimasta incinta mia nuora ho detto loro: “O vi arrangiate, o via arrangiate!”». E Filippa si è arrangiata bene.
«Al Villaggio il rapporto è tra genitore e figlio. Si sta insieme. Abbiamo giocato, abbiamo iniziato a leggere, c’erano educatori e volontari che facevano musica e lettura. Leggevano libri adatti ai bambini, controllavano l’età dei bambini e poi che il libro fosse quello giusto per la loro età».
Non solo lettura ma anche musica. «C’era un educatore che suonava e mio figlio diventava matto! Perché lo distraeva. Quando entra in una stanza lui va ovunque, è molto vivace. Invece quando hanno iniziato a suonare è stato come se ci fosse un pifferaio magico. Più o meno, lo ipnotizzava».
Al Villaggio i bambini, anche se piccoli, non rimangono passivi ma vengono coinvolti nelle attività. Ad esempio, Fabrizio ha suonato con sua mamma. «C’era uno strumento fatto con le capsule del caffè. C’era anche un tamburello. Facevo vedere come si doveva fare e poi lo faceva lui. Si divertiva. Tutti i bambini si divertivano».
La vita di questa giovane mamma e del suo bambino è cambiata da quando nel Castello Foltzer c’è Il Villaggio. «Prima – continua Filippa – facevo delle lunghe camminate, lo portavo fuori. Provavo a fare giochi in casa con lui, però non è la stessa cosa. Un bambino a casa può fare le stesse cose che fa in una struttura però non le percepisce nello stesso modo».
Fabrizio ora sta imparando a relazionarsi con la sua mamma e con i suoi coetanei in un modo nuovo, positivo. La socializzazione tra i bimbi può sembrare un aspetto normale, che tutti abbiamo affrontato da piccoli. In realtà non è così. La società attuale è molto più atomizzata, i bambini hanno poche o nulle possibilità di incontrare altri bambini. Di apprendere uno dall’altro.
Inoltre, spesso i servizi sul territorio sono pensati e realizzati più sulle esigenze dei genitori che dei piccoli.
«Quello che gli serve è proprio un ambiente dove ci siano altri bambini ma che sia attivo il contatto con il genitore», racconta Filippa. «Quando lo porto al parco sembra il proprietario dei giochi. Invece se un gioco è di tutti, è di tutti e lui non deve appropriarsene escludendo gli altri. Voglio che quando andrà in un asilo non abbia più questi comportamenti arroganti. Voglio che abbia una “via giusta”, che stia composto, che ascolti. Bene o male un po’ l’ha fatto nei giorni in cui l’ho portato al Villaggio. Che poi è come se fossi a casa, perché c’è un clima familiare».
Anche Luigia, concorda: «I bambini devono stare con altri bambini, perché dai grandi imparano solo il male», afferma categorica.
Ma il fulcro dell’azione educativa del Villaggio risiede nel rapporto tra genitori e figli. «Andare al Villaggio—racconta Filippa —mi ha trasmesso alcune cose, alcuni modi di fare. Come avere dei rapporti con mio figlio attraverso il gioco. Mi sono divertita, sono stata benissimo, e si è divertito soprattutto lui».
A cambiare è anche la relazione tra genitori: «Ci siamo sentiti tutti più bambini».
«Non vedo l’ora che aumentino gli incontri al Villaggio. Anche se ci sono andata poche volte, ha cambiato il rapporto con mio figlio».
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