A Torino il Villaggio intreccia la trama del tessuto sociale
di Centro per la Salute del Bambino
«Nami, mia figlia di 14 mesi, è “promessa” a un bambino nigeriano bellissimo. Lo ha portato la nonna, bellissima anche lei». Scherza, Paola, sul matrimonio della sua piccola. Il promesso sposo e sua nonna sono solo alcune delle relazioni nate da quando frequenta il Villaggio per Crescere di Torino.«Sono sempre uscita tantissimo ho sempre avuto un sacco di relazioni sociali. Passare un inverno da sola in casa senza poter fare niente e stato faticoso».
Poi una telefonata, un incontro con una vecchia amica con cui non ci si vede da tempo, cambiano il finale di stagione. «Mi ha detto che lavorava lì, sostituiva una ragazza che era in maternità. Allora ho provato». All’epoca Nami aveva 10 mesi. «Non avevo idea di cosa aspettarmi e non sapevo di cosa si trattasse. Mi hanno detto che era una “ludoteca” dove la bambina poteva giocare con me. Non un asilo, o una materna. Mi aspettavo un posto dove ci fossero dei giochi da fare con la bambina. E invece è tanto altro».
Perché il Villaggio c’è soprattutto la grande competenza delle educatrici e delle volontarie e il surplus del metodo Montessori.«Ho trovato tutto molto interessante. Ho notato che Nami ha iniziato a fare delle cose che prima non faceva, cose molto belle come rimettere a posto le cose!». Scherza ancora Paola (ma non troppo) per sottolineare i cambiamenti che ha notato in sua figlia da quando frequenta il centro aperto lo scorso ottobre nel quartiere Barriera Milano. «Cosa avrei fatto se non avessi scoperto il Villaggio? Non lo so. Era inverno, frequentavo i parenti o i pochi amici. Con Nami andavamo un po’ in giro. Poi, certo, c’era il nuoto, i giardinetti ma attività specifiche per lei, no».
Da quando lo ha scoperto, Paola va al Villaggio con sua figlia ogni mattina. Perché se è vero che il suo focus sono le bambine e i bambini da 0 a 6 anni, è innegabile che le ricadute sociali positive ci siano anche per gli adulti. A iniziare dall’essere un luogo di relazione per le mamme. «Per me è servito ad avere relazioni sociali, perché con la bambina si ha pochissimo tempo e coltivare rapporti sociali è difficile. Il Villaggio invece è molto funzionale. Ho fatto amicizie con qualche mamma. Le vedo volentieri anche al di fuori. Le mamme però sono poche: la maggior parte delle persone che frequentano con i bimbi, sono nonni».
Tra cui c’è anche la nonna del promesso sposo di Nami. Perché Barriera Milano è un quartiere ad alta presenza di cittadini di origine straniera e il Villaggio contribuisce all’integrazione. «Pensavo ci fossero più stranieri, in realtà. C’è qualche persona di origine africana, ci sono rumeni, che sono qualcuno in più rispetto agli altri. Diciamo che la presenza è metà italiani, metà cittadini di origine straniera».
A Torino si sta consolidando una comunità educante intorno al Villaggio. «All’interno c’è un bel clima, uno spirito positivo. Si sta creando un bell’ambiente, anche perché le persone che lo frequentano non vengono una volta e basta, lo frequentano con assiduità, per cui ci si conosce». Anche nel quartiere il Villaggio è sempre più inserito nel tessuto sociale. «Le persone passano e, anche se non hanno un bambino, si fermano a chiacchierare due minuti. Gli anziani si fermano, chiedono».
Sembra che a Barriera Milano abbiano capito che per crescere un bambino c’è bisogno di un villaggio.
Mario Gottardi
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