Amalia: l’investimento nei bambini ci tornerà utile nel futuro, da vecchi
di Centro per la Salute del Bambino
Amalia ha sempre avuto una passione: la letteratura per bambini e per ragazzi. «Quando è nato mio figlio ho avuto la scusa perfetta per sbizzarrirmi». Giuseppe ora ha tre anni e mezzo e ascolta le storie fin da prima di venire al mondo, fin da quando stava nel pancione di mamma. «Ho iniziato a leggere quando ancora ero incinta. Avevo qualche libro di fiabe e leggevo a voce alta per abituare il bambino al suono della mia voce. Poi ho continuato quando è nato».
Giuseppe è un bambino fortunato, perché ha avuto accesso a un mondo fatto di colori, personaggi, di storie che altri bambini purtroppo non hanno. Anche Amalia è una donna fortunata, perché ha potuto vedere su se stessa e su suo figlio i benefici della lettura condivisa. Ma è fortunata soprattutto perché ha avuto la possibilità di coinvolgere altre persone in questa buona pratica. Amalia, genovese di residenza ma lombarda di provenienza, è una volontaria di Nati per Leggere, il programma di lettura condivisa avviato dal Centro per la Salute del Bambino, dall’Associazione Culturale Pediatri e dall’Associazione Italiana Biblioteche che è un po’ il precursore del progetto Un Villaggio per Crescere. Per Amalia, giovane mamma trentenne, frequentare il Villaggio di Genova è stato quasi un atto naturale.
«Abito qui a Genova da un paio d’anni. Io non sono una molto socievole. Ho cominciato ad andare al Villaggio quando Giuseppe ha iniziato la scuola materna. Ho cercato di fare un po’ di passaparola sui social, di fare un po’ di pubblicità, perché ho visto che ci sono mamme che hanno paura di frequentarsi con altre mamme e che nella comunità non c’è risposta proprio da parte delle persone che ne avrebbero più bisogno».
Persone che spesso non si rendono conto dei benefici che inserirsi in una comunità educante come quella del Villaggio potrebbe portare loro e ai loro bambini. Mamme che a volte reagiscono con indifferenza, altre con suscettibilità. Ed per è per questo motivo che Amalia cerca di approcciarsi agli altri genitori «ma senza essere molto invadente». Preferirebbe che le mamme e i papà si avvicinassero spontaneamente al Villaggio. «Faccio passaparola, dico che ci sono gli incontri, racconto quello che facciamo».
Nonostante l’esperienza di volontaria NpL, Amalia al Villaggio di Genova si lascia consigliare. «Sono una “spettatrice”. Mi lascio condurre dalle educatrici e poi condivido l’attività con Giuseppe. Il messaggio che mi è passato è questo: fare assieme, anche se a volte bisogna “recitare una parte”, come battere le mani o altre attività basilari.
Un concetto che va a scontrarsi con l’idea che i bambini debbano essere solo intrattenuti da un terzo. E non importa che sia una persona o un apparecchio elettronico: l’importante è che i bambini passino tempo da soli, in autonomia, di modo che il genitore abbia tempo libero da dedicare a se stesso. Invece ci sarebbe bisogno proprio del contrario, di più relazioni. In questa società sempre più parcellizzata, che pratica e insegna un individualismo sfrenato, il bambino si ritrova solo e senza strumenti per affrontare il mondo. «La mia generazione giocava per strada. Si andava in bicicletta, ci si confrontava, anche con gli adulti. Mentre ora l’impressione che ho è che ognuno rimanga nel suo gruppo, nella sua casa, senza confronto». Ecco perché il Villaggio è un luogo, un progetto, sempre più necessario, perché nel creare una forma di di integrazione e relazione tra bambini e genitori, e tra bambini stessi e poi tra i genitori crea un senso di comunità perduto, che invece servirebbe sempre di più anche agli adulti.
«Sono molto angosciata dalla situazione politica-culturale che stiamo vivendo», spiega Amalia, «e l’unica cosa da fare per me è investire sui bambini, perché saranno loro a governare la società di domani. E credo che tutti gli investimenti di tempo, denaro e in cultura per i bambini ci torneranno indietro con gli interessi nel futuro, quando noi saremo vecchi, perché avremo una società migliore».
Questa giovane donna, però si sente sola quando fa questi ragionamenti ma non per questo demorde. «Per me il Villaggio è stata un’ottima ragione per provare ad applicare questi concetti di investire nei bambini. Se guardiamo alla situazione italiana, anche nella scuola dell’infanzia il livello si sta abbassando sempre più. Non per colpa della scuola o delle maestre ma per colpa delle istituzioni che non hanno investito abbastanza in passato».
Invece per Amalia «i bambini sono persone piccole che vanno stimolate, bisogna nutrire la loro mente con esperienze di vario tipo». Ed è quello che cerca di fare lei con il suo Giuseppe. Anche perché si è resa conto da sola dei vantaggi che queste relazioni comportano.
«I benefici li sto raccogliendo negli ultimi mesi. Giuseppe non è stato un bambino precoce, ha iniziato parlare a Natale del 2017 quando invece i suoi coetanei già elaboravano le prime parole.
Poi un giorno dal nulla ha iniziato a parlare, parlare, parlare e le prime parole che ha saputo pronunciare bene sono le parole dei libri che leggevamo. Cane, gatto, i nomi dei colori».
L’articolazione del linguaggio non è l’unico beneficio che Giuseppe ha appreso relazionandosi con sua mamma attraverso la lettura e le altre attività condivise. «Ho notato, poi, che è un bambino che sa giocare tanto e da solo. Sa inventare tante storie e tanti giochi. Per esempio oggi a merenda ha voluto mangiare degli arachidi e con la buccia mi ha chiesto di fare delle marionette».
«Mediamente leggiamo due o tre libri al giorno, circa 10 minuti a libro. Poi durante la giornata è lui che chiede “leggiamo un libro?”. Lo sceglie e lo leggiamo. Quasi tutte le volte li sceglie lui».
Grazie alla lettura condivisa il figlio di Amalia è stato educato all’iimmaginazione, alla creatività, all’ascolto. Ma questa non è una condizione di privilegio. Anzi, è un diritto che dovrebbero avere tutti i bambini e che il Villaggio traduce in atti educativi concreti che migliorano le capacità psicofisiche del bambino, con conseguenze che si manifesteranno negli anni a venire, quando il bambino sarà un ragazzo e poi un uomo o una donna.
Amalia ha capito che l’obiettivo del Villaggio è combattere la povertà educativa. «A Pontedecimo l’alternativa alla parrocchia, che comunque richiede tempo e un impegno collettivo, è solo uno scivolo in un’aiuola spartitraffico». Per questo per lei e per altri genitori il Villaggio «è una manna dal cielo». Giuseppe ha solo la scuola. «Facciamo tante cose assieme nel fine settimana ma siamo sempre noi quattro in famiglia, invece al Villaggio c’è un’occasione di confronto con altri. A volte si fanno delle attività dove sono le stesse educatrici che snocciolano argomenti e chiedono a noi mamme cosa ne pensiamo e cosa riteniamo necessario che un bambino abbia per crescere bene».
Lo dicono solo alle mamme, perché di papà se ne vedono pochi al Villaggio: «Le altre donne raccontano che i papà tornano a casa, guardano i figli due secondi, poi si buttano sul divano e dicono “sono stanco”. Io per fortuna non ho questo problema: con mio marito ci dividiamo le cose equamente». Ma quello che racconta è una storia di molte.
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