Alla scuola di Barbiana insieme: “Ci sta!”

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Siamo andati a Barbiana, alla scuola di don Lorenzo Milani. All’inizio di autunno, in un fine settimana di sole e nuvole minacciose. Eravamo ragazzi e ragazze del progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto”, impegnati in un percorso riparativo, giovani ospiti delle comunità della cooperativa sociale Progetto 92, educatrici ed educatori. 16 persone in tutto su due pullmini da Trento al Mugello. Siamo andati alla ricerca delle radici dell’educare e dell’imparare. Abbiamo portato qualche domanda: perché educare e insegnare? Perché imparare, studiare, conoscere? Per quali scopi? Chi è maestro oggi?

Ci hanno aiutato ad esplorare questi interrogativi diverse persone che abbiamo incontrato. Per primo p. Eugenio Brambilla, da molti anni animatore della scuola di seconda opportunità “I Care” della Fondazione Sicomoro che, nella periferia milanese e a Lodi, accompagna alla licenza media ragazzi e ragazze più volte bocciati, a rischio di dispersione (scolastica ma anche del proprio percorso di vita). Durante la salita a piedi da Vicchio a Barbiana, lungo il sentiero della Costituzione, realizzato dalla Fondazione don Milani creata dagli ex-allievi della scuola, p. Eugenio ha commentato brani di Lettera a una professoressa e di Lettere di don Milani, letti da Michele Torresani, educatore e animatore teatrale di Progetto 92.

I luoghi, le persone, le situazioni della scuola di Barbiana, sono usciti dalla storia di 50 anni fa e, mano a mano che salivamo, hanno preso corpo e vita. Fino all’incontro con Nevio, un “ragazzo” oggi ottantenne di quella scuola. Seduti nel locale della scuola, sulle stesse sedie e con le mani e i gomiti  sugli stessi tavoli dove vennero scritte le provocatorie lettere di quella scuola – a una professoressa, ai cappellani militari, ai giudici – abbiamo ascoltato racconti di come un ragazzo di montagna, fisicamente grande e grosso ma muto e timido, perché cresciuto nell’isolamento della montagna, divenne capace di crescere alla Scuola del Priore fino a partire quindicenne per la Francia, lavorare in fabbrica per un anno e tornare nel Mugello in autostop.

Sulle pareti della scuola le linee del tempo delle guerre nel mondo, della storia d’Italia, della composizione del parlamento d’Italia dalla Monarchia alla Repubblica  attraverso l’era fascista, attiravano magneticamente gli sguardi di noi ragazzi e adulti. Attenzione, presenza e dialogo: condizioni non frequenti a scuola, anche oggi.

Abbiamo incontrato Luigi, fornaio a Casa d’Erci, a pochi chilometri da Vicchio, con il quale abbiamo impastato il pane e Maria Grazia, appassionata custode della memoria viva di una comunità, che ci ha mostrato gli attrezzi di lavoro e gli oggetti di vita quotidiana contadina raccolti dagli abitanti della zona e ora disposti in un museo della cultura contadina  con cura e passione dai membri di un’associazione della comunità locale. Abbiamo così potuto un po’immaginare come vivevano le famiglie dei ragazzi di Barbiana negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

Infine, Piergiorgio Reggio, che nel proprio percorso educativo ha provato a lasciarsi influenzare dalla lezione di Barbiana, alla quale ha dedicato un volume – Lo schiaffo di don Milani. Il mito educativo di Barbiana – ha condiviso con gli educatori e le educatrici riflessioni, emozioni e significati dell’essere educatori oggi.

Luoghi, persone, incontri,  cammino, pranzi insieme, viaggio, dialoghi… così abbiamo provato a tornare a Barbiana, alla ricerca del senso dell’imparare e dell’educare, del crescere e del conoscere. Al ritorno, uno dei ragazzi ha espresso in sintesi come ha vissuto questa esperienza: “Ci sta!”. Troppo poco? Solo per chi non sa ascoltare in profondità tutto quello che si vive in un viaggio di formazione insieme, semplice ma autentico. Ed è molto.

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