Raccontare storie (insieme) per conoscere se stessi e gli altri: i laboratori interculturali
di totem
Arci Solidarietà Onlus ha realizzato i primi due laboratori interculturali alla scuola Fratelli Cervi, per altrettante classi della scuola secondaria di primo grado, tra dicembre 2019 e gennaio 2020. Condividiamo con voi l’esperienza di un’educatrice del progetto che ha ideato i laboratori interculturali, basati su un modello alternativo, che lavora su elementi che all’intercultura sono trasversali ma che risultano indispensabili per un lavoro che abbia l’ambizione di avere effetti stabili e duraturi, come il linguaggio, la narrazione, la creazione di storie.
Il laboratorio di storytelling, come scelta per un lavoro sull’intercultura, nasce dalla convinzione che l’educazione alla narrazione, in qualsiasi forma, sia indispensabile innanzitutto per dar voce alle emozioni e ai sentimenti e agli umori che ci abitano. La consapevolezza delle modalità con cui avviene un racconto e la capacità di leggerlo e capirlo, è uno strumento indispensabile poi per esercitare un adeguato spirito critico di fronte alle narrazioni che ci circondano e di cui siamo quotidianamente investiti. Quando tutto si fa racconto, dal marketing alla politica, bisogna imparare a individuare le narrazioni tossiche.
Siamo partiti dal presupposto che “le parole hanno un peso”, e possono essere pietre o piume, acqua fresca o fango. Maneggiare le parole vuole dire necessariamente sbrigliare la fantasia, aprire la mente all’ascolto di sé e degli altri.
Siamo partiti dal presupposto che “le parole hanno un peso”, e possono essere pietre o piume, acqua fresca o fango. Maneggiare le parole vuole dire necessariamente sbrigliare la fantasia, aprire la mente all’ascolto di sé e degli altri.
Basandoci su varie fonti metodologiche, da Gianni Rodari a Adriana Caravero (“Tu che mi guardi tu che mi racconti. Filosofia della narrazione”), dall’arte dadaista agli espressionisti, dal paradosso alla logica, abbiamo presentato sotto forma ludica ai ragazzi e alle ragazze, la vastità di orizzonti che l’uso della parola spalanca. Abbiamo però fatto una scelta: abbiamo deciso di privilegiare la fantasia, il divertimento, il gusto del racconto rispetto ai suoi contenuti. In altre parole abbiamo deciso che non ci interessava più di tanto che il messaggio veicolato fosse anche quello della consegna dell’educatore, ma quello che “magicamente” la “creazione” porta con sé, legato molto spesso alle libere associazioni di idee e immagini, per mantenere intatta la freschezza che qualsiasi racconto spontaneo porta con sé: siamo convinti che la costruzione della “storia” sia una tappa importantissima, ma può arrivare solo dopo aver avvicinato i ragazzi al gusto della narrazione e alla soddisfazione che offre la liberazione della fantasia.
Con le attività del laboratorio abbiamo inteso capovolgere la logica di un racconto egotico e centrato su di sé che troppo spesso la narrazione che assorbiamo anche dai nuovi mezzi di comunicazione porta con sé. Ogni storia e ogni racconto nascono da una necessità individuale e collettiva dell’essere umano, ma non sempre è facile farle emergere. Bisogna imparare a pronunciare o scrivere quelle parole che riescono ad isolare, nel mare degli eventi e delle cose, un significato d’urgenza di “essere” di “esistere”, di riconnetterci, dando un senso all’ordine che caos che ci circonda, collocandoci al suo interno.
La facoltà di “nominare” le cose della natura e del mondo è una facoltà propria dell’uomo. Dal dare un nome deriva poi la capacità di astrazione con cui siamo in grado di immaginare e animare il mondo che abitiamo, aprendo anche alle possibilità che la fantasia ricombini i nomi e le cose spalanco le porte su infinite possibilità Per cui riappropriarsi della capacità di raccontare e raccontarsi, è un modo per riconnettersi a quanto di più umano esiste in noi, e quanto di più umano esiste in noi non ha stereotipi, si riconosce sempre nell’alterità, anzi ha bisogno dell’“altro” per riconoscersi. A partire da questo nucleo di idee abbiamo sviluppato la metodologia adottata nel corso dei laboratori liberando la parola nomade, che nel momento in cui la penso è ancora mia, ma nel momento in cui la pronuncio prende vita a sé, vaga, feconda altri universi di parole, mi ritorna indietro arricchita delle storie, delle parole, delle esperienze altrui.
I narratori hanno sempre bisogno di orecchie che ascoltano. Per cui la metodologia del cooperative learning, anche se non nella sua maniera più tecnica, ci ha aiutato. Potremmo dire che abbiamo pensato alla parola nomade che ritorna al destinatario arricchita, come nei miti.
Per questo abbiamo pensato ogni attività in gruppo. A partire dal semplice parlare di sé, finendo con una costruzione corale di una storia, utilizzando le seguenti tecniche
- La costruzione del binomio fantastico, utilissimo esercizio per sbrigliare la fantasia;
- L’uso di costruzione di poesie con il metodo dadaista (nonsense)
- La narrazione di sé e dei propri stati d’animo attraverso immagini,
- La costruzione di storie a partire da suggestioni di immagini (le carte di dixit)
- L’uso di giochi di ruolo per mettere “in scena” le dinamiche di gruppo;
Tutte le attività, ad eccezione della narrazione dei propri stati d’animo (per cui abbiamo utilizzato il cofanetto di carte “il dizionario affettivo”), hanno previsto l’ibridazione delle idee, la creatività di gruppo. Con ciò non intendiamo dire che la creatività individuale è da meno, anzi è indispensabile. Ma per gli scopi del nostro laboratorio l’abbiamo consapevolmente messa in secondo piano, facendo emergere punti deboli e criticità
Si sarebbe potuto ottenere un risultato migliore, esteticamente e formalmente, nella conduzione di un laboratorio che privilegiasse il lavoro individuale. Ma consapevoli che i nostri obiettivi non coincidevano con quelli delle scuole di scrittura creativa, abbiamo comunque sempre tenuto presente l’imprescindibile aspetto individuale, attraverso la restituzione puntuale in circle time, dei feedback individuali dopo ogni attività.
Il risultato è stato sorprendente sotto molti punti di vista.
Abbiamo visto ragazzi avversi alla scrittura autocandidarsi nel ruolo di scrivano nel piccolo gruppo (e ci si sono appassionati rivelando potenzialità sconosciute agli insegnanti).
Abbiamo visto esplodere conflitti di gruppo latenti che è stato possibile gestire e guardare all’interno del gruppo, con strumenti nuovi;
Abbiamo visto ribaltarsi i ruoli: i bulli che periscono e gli emarginati che vincono, nei giochi di ruolo;
Abbiamo visto il potere magico dei racconti creare silenzio e attenzione anche nei ragazzi con difficoltà di concentrazione o cognitivo-comportamentali;
Abbiamo visto la messa in discussione di ruoli e amicizie non sane;
Abbiamo visto i ragazzi piangere e ridere,appassionarsi, non li abbiamo mai visti indifferenti o annoiati;
Abbiamo avuto sempre dei feedback finali, per ogni incontro, positivi, con qualche giustissima opposizione;
Abbiamo visto gli insegnanti stupiti dal comportamento in generale del gruppo classe, e dalle risposte dei singoli alunni;
Abbiamo visto che quelli che pensavamo fossero i più esposti al pregiudizio lo erano meno di altri insospettabili;
Abbiamo visto conflitti e defezioni, sempre puntualmente affrontati e discussi in gruppo;
Abbiamo visto i ragazzi raccontare storie, che poi era l’obiettivo delle attività laboratoriali.
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