Povertà educativa? Scopri cosa significa

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Un momento di gioco con una delle bambine seguite nel nostro Spazio Infanzia Santa Rita

Cos’è la povertà educativa?

Lavorando nel mondo della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario sono, da sempre, abituato a confrontarmi con la povertà. Con le povertà, ma non con la povertà educativa. Agli inizi del mio percorso professionale (fine anni 90) la povertà (singolare) era facilmente identificabile: il Primo Mondo (l’Occidente, trasformato poi in Nord del Mondo) si contrapponeva al Terzo Mondo (trasformato poi, in Sud del Mondo). Un fatto puramente geografico, in cui era facile individuare poveri e povertà.

Poche risorse, incapacità di sfruttarle, catastrofi naturali, guerre, corruzione le principali cause della povertà; bassa aspettativa di vita, tasso di mortalità a due cifre, livello d’analfabetismo elevatissimo, impossibilità di creare un reddito strutturato sia a livello individuale che di sistema.

Da quegli anni in poi diverse situazioni hanno modificato completamente la struttura sociale mondiale.

Su tutte la globalizzazione e la crisi finanziaria del 2006. La prima ha portato alla ribalta un allargamento delle comunicazioni, degli scambi commerciali, delle relazioni internazionali e della mobilità delle persone. La seconda ha spalancato le porte a situazioni individuali e collettive di povertà senza precedenti (se escludiamo la grande crisi del 1929 e i due periodi di ricostruzione post guerre mondiali).

Insieme, questi due eventi storici, hanno portato la povertà “sotto casa nostra”.

Il confine geografico con il quale si era abituati a definire le zone di povertà si è dissolto, creando sacche di povertà anche nei Paesi più ricchi del mondo. Hanno costretto gli operatori del settore ad allargare l’orizzonte dell’analisi dei problemi e a trovare nuove definizioni del problema.

Nascono nuovi metodi di misurazione della povertà: l’Indice di Sviluppo Umano, che calcola il livello di ricchezza/povertà considerando il livello del reddito pro capite, l’aspettativa di vita e il livello di istruzione, sostituisce l’analisi prettamente economica basata sul Prodotto Interno Lordo.

Prendono piede nuove definizioni: soglia di povertà, povertà assoluta, ma soprattutto povertà educativa.

Diverse definizioni, diverse povertà, diversi strumenti di analisi, diversi strumenti per ridurre l’incidenza delle povertà sulla società. È evidente che tutte le diverse povertà sono interrelate, intersecate, collegate l’una all’altra. Quella economica incide su quella culturale, questa su quella educativa che alimenta un livello di abbassamento delle condizioni di vita e di conseguenza mette a rischio un intero sistema sociale territoriale.

Illegalità, analfabetismo di ritorno, microcriminalità sono aspetti che, prepotentemente, sono saliti alla ribalta della cronaca locale e nazionale. E quindi?

Cos’è la povertà educativa? Ma soprattutto perché affrontare questo problema?

Per capire bene questo concetto è utile snocciolare qualche dato: secondo le ultime statistiche di Save The Children, 1 bambino su 8 vive in situazione di povertà assoluta e nei territori più svantaggiati il tasso di ripetenti è sei volte superiore rispetto alle statistiche nazionali.

Se poi consideriamo come termine di paragone l’indicatore utilizzato in Europa per analizzare il rischio di povertà economica e di esclusione sociale -un indicatore che tiene insieme povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione – si può attribuire questa condizione a ben il 34% dei bambini e adolescenti italiani – per capirci meglio a oltre 3 milioni e mezzo di minori – una delle percentuali più alte dell’Unione Europea.

Quindi, povertà assoluta e povertà educativa vanno a braccetto e creano logiche deviate e devianti di sicuro impatto negativo sulla società civile e che prevedono interventi i cui risultati si possono misurare solo nel tempo.

Non garantire l’accesso all’educazione di base ad un bambino significa creare, a questo bambino, le condizioni migliori per escluderlo dal circolo virtuoso della sua crescita. Significa ghettizzarlo in una situazione a rischio che produce illegalità. E quindi un danno sicuro tanto al minore quanto all’intera società. Se poi allarghiamo questo esempio su larga scala è evidente che il problema non può non essere affrontato.

Anche perché, è noto, non ci sono territori sicuri. Ne è un chiaro esempio Milano. Nell’immaginario collettivo Milano è, a seconda dei punti vista, la capitale della moda, la capitale finanziaria, il fulcro dell’efficientismo europeo. Ma, a scavare in fondo, non è solo questo: a Milano (non a Korogocho, slum di Nairobi) ci sono diciannovemila (19.000!!!!!) minori in difficoltà. 1 su 10. Un minore su dieci a Milano è a rischio. Uno su dieci non ha un futuro assicurato. Uno su dieci può mettere a rischio il futuro degli altri nove. Per questo motivo non si può sottovalutare il problema. Soprattutto per chi ha speso quasi vent’anni della propria vita a “correre dietro” alla tutela dei diritti dell’infanzia.

Funziona così: si studia tutto ciò che ha a che fare con la Convenzione dei Diritti del Fanciullo delle Nazioni Unite, si mandano a memoria tutti gli articoli (più di 50), si imparano concetti altisonanti (Child Protection, Education, lotta contro la violazione dei diritti dei bambini, tanto per citarne solo alcuni) si scrivono progetti e si gestiscono. Però sempre di là, oltreoceano, mai di qua. Mai sotto casa.

Ora tocca intervenire anche qua. Perché se vogliamo ridurre il disagio esistenziale, il degrado sociale, il dilagare di microcriminalità e sistemi paralleli fondati sull’illegalità non si può stare fermi. Bisogna intervenire, ognuno con le proprie possibilità. E noi, Organizzazione Non Governativa, impegnata nella tutela dei Diritti Umani lo facciamo. A modo nostro, identificando progetti misurati sulle nostre capacità di risposta ai bisogni del territorio. Territorio che, per quanto riguarda queste tematiche, si identifica quasi esclusivamente con le periferie delle grandi città.

Ed è per questo che a Tor Bella Monaca, periferia romana, interveniamo con attività atte a ridurre gli effetti della povertà educativa. Spazio Infanzia, supporto alla genitorialità, Comunità Solidale Partecipata, sono strumenti in grado di dare un futuro non solo ai bambini, ma a tutta la società civile coinvolta. Perché si, vivere in un sistema sociale povero con poche opportunità di crescita e sviluppo crea una grave discriminazione esistenziale, con conseguenze che nel tempo possono diventare irreparabili tanto per bambini e adolescenti, quanto per tutto il sistema sociale territoriale.

E noi che siamo l’associazione dei Diritti di Periferia, che viviamo nelle periferie geografiche ed esistenziali abbiamo l’obbligo (morale) di esserci.

Vittorio Villa

Direttore Apurimac Onlus

www.apurimac.it

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