ESSERE MADRE DI QUARTIERE: Take care e inshallah!
di thub06
Diventare Madre di Quartiere per alcune donne che hanno aderito a Thub06, rispondendo alla chiamata, è stato come attraversare lo specchio di Lewis Carrol per la prima volta e rendersi conto che c’era la possibilità di essere una donna diversa da quella che fino ad ora aveva accompagnato i bimbi a scuola e si era occupata della propria famiglia.
Una possibilità per mettere in chiaro competenze acquisite negli anni facendo la madre e scoprendo punti di forza che nessuno aveva mai valorizzato prima in loro. Oggi incontriamo 3 delle 8 donne che hanno risposto con entusiasmo ad alcune domande raccontando la loro esperienza in tre quartieri di Torino: San Salvario, Barriera di Milano e Mirafiori Nord.
Halima è marocchina ed è la Madre di Quartiere di San Salvario e racconta che da quando ha imparato a parlare un po’ di italiano ha sempre cercato di aiutare le persone che avevano bisogno:
“Ho imparato dalla mia mamma che aiutare l’altro è un obbligo quando puoi farlo.”
Ha appreso dalla madre la cura verso l’altro e specifica con fermezza “Qui in Italia ho capito che tante ma tante persone vogliono dare a questo paese qualcosa di bello ma non riescono ad integrarsi e hanno bisogno solo di una mano per affrontare i propri problemi e capire le proprie capacità”. Il motivo principale per cui Halima ha accettato questo impegno è chiaro e lineare fin dalle sue prime parole, è stato il senso di cura a spingerla a intraprendere questo percorso e aggiunge “sto cercando di essere una buona madre per il mio quartiere e sono molto contenta”. Nel suo racconto sottolinea che ha imparato molto grazie alla formazione e al confronto con le altre madri di quartiere: “Ho imparato ad essere ottimista e forte anche nei momenti più difficili, ho imparato che la salute e la cosa più fondamentale nella vita, ho imparato che essere pagata con un sorriso o un ringraziamento di una persona che soffre vale più dei soldi, ho imparato che se non posso aiutare qualcuno economicamente basta fargli sentire che sarò sempre vicina quando lui avrà bisogno di me”. L’ottimismo di Halima si esprime nel desiderio che il suo lavoro di Madre di quartiere diventi permanente “continuerò con un caso che ha bisogno ancora di sostegno anche se le ore sono terminate perché non posso lasciare questa persone a metà strada altrimenti perdiamo tutto e ci sono dei casi che hanno bisogno di anni non ore”. Anche se ci sarebbe tanto da raccontare ci salutiamo con un’ultima domanda: quando ti sei sentita davvero Madre di Quartiere?
“Mi sono sentita madre di quartiere. Quando ho potuto trovare un aiuto economico per un famiglia in difficoltà, quando ho potuto attivare la maestra di sostegno per una bambina disabile prima di avere il certificato di invalidità così la bambina è potuta stare tutto il giorno a scuola e la mamma è riuscita ad andare a scuola per imparare l’italiano. Non posso dimenticare il sorriso che mi ha fatto la piccola e l’abbraccio quando ha saputo che poteva stare tutto il giorno a scuola.”
La passione di Halima si manifesta infine quando le chiedo se proporrebbe questa esperienza ad altre donne e con un grande sorriso mi risponde: “Si, lo proporrò ad altre donne perché come prima cosa avremo bisogno di più di una madre per ciascun quartiere e un lavoro importante ed è benefico per le persone, è un lavoro fatto di umanità che dà fiducia in te stessa e ti fa imparare tante cose e ti fa scoprire le tue capacità nascoste.”
Anche Ghariba è marocchina ma il suo percorso si è svolto nel quartiere di Barriera di Milano dove ha sede la Casa del Quartiere di via Agliè.
Ghariba ha sempre frequentato la Casa e il legame con le famiglie lo coltivava da diversi anni come Ghariba mamma di Salha e Youssef. Diventare una Madre di Quartiere per lei è stato consolidare qualcosa che già stava sperimentando in modo un po’ inconsapevole: “Ho accettato di essere Madre di quartiere perché facevo già questa attività con molte persone in particolare le donne che avevano bisogno di un sostegno e volevo mettermi in prova e farlo in modo professionale.” Data la necessità di maggiore professionalità, un punto di forza nel progetto per Ghariba, è stata per lei la formazione ricevuta che ha accompagnato le madri per tutto l’anno con momenti di supervisione e focus sulle metodologie da adottare per sostenere e accompagnare le persone che avrebbero incontrato. Facendo tesoro degli incontri ha messo a fuoco molto bene le sue potenzialità e lacune come un fiume in piena:
“Ho imparato ad essere più paziente, ascoltare senza interrompere, non indagare sui problemi e lasciare all’altro la libertà di esprimersi, l’importanza di gestire bene il tempo, trattenere l’emozione, dialogare e comunicare meglio, gestire rapporto lavoro/famiglia, essere più aperta e coinvolta agli eventi del quartiere che prima non riuscivo a cogliere”.
La sua soddisfazione per il percorso che ha svolto è palpabile come la sua determinazione e la serietà con cui spiega che non tutte le persone possono cimentarsi in questa attività perché è necessaria una spinta molto forte: “ Non tutte possono farlo perché richiede prima di tutto la conoscenza della lingua italiana, conoscenza dei servizi territoriali, una buona capacità di comunicazione, la flessibilità, pazienza e quasi immediata disponibilità, essere fiduciosi e convincenti.” L’autorevolezza e ironia con cui Ghariba reguardisce le compaesane che dopo tanti anni ancora non parlano una parola di italiano è la cartina tornasole della passione che mette nel suo lavoro ogni volta che con orgoglio si presenta come Madre di Quartiere.
L’ultima donna è Marjan, è turca ed è la Madre di Quartiere di Mirafiori Nord dove si trova Cascina Roccafranca. La prima testimonianza che porta è la motivazione con cui si è approcciata al progetto: “Questo impegno mi sta a cuore da donna, madre e donna straniera perché so perfettamente le difficoltà che possono incontrare le altre donne in un paese in cui sono migrate. Lo so perché anche io sono stata aiutata e guidata e ho avuto sempre questa volontà di restituire quello che avevo ricevuto.” Il senso di comunità e restituzione è molto forte anche in lei e si percepisce il bagaglio culturale che ha messo a disposizione della Casa e che si è arricchito di nuove esperienze grazie alle famiglie che ha incontrato:
“In questo lavoro si crea una fiducia e una confidenza tale che va oltre il lavoro, diventa qualcosa di tuo e questo lo rende qualcosa di diverso. Ci si imbatte sempre in qualcosa di nuovo. E’ una ricchezza continua, sembra di vivere nello stesso tempo in paesi diversi.”
La capacità di Marjan di descrivere come sia stato possibile sentirsi a casa ogni volta che ha incontrato persone di nazionalità diverse con le loro storie è limpida e rassicurante. La gioia che esprime nel suo augurio lo è ancora di più: “Più mamme siamo e più possiamo aiutare altre madri affinché diventino libere, forti, indipendenti e autonome nel costruire la loro vita con gli strumenti che hanno a disposizione”.
Queste sono solo alcune delle storie che rendono Thub06 un progetto speciale, seguiteci per scoprirne altre!
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