Home visiting. La testimonianza di un’educatrice professionale
di comunicazione
Il 2 aprile (giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo) ho visto un post pubblicato da una delle mamme seguita da me dall’inizio del progetto nell’attività di home visiting.
In tutto questo tempo ho accompagnato la mamma di questo nucleo famigliare nel lungo percorso di visite specialistiche sino alla scoperta della diagnosi del proprio figlio. Insieme a loro ho curato l’iscrizione del minore ad un primo luogo di socialità tra pari: lo spazio ludico “Piccole Orme”, successivamente li ho accompagnati nella scelta della scuola della prima infanzia, valutando l’opportunità del tempo prolungato e fatto in modo che questo bimbo “diverso” avesse per tempo una valida insegnante di sostegno. Durante tutto questo percorso, i genitori hanno fatto molta fatica ad accettare la diagnosi del proprio figlio, manifestando momenti di sconforto alternati a momenti di non accettazione della situazione. Il 2 aprile, dopo che la maestra aveva svolto un lavoro in classe sull’accettazione della diversità e dell’autismo, la signora ha pubblicato una poesia sulla consapevolezza dell’autismo con la foto del proprio figlio. Questo post mi ha emozionata tanto perché mi ha fatto comprendere che con l’aiuto di tutta la rete attivata, questa mamma è riuscita ad accettare la diversità del proprio figlio e a comunicarla e a condividerla con gli altri.
Nella mia vita parole come “relazione e cura” hanno preso sempre più forma caratterizzando il mio essere educatrice ma anche moglie, madre, amica e donna. Ogni giorno scelgo, da più di trent’anni, di volgere uno sguardo privilegiato all’altro perché è proprio attraverso l’altro che conosco me stessa, ed è in quella comunione relazionale che faccio l’esperienza di diventare e di sentirmi capace. Il prestare attenzione alle persone mi ha portato a “stare a fianco” ad ognuno di loro, consapevole del tempo che dedico e che mi permette di far apprendere, far conoscere e donare occasioni, sviluppare possibilità.
La relazione è dunque lo strumento necessario ed indispensabile attraverso cui offrire aiuto all’altro e, al tempo stesso, il campo di gioco su cui svolgere il mio lavoro e dedicare le mie attenzioni agli utenti. Nell’ambito del progetto nell’attività specifica di Home visiting, ho assunto un ruolo di “guida”: agisco per tirare fuori quelli che sono i talenti e le capacità delle persone affinché queste possano sentirsi capaci. Che si tratti di un’abilità artistica o di attività più semplici, come giocare con il proprio figlio o compilare una semplice richiesta online, poco importa.
Nel corso degli anni il lavoro educativo si è trasformato in un “lavoro di cura” che non si deve confondere con un intervento di assistenza e nemmeno con la messa in opera delle conoscenze e delle tecniche che si apprendono da anni di studio. Esiste, certo, una dimensione tecnica importante ma questa ha significato solo se accompagnata ad una “sintonizzazione affettiva ed emotiva” tra l’educatore e colui al quale l’intervento è rivolto.
Prendersi cura di interi nuclei familiari ha significato per me osservare, ascoltare, attendere che si instaurasse una relazione di fiducia per poi co-progettare le azioni da intraprendere.
Sintetizzando: promozione di relazioni positive, supporto genitoriale, rafforzamento della fiducia dei genitori in sé stessi, creazione di una rete territoriale di sostegno, sono stati gli obiettivi del mio percorso.
Ho appreso inoltre che per ogni individuo, per ogni famiglia, c’è un tempo relativo e personale di apprendimento e io, come educatrice, non devo avere fretta di osservare cambiamenti ma avere pazienza e aspettare.
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