#Testimonianze: un’insegnante di lettere in tempi di didattica a distanza
di stemlab
Mi scusi se non ho colorato bene il mare sulla cartina, ma ho quasi finito il pastello azzurro, ci ho messo un sacco a farla perché è piccolissimo da tenere in mano.
Prof, spero che lei stia bene. Io qui mi annoio.
Le mando le mie riflessioni sulla comunicazione digitale in ritardo perché, le sembrerà strano, ma ho avuto un sacco di cose da fare.
Eh sì, io senza calcio non riesco a stare, prof, allora gioco in salotto, ma con la palla di spugna, se no mia mamma si arrabbia.
Grazie per aver letto ciò che ho scritto, non vedo l’ora di riprendere le sue lezioni, anche se in video e non a scuola.
Io di compiti non ne ho assegnati molti, ma i pochi mi sono stati riconsegnati in tempo zero via mail: un traffico mai visto da e per la mia casella di posta, non ho ancora finito di capire chi mi ha inviato cosa e, in tutto questo, è un continuo Prof, scusi, ha ricevuto la mia mail di prima? – Prof, ho dimenticato un pezzo, glielo allego qui, mi scusi – Prof, qui in casa abbiamo un solo tablet e con le mie sorelle dobbiamo fare a turno, quindi le mando la foto del mio compito dal telefono, spero che riesca a vederlo lo stesso e che vada bene.
I compiti sono un pretesto per mantenere un filo coi miei studenti di prima, seconda e terza media. Li conosco da Settembre, io cambio scuola ogni anno, chissà in quale sarò l’anno prossimo, chissà quando e se finirà questo di anno e come la mettiamo con l’esame di terza e poi anche il mio concorso per diventare di ruolo e.
Questi ragazzi sono il mio qui e ora, quest’anno sono quasi 170, sono tanti in assoluto, figurarsi adesso che il qui è la mia casa di 35 mq e l’ora è il distacco dal resto del mondo. Però devo dire che il mio appartamento è piuttosto accogliente e, se ci si stringe un po’, ci stiamo tutti. Attraverso gli schermi.
Il ministero per il quale lavoro è quello dell’istruzione,ma io all’istruzione adesso proprio non ci penso: non sono mai stata una fanatica del programma – oddio, sono indietro, devo interrogare, non ho voti – e in questa situazione mi fanno un po’ pena i pericolosissimi prof. ingozzatori, ovvero quelli che, anche nella fantomatica didattica a distanza, non riescono a considerare gli studenti diversamente da contenitori da riempire. Non li vedono proprio, non vedono proprio. Io prendo le distanze da loro nella vita reale, figuriamoci adesso.
Queste ragazze e questi ragazzi, dicevo, li conosco da Settembre, non da una vita per carità, ma non ho bisogno di interrogarli adesso né di pensare a che voto mettere sulla pagella: hanno bisogno di sostegno umano per affrontare il senso di smarrimento, per fare i conti con una quotidianità stravolta in poche ore, per avere consapevolezza.
Non so nemmeno io come sto vivendo, in balìa di razionalità ed emotività – come prima, più di prima – e allora come posso anche solo lontanamente immaginare di poter essere per loro un salvagente? La verità è che la differita dei tempi e la distanza degli spazi mi concede un po’ di vantaggio: sto dietro a uno schermo, loro leggono le mie parole e le associano al ricordo della mia voce, del mio piglio, dei miei modi. Ma io, che sto qui connessa tra webinar, corse forsennate alla ricerca della piattaforma digitale più performante (per cosa? Per chi? A quale scopo?), collegi docenti e consigli di classe surreali, che cosa devo fare io senza la campanella a fine ora e i miei cassetti di legno con dentro i libri (chissà come stanno, rinchiusi lì dentro) e le cattedre nelle mie aule e loro – loro – lì davanti e intorno a me, in carne ed ossa, ad ascoltarmi, scrutarmi, ignorarmi, temermi, tenermi? Che ci faccio qui?
Alcuni di loro li ho visti e sentiti su Meet: non hanno paura (per fortuna), ma stanno lottando contro la noia. Vogliono tornare a scuola – Prof, mai avrei pensato di dire una cosa del genere! – e relazionarsi coi compagni e con noi insegnanti. Vagli a spiegare che stanno vivendo un momento storico unico – intendo, farglielo capire davvero – che nemmeno noi grandi comprendiamo; che stanno diventando cittadini di un mondo connesso, raggiungibile, vicino eppure improvvisamente lontano, distante, fuori. Le loro competenze e le loro abilità non sono più quelle tradizionalmente e scolasticamente riconosciute, ma – forse paradossalmente – si stanno ampliando a vista d’occhio, si stanno dischiudendo e abbracciano un orizzonte decisamente più ampio proprio in un momento nel quale abbracciare e abbracciarsi non si può più.
In prima stavamo parlando delle aree protette italiane: torneremo a viaggiare e a visitare i luoghi che abbiamo visto fotografati sul libro di Geografia? In seconda ci stavamo occupando della rassegna stampa di articoli sulle politiche comunitarie della UE: in che modo saremo ancora comunità e come saremo ancora protagonisti della scena politica? In terza stavamo facendo un progetto sui muri e sui ponti, sulle migrazioni e sull’accoglienza: saremo ancora in grado di accogliere? Cosa ci inventeremo per proseguire questi percorsi senza vederci dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 16.20?
Siamo davvero animali sociali, necessitiamo di relazioni e di confronto, di sguardi e di voci, di quaderni e penne e libri. Ora siamo chiamati a dimostrare di sapercela cavare in un altro modo che no, non è come la scuola vera: il gioco si fa duro, ma a noi le sfide piacciono e ce la faremo, questo è sicuro. Come, io ancora non lo so. Intanto, viviamoci la nostalgia della scuola con serenità: sì, con consapevolezza e distensione, perché anche i sentimenti che ci mettono più in difficoltà – la paura, la noia, lo sconforto – ci fortificano e vanno affrontati con risolutezza.
La scuola è diventata una BES, senza distinzioni: ora tutti abbiamo bisogni educativi speciali e qui non c’è più da perdere tempo perché noi siamo pronti per la prossima video lezione, i prossimi scambi roventi di mail, il prossimo giro di riflessioni nelle nostre classi virtuali. In attesa di riabbracciarci.
Annalisa Menin | Insegnante di Lettere di Scuola Primaria di I Grado
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