SPORT E POVERTÀ EDUCATIVA – Interviste a interlocutori significativi 1° parte

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Premessa

La Commissione Europea nel suo documento “Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale” del febbraio 2013 considera cruciale eliminare gli ostacoli legati al costo e all’accessibilità delle attività ludiche, sportive, e ricreative dei minori fuori dalla scuola.

Queste raccomandazioni sono valide anche nel contesto bergamasco. I dati rilevati con il progetto Spacelab e presentati nei post precedenti mostrano infatti come dare la possibilità di frequentare i campi gioco, i centri estivi, le scuole in orario extrascolastico per attività ricreative per gli alunni delle medie e l’oratorio per gli studenti delle superiori siano modalità efficaci per aumentare la probabilità che tutti i ragazzi e le ragazze, indipendentemente dal loro background familiare, pratichino un’attività sportiva in maniera continuativa.

Attorno a questi temi CSI e L’Eco di Bergamo hanno chiesto una riflessione a tre interlocutori territoriali:

  • don Emanuele Poletti direttore dell’Ufficio per la Pastorale dell’Età Evolutiva;
  • Patrick Rinaldi, vicesindaco di Costa Volpino e Presidente Assemblea dei Sindaci Alto Sebino,
  • al Coordinamento Educazione Fisica dell’Ufficio Scolastico Territoriale.

Il punto di vista dell’Ufficio per la Pastorale dell’Età Evolutiva

Quanto le attività sportive possono offrire opportunità di aggancio e inclusione di adolescenti e preadolescenti vulnerabili all’interno degli oratori?

Vulnerabilità non è sinonimo di debolezza. Si parte da questo principio. L’oratorio non fa selezione, l’oratorio vuole offrire uno spazio di gioco e protagonismo per tutti, forti e meno forti, grandi e piccoli, bravi e meno bravi. È facile allenare in Serie A, quando penso alle sfide e alle fatiche che affrontano ogni giorno gli allenatori delle nostre realtà. Che sono chiamati a farsi in quattro per cercare i ragazzi e tirarli fuori da casa, per costruire con loro una relazione educativa all’insegna dell’ascolto, della fiducia e della passione.

Allenatori che sono chiamati a far giocare tutti e ad accogliere il bisogno di ciascuno. In questo lo sport può fare tantissimo e, mi permetto, non soltanto dentro gli oratori. Le attività sportive offrono possibilità bellissime e le dobbiamo far sognare non solo dentro l’oratorio: si tende, invece, a far emergere gli aspetti più problematici dello sport, penso alle ultime discussioni in tema di “Super Lega”, la ricerca ossessiva della celebrità, i con tratti milionari.

Lo sport è la possibilità di misurarsi con sé stessi, crescere in un sano equilibrio tra corpo e spirito, misurarsi con l’altro pur entrando in competizione, imparare il gioco di squadra, comprendere il valore delle regole, della fatica di allenarsi e prepararsi al meglio, è mettersi in gioco. In tutto questo c’è la vita. Ecco, lo sport è una rappresentazione straordinaria della vita e permette ai giovani di farsi le ossa e costruirsi un’identità che li porterà ad essere gli adulti di domani. Lo sport in oratorio è innanzitutto divertimento, aggregazione ed educazione: il concetto di agonismo abita poco i nostri ambienti.

Nonostante il mito della vittoria e del successo pervada la nostra società a tutti i livelli non è mai in discussione la forma di uno sport “per tutti”, sen za emarginazioni per motivi fisici o tecnici, capace di creare forti relazioni partecipative.

Nello sport in oratorio ci sono meravigliose esperienze di accoglienza di tutti, dei più deboli, dei ragazzi difficili, degli stranieri, di quelli che vivono situazioni familiari e sociali problematiche e, magari, sono segnalate al don dai Servizi Sociali della comunità. Dentro, però, la dispersione e l’abbandono sportivo che contraddistinguono queste età, credo che la sfida stia nella capacità di inventare modelli e proposte capaci di dare il giusto valore educativo allo sport, evitando letture e proposte superficiali o di semplice “ricreazione”: serve coniugare agonismo e socialità, gioia e fatica, impegno e divertimento. Servono allenatori-educatori fortemente motivati, capaci di stare con i ragazzi, di perdere tempo con loro.

 In che modo la comunità educante nel suo insieme potrebbe sostenere i processi di inclusione di ragazzi vulnerabili da parte degli oratori?

Hai perfettamente ragione: comunità educante nel suo insieme. La sfida finale è quella di progettare e programmare insieme. Un compito difficile, perché le esigenze sono diversificate e plurali. La vita delle persone è ricca e plurale e non può ridursi ad una o poche attività, ad una o poche agenzie educative.

Bisogna superare i confini “gestionali”, solo così può emergere la passione autentica per le giovani generazioni, specialmente le più fragili, senza alcuna discriminazione. E non si tratta di una scelta facoltativa, oggi è una necessità. Non si può affrontare la frammentazione della realtà se non ricreando luoghi di ricomposizione, di mediazione, di integrazione.

Sicuramente bisogna fronteggiare alcune fatiche, le tentazioni di autosufficienza, autoreferenzialità, autonomia che portano a vedere solo le proprie esigenze e i propri interessi. Occorre rimettere in discussione le abitudini, le inerzie storiche, le tradizioni che diventano “gabbie”. Occorre trasferire la progettazione comune in luoghi e strutture organizzative che davvero permettono di realizzare una comunità e una comunione educativa.  Tempi e modi di fare progetti insieme.

In che modo si possono aiutare gli oratori in tutto questo? Mettendo a disposizione le risorse in termini di competenze specifiche, psicologiche e pedagogiche; allargando le conoscenze tra gli attori del territorio, il che si traduce in nuove disponibilità e possibilità di azione; offrendo risorse economiche, in un tempo che vede lo stato aiutare fortemente gli enti locali e diverse categorie per combattere e contrastare gli effetti negativi della pandemia, che ha generato nuove povertà esistenziali ed impensabili fatiche sociali.

Così facendo, possiamo impegnarci tutti per rigenerare i nostri territori, promuovendo l’inclusione e l’accoglienza, la cultura e la cittadinanza attiva, l’ambiente e la bellezza.

Ho in mente l’organizzazione dell’estate scorsa in oratorio, attraverso il progetto educativo “Summerlife”, che mirava a costruire reti ed alleanze educative nelle rispettive comunità, per condividere il tempo e la missione nei confronti dei piccoli. Ritorna un concetto caro: il gioco di squadra. Ecco, gli oratori hanno bisogno di vivere uno stile comunitario e sentire sulla pelle che non sono gli unici che si prendono a cuore i giovani, senza altri interessi, in uno spirito di servizio e gratuità.

Si rimanda per il testo completo dell’intervista all’articolo pubblicato su L’Eco di Bergamo in data 28 aprile 2021, pubblicato nella rassegna stampa.

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