Conoscere il Ritro Sociale in Adolescenza

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Che aspetto ha il Ritiro Sociale in Provincia di Varese? Che percezione hanno del fenomeno, le persone che la abitano? Per rispondere a queste e a molte altre domande, all’interno del Progetto Sakido è stata realizzata una Ricerca-Azione sul territorio di Tradate, con l’obiettivo di esaminare le cause percepite del fenomeno e individuare possibili modalità di intervento.

Cos’è una Ricerca-Azione?

E’ una ricerca sul campo che ha due finalità:
1 – Raccogliere dati rilevanti rispetto a un fenomeno specifico
2 – Attivare le risorse che la comunità già possiede al suo interno

Come Funziona?

La ricerca viene condotta da dei ricercatori, in collaborazione con persone interessate al tema che abitano il territorio. Questo permette non solo di raccogliere dati utili, ma anche di coinvolgere e attivare concretamente la comunità locale.

Cosa è emerso?

Nella percezione degli intervistati l’immagine del Ritiro Sociale è fluida, multiforme e con confini poco nitidi. Per tutti il fenomeno è in grande crescita, soprattutto dopo la pandemia.

Le Cause

Come Cause del Ritiro Sociale gli intervistati individuano la forte pressione sociale, le alte aspettative e la poca disponibilità di occasioni e luoghi di socializzazione alternativi a quelli online. Molto importanti sono anche i temi dell’incapacità di immaginare il futuro, della scarsa autostima, della relazione col proprio corpo e dell’accettazione dell’immagine di sé. Anche il bullismo sembra giocare un ruolo importante.

Il ritiro sociale

I ragazzi in Ritiro
Molti degli intervistati sottolineano come spesso i ragazzi in Ritiro all’inizio non percepiscano la loro situazione come problematica. Anzi, il più delle volte il ritiro rappresenta un rifugio, una modalità di protezione. Le difficoltà emergono invece solo in una seconda fase, quando il Ritiro diventa faticoso e anche la richiesta d’aiuto si fa ancora più complicata, poiché interseca il tema della vergogna e della difficoltà di ammettere di avere un problema.

Le famiglie
Come i ragazzi in ritiro, anche le famiglie – a detta degli intervistati – vivono momenti differenti. Alcuni insegnanti segnalano come, sopratutto all’inizio, i genitori abbiano un po’ la tendenza a minimizzare, spesso perché provano paura o vergogna di ammettere la situazione. Per altri, invece, sapere che i figli sono a casa (piuttosto che chissà dove) è quasi rassicurante. Una volta emerso il problema, però, le famiglie esprimono con chiarezza il tema della solitudine, la sensazione di inadeguatezza e quella di non avere nessuno attorno che possa capire davvero quello che stanno passando.

La relazione con gli altri

Il rapporto con i pari  quindi con amici e compagni – viene visto in modi differenti dagli intervistati. Da una parte è una risorsa, quindi ci sono gli amici di sempre che cercano di mantenere una relazione, magari online, con i ragazzi in ritiro. Per altri invece è una fatica ulteriore: la delusione di amici che voltano le spalle, che non ci provano nemmeno, la percezione di essere stati abbandonati. Dove però il “timore di dare fastidio” e la “volontà di rispettare la privacy altrui” sono tra le principali motivazioni che spingerebbero gli amici a desistere dal cercare chi si trova in ritiro.

La stessa ambivalenza si trova rispetto alla scuola, che per alcuni è un’antenna per captare le prime avvisaglie di disagio e intervenire tempestivamente. Per altri invece è un limite, dove solo in presenza di insegnanti “illuminati” si riesce ad avere un’attenzione adeguata. Gli insegnanti stessi, poi, riconoscono la necessità di una formazione specifica sulla tematica, riservata al personale docente.

Rispetto al tema dei servizi, molti degli intervistati adulti lamenta la scarsa accessibilità. A causa della poca disponibilità di alternative gratuite o comunque affrontabili, infatti, molto spesso la psicoterapia e gli interventi educativi e sanitari diventano un costo a carico della sola famiglia. Gli stessi operatori dei servizi confermano questa percezione, ma il numero insufficiente di risorse umane ed economiche a disposizione ne limita di molto la possibilità di intervento, soprattutto alla luce della domanda crescente.

Il valore della Comunità è molto chiaro agli intervistati, che la percepiscono spesso come carica di ricchezza e di esperienze rilevanti, che vengono però descritte come isole autonome, difficilmente in relazione tra loro. Tutti, infatti, sottolineano la necessità di un coordinamento tra i vari attori che si occupano di adolescenti sul territorio.

Quindi ora che si fa?

Circa 70 persone, tra intervistati e interessati al tema, si sono riunite a Tradate il 12 novembre per confrontarsi e immaginare possibili traiettorie d’intervento, attraverso la metodologia del World Cafè. Questo quanto è emerso:

I Luoghi
Dare ai ragazzi nuovi luoghi di socializzazione e incontro. Che siano spazi liberi, da abitare in base alle loro esigenze. Il più possibile ibridi (sia fisici che digitali), attraenti, facili da raggiungere con i mezzi pubblici e gratuiti.

 

La Rete
Diffondere maggiormente le informazioni rispetto a quello che già esiste, creando reti organizzate e fluide tra associazioni, famiglie e realtà attive sul territorio. Creare gruppi di automutuoaiuto per i genitori. Ripensare i contesti scolastici ed extra scolastici, su modello delle scuole aperte in stile campus, con attività realizzate partendo dai desideri dei ragazzi.
La Formazione
Formazione specifica per gli insegnanti e comunità di pratiche per gli operatori.

Ora la palla passa alla comunità. A tutti le persone che la abitano. Individuato ciò che già esiste e ciò che è urgente realizzare, resta la domanda più importante: che cosa posso fare io?

 

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