Ri-Belli, una foto per sognare
di itetticolorati
“La fotografia per me, in quanto fotogiornalista, è memoria, testimonianza e documentazione. Ma più in generale è anche qualcosa di magico, l’immagine ha il potere di fermare il tempo e di mostrare cosa c’è dentro; citando Diane Arbus, ci sono cose che non esistono finché non le fotografi. Ecco, per questi ragazzi sarà una piccola finestra da cui guardare il mondo in maniera diversa e mostrarci il loro, inventare”.
Così Max Hirzel, Responsabile del Laboratorio fotografico del progetto “Ri-Belli per stupire”, presenta l’iniziativa che partirà, dal 17 marzo, a Marina di Acate. Al laboratorio fotografico, tra i destinatari del progetto “Ri-Belli”, al momento, hanno aderito in 19, di età compresa tra i 9 e i 18 anni, 13 ragazze e 6 ragazzi.
“Ho sempre amato questo tipo di progetti – ci spiega Max – perché sono convinto che questi ragazzi abbiano bisogno, soprattutto, di sognare. E “Ri-Belli per stupire” è una bella opportunità per farlo. Il nostro compito sarà quello di metterli in condizione di inventare, di capire che possono fare cose straordinarie, creare, capovolgere la prospettiva, non solo fotografica. E coinvolgerli in vista di un prodotto finale vero, di qualità, di cui dovranno essere orgogliosi, perché le loro immagini serviranno anche per realizzare una fanzine in cui si racconterà il territorio, oltre al loro mondo. Per questo, al di là della tecnica, mi fido molto del loro istinto, del loro sguardo, che ci stupirà anche da un punto di vista fotografico, ne sono certo; queste ragazze e ragazzi hanno dentro e vedono cose che noi non vediamo. Dobbiamo solo essere bravi a innescare quell’istinto e loro mostreranno questa terra in modo nuovo. Per questo la tecnica non è al centro, mi interessano i loro occhi”.
Cosa ti aspetti da loro, Max?
“Mi aspetto, innanzitutto, curiosità. Mi aspetto che siano caotici, che si entusiasmino in maniera disordinata, e poi mi aspetto che ci seguano nel diventare e sentirsi un gruppo. Vorrei si sentissero come una piccola redazione, con un incarico reale, che sappia produrre il bello e ne siano fieri. La fotografia è individualità, ma al tempo stesso il “reporter” deve sentire di collaborare alla creazione di una narrazione comune, un risultato finale che sia la somma di una serie di creatività e sguardi individuali, ma anche di scelte condivise da cui emerga un risultato potente. Come un’orchestra, ognuno suona la propria musica, ma la suona insieme con gli altri”.
Tu vivi nel Nord Italia: ci racconti il tuo legame con la Sicilia, con Ragusa e con il progetto?
“E’ un legame ormai storico, nato da un mio lavoro biennale, e che non si è mai interrotto. Con la Sicilia è scattato un feeling particolare, se potessi mi trasferirei domani. Le persone, i luoghi, i modi, l’atmosfera, non so, è anche difficile da spiegare a parole, ci sto bene, ho sempre avuto belle storie. Per me, che vivo nel profondo Nord, tra Torino e Milano, la Sicilia e Ragusa sono un posto che mi calza a perfezione. Con alcuni dei partner del progetto avevo già lavorato e sono nate belle amicizie. In un’occasione a Palermo, ho avuto modo di assistere allo spettacolo teatrale “Pinocchio nel paese dei farlocchi”, organizzato da Caritas Ragusa con ragazze e ragazzi di analogo contesto sociale, e mi sono reso conto che le potenzialità di questi ragazzi sono impressionanti. Non era semplicemente teatro, era un messaggio potente che arrivava al cuore. Con il laboratorio fotografico, vorrei creare lo stesso tipo di alchimia cui ho assistito, in quell’occasione, da spettatore”.
Secondo te, con quale chiave possiamo capire l’evoluzione del laboratorio, secondo gli obiettivi che tu ci hai descritto?
“La chiave saranno gli occhi, e il fermarsi; è importante fermarsi a guardare le immagini, darsi il tempo di vedere cosa mostrano. Sono certo che gli sguardi di questi ragazzi ci stupiranno, spero che molti si fermeranno a capire ed ascoltare cosa hanno da dire. Ma, soprattutto, la chiave sarà nei momenti di felicità e di soddisfazione per i ragazzi; che capiscano di essere straordinari e di poter inventarsi la vita”.
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