Parte anche in Calabria il progetto per gli orfani speciali
di ProgettoRespiro
Fare rete, lavorare concretamente a realizzare un percorso di aiuto efficace per bambini rimasti orfani di un genitore perdendo contemporaneamente anche l’altro. E’ questo, in estrema sintesi, l’obiettivo che le procure, i tribunali per i minori, i tribunali, le forze dell’ordine e gli enti preposti all’iter di azione sugli orfani di femminicidio si sono dati nel corso della tavola rotonda realizzata a Marina di Gioiosa nella sala del Consiglio comunale. E’ partito così anche in Calabria il progetto RESPIRO che vuole portare l’attenzione sulla condizione, complessa e sommersa, dei cosiddetti orfani speciali, i bambini e le bambine rimasti orfani a seguito della morte di un genitore per mano dell’altro genitore.
All’incontro erano presenti per partecipare attivamente al progetto il Vescovo di Locri-Gerace Monsignor Francesco Oliva, l’assessora regionale al welfare Tilde Minasi, Felice Torricelli e Santo Cambareri, rispettivamente presidente e consigliere nazionali ENPAP, Danilo Ferrara, presidente regionale dell’ordine degli assistenti sociali, il sindaco della cittadina ospite, Giuseppe Femia. A loro l’introduzione istituzionale che si è tradotta nella presa di impegno concreta sul progetto. Alla tavola rotonda sono stati invece affidati i lavori di analisi e proposta, per cominciare ad agire in modo armonico sui bambini ma anche su tutto il sistema della loro vita dal momento della tragedia in poi.
Sono oltre 2.000 gli orfani di femminicidio in Italia (Dati Osservatorio Con I Bambini – Openpolis 2021). Gli eventi traumatici e dolorosissimi che i cosiddetti orfani speciali devono affrontare hanno un impatto psicologico devastante con conseguenze su tutta la loro sfera di vita.
Ma i dati non sono precisi, infatti dal tavolo dei lavori è emersa anche l’esigenza di realizzare una mappatura delle famiglie che contano orfani speciali. Non esiste ancora in Calabria una banca dati e un sistema di coordinamento regionale che possa attivarsi velocemente. Come occorre anche lavorare ad attivare i sistemi normativi e di assistenza esistenti ma non concretizzati e individuare nuove forme di aiuto e servizi per i caregiver, cioè le persone, spesso – ma non sempre -familiari vicini agli orfani, che dal fatto delittuoso dovranno prendersene cura con l’incombenza di gestirne anche il trauma. Situazione di estrema delicatezza che, se non affrontata come necessario, pregiudicherà il futuro di piccoli innocenti vittime di violenza. Impegno preso anche dall’assessora regionale Tilde Minasi che ha sottolineato l’importanza “di operare in rete, intesa come prima soluzione. Comprendendo anche una riforma regionale del terzo settore per ottimizzare le azioni anche in questo ambito.”
I dettagli del progetto sono stati delineati dal coordinatore nazionale Fedele Salvatore, presidente della cooperativa Irene 95 e da Giuseppe Lombardo, presidente dell’associazione SINAPSI che ha la gestione regionale del progetto RESPIRO. Dalle parole di Lombardo emerge l’assoluta necessità di operare anche celermente sulla mappatura dei casi, sul coordinamento delle azioni, sullo studio delle procedure. La risposta delle istituzioni è stata importante per cominciare a creare un lavoro armonico. Come d’altra parte è emerso dalla tavola rotonda:
Tiziana Amodeo, GOT al tribunale di Reggio Calabria ha introdotto al tema della violenza domestica, alla distinzione tra i casi di conflitto e di violenza fino ad arrivare al femminicidio (che conta il maggior numero di orfani speciali) con la richiesta di lavorare ad un migliore coordinamento degli uffici preposti ai casi, senza trascurare la prevenzione e sostenendo le nuove forme di risoluzione dei conflitti familiari. Sulla stessa scia, quella della necessità della rete, si è espressa Maria Carmela Callà, presidente della Camera minorile l’Aquilone presso il Tribunale di Locri. Rete e tempistica le parole chiave enunciate dall’avvocata che ha parlato anche di attenzione alle vittime secondarie, parenti della vittima spesso, che accolgono in poche ore il lutto e la gestione dei minori, da trattare con procedure precise e attente.
E’ la docente dell’Unical Angela Costabile a definire anche il modo di agire per realizzare la rete che ormai è emersa come prima tappa nella realizzazione del progetto. Una rete fatta anche con un lavoro di formazione che porti tutti gli operatori, diretti e indiretti, a “parlare la stessa lingua”. In effetti sono così tanti gli attori e così differenti i ruoli professionali, che risulta indispensabile operare proprio sull’omogeneità di termini e comprensione della individuazione delle fattispecie.
Emerge un quadro dunque chiaro pur nella grande incertezza dei dati. Realizzazione di una rete efficace, coordinamento tra gli uffici preposti, formazione, prevenzione, anagrafe e mappatura dei casi, compresi quelli difficilmente rintracciabili come le morti legate alla criminalità. Messa a sistema delle azioni, ottimizzazione della normativa esistente attraverso la sua pedissequa applicazione. Ricerca, studio e cura degli effetti devastanti anche a livello neurologico, dei traumi e delle ferite subite dai bambini, come sottolinea Costabile. L’azione culturale emerge come importante prevenzione dei casi. Dalle testimonianze di Francesca Mallamaci, che arriva dalla gestione di centri Antiviolenza e Maria Cecilia Rebecchi, sostituto procuratore della Procura presso il tribunale di Vibo Valentia, passando dall’intervento del Maresciallo Claudia Gentili del Comando Carabinieri di Marina di Gioiosa e concludendo con Patrizia Surace, GOT presso il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, è la prevenzione della violenza la prima arma contro l’aumento di casi di orfani speciali. Quando già il minore che subisce o assiste alla violenza è vittima e soggetto esposto al trauma, e che ne subisce già i danni.
Lo dice anche la testimonianza, ascoltata dai presenti all’incontro, di un giovane, figlio di una vittima, Tiziana Marra; lunghi, difficili e importanti i passi avanti fatti da un bambino che ha visto la madre uccisa per mano del padre, che ha temuto per la propria vita e che ha visto quella della madre spegnersi , che ne ha portato il peso. Senza il supporto di una rete avrebbe vissuto una vita diversa e più difficile. “Ma ancora sono tante le cose da fare”, il suo è un monito, perché nessun bambino debba vivere quello che lui ha vissuto.
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