La lettera dei ragazzi allo psicologo Matteo Lancini

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Buongiorno Matteo, buongiorno a tutti!
Eccoci qui! Siamo noi, ragazzi e adolescenti, vi ricordate di noi? Abbiamo deciso di scrivervi, rispondendo alla lettera di Matteo Lancini, per ricordare a tutti che ci siamo, che non siamo stati risucchiati negli smartphone o nei pc o peggio ancora negli scarichi dei bagni, uno dei pochi posti in cui possiamo ritrovare l’intimità con noi stessi e con i nostri amici e fidanzati.

In questo lungo periodo di chiusura, vi abbiamo sentiti parlare dalle televisioni, rilasciando numeri, inviti, consigli, obblighi. Vi abbiamo sentiti a tavola sbraitare contro tutti: dai runners al presidente del Consiglio, passando per cani e vigili, cinesi e lombardi. E giovani.

Vi abbiamo visto dalle finestre mentre andavate al lavoro o a fare la spesa, mentre allungavate le passeggiate per comprare il giornale. Vi abbiamo visto accanirvi sui vostri cellulari nell’inoltrare foto e video sempre meno divertenti man mano che passava il tempo o postare su Facebook notizie e commenti sugli argomenti all’ordine del giorno.

Vi abbiamo sentiti verso sera cantare l’inno italiano, intonare Bella Ciao il pomeriggio del 25 aprile e poi chiederci di abbassare il volume delle nostre casse. Abbiamo riscoperto le cuffie. Ci è stato chiesto di stare a casa e noi siamo stati a casa. Ci è stato chiesto di non vedere gli amici e abbiamo capito. Di non vedere i nostri i nonni e abbiamo capito un po’ meno e un po’ dopo, ma abbiamo comunque capito.

Siamo tanti e diversi. Pensiamo e ci comportiamo in modo diverso, spesso imitando o prendendo spunto dalle nostre famiglie. Dove abbiamo trovato adulti impauriti abbiamo avuto paura anche noi, quando abbiamo agito in modo prudente o spavaldo è perché anche gli adulti con cui viviamo lo hanno fatto. In generale si è parlato poco di noi. L’attenzione era tutta rivolta giustamente all’epidemia, alle misure di sicurezza, alle fasi di chiusura e ripartenza delle attività produttive.

Solo trattando di scuola abbiamo intuito si parlasse di noi, anche se al centro del discorso c’erano il lavoro degli insegnanti, la didattica a distanza, tablet, smartphone, zoom, WeSchool, ecc. All’inizio eravamo contenti di non andare a lezione, di svegliarci più tardi al mattino e andare a letto più tardi la sera. Contenti di avere più tempo per le cose che ci interessano e piacciono. Siamo stati finalmente liberi di usare i nostri telefoni senza limiti e sensi di colpa per chattare, scambiare foto, video, link. Abbiamo anche sentito meno pressione addosso da parte degli adulti, ma anche dei nostri coetanei. In alcuni casi ci ha fatto persino piacere tornare a indossare gli abiti comodi di figli-bambini.

Rispetto alla scuola, ci ha entusiasmato la novità delle lezioni online, la possibilità di essere più attivi e interattivi nelle discussioni sugli argomenti e utili alla classe durante gli incontri in rete. Ci ha fatto piacere essere cercati singolarmente dagli insegnanti, avviando rapporti che prima non ci erano concessi. Quando abbiamo scoperto che saremmo stati promossi o abbiamo smesso di studiare o abbiamo smesso di studiare per il voto.

Tre mesi però sono lunghi. Poco per volta l’entusiasmo è passato. Per qualcuno di noi è subentrata la noia, la demotivazione a stare al passo dei compiti, delle lezioni, delle connessioni. Aurora non riesce più a dormire bene la notte. Ahmad invece ha iniziato a non farsi trovare dagli insegnanti, prolungando le ore di sonno per difendersi dalle loro intrusioni in casa, attraverso lo schermo. Ad Antonio i compiti dati dai professori hanno cominciato a mettere ansia ed ora non li fa più. Chen ha smesso di suonare il pianoforte perché irrita i suoi genitori, già provati dalla chiusura del ristorante di famiglia. Le conversazioni tra noi sono diventate sempre più vuote e inutili. Così Zahra ha smesso di sentire la sua migliore amica e non risponde più neanche ai messaggi in chat.

Abbiamo scoperto di avere desideri semplici e quindi ci sono mancate cose semplici. Gli amici prima di tutto, le domeniche passate insieme ai nostri cugini, le quotidianità della nostra città, con la gente che passeggia e chiacchiera. Ci è mancato il nostro quartiere, camminare per le sue vie per andare in biblioteca, all’ASAI o anche solo a sedersi sulle panchine ad ascoltare musica insieme. Ci è mancato l’abbraccio dei nostri fidanzati e fidanzate. E poi giocare a pallone in un giardino, andare in bicicletta e lo sport in generale. Mangiare un kebab insieme usciti da scuola. Ci è mancato il gruppo.

Adesso è il momento di ripartire. Viviamo questi giorni in modo contrastato, con una voglia matta di uscire e la paura che ci frena. Qualcuno di noi non ne vuole sapere di incontrare altra gente e resterà chiuso in casa ancora per un po’. Molti di noi però si stanno riattivando, più consapevoli di prima di chi siamo e cosa vogliamo, delle nostre fragilità, ma soprattutto delle nostre risorse. Siamo riusciti a mantenerci lucidi in questa situazione. Abbiamo dedicato del tempo a noi stessi, pensando alle persone e alle cose importanti, aggrappandoci a qualche passione o hobby come ascoltare musica o suonare uno strumento, riscoprendo la lettura o imparando a maneggiare meglio programmi e applicazioni di pc e smartphone. Reda che è egiziano sta studiando la lingua giapponese perché è appassionato di manga e anime. Jennifer, nigeriana, è riuscita a trovare qualcuno che continuasse a insegnarle l’italiano online.

Ci siamo anche impegnati a prenderci cura del nostro corpo, allenandoci in camera con i tutorial di youtube o nei cortili e nei garage. Abbiamo trovato strategie per convivere con i nostri genitori e i nostri fratelli. Li abbiamo sopportati e talvolta riscoperti come compagni di gioco o alleati. Ci siamo resi meno insopportabili,sviluppando più ascolto e pazienza e spesso occupandoci di più delle cose di casa. Sentendoci più indispensabili siamo diventati più responsabili.

I ragazzi di React Torino ripartono da qui. Dalla loro voglia di contare e di raccontare, di sentire parlare di loro non solo come studenti o come soggetti problematici, ma in quanto persone, parte viva della società.
L’adolescenza non è un’età di passaggio. Nessuna età è di passaggio. Ogni periodo della vita va riempito di
senso e di esperienze, di partecipazione e responsabilità.

Le scuole riapriranno solo a settembre. Come mai? Qual è il grado di percezione dell’importanza di scuola ed educazione che rimanda il mondo adulto ai ragazzi, se tutto (dall’aperitivo ai parrucchieri) appare più urgente e fondamentale del ritorno a scuola? Le scelte fatte hanno tenuto conto di ricerche, studi e riflessioni inerenti gli effetti del distanziamento fisico su bambini e ragazzi? Quale interesse per chi si occupa di educazione, cittadinanza, tempo libero dei giovani? Queste sono solo alcune delle domande che sorgono scorrendo la lettera che hanno scritto in risposta a quella dello psicologo Matteo Lancini.

Scopri di più sul nostro progetto nazionale contro la povertà scolastica:
Il programma di REACT – Reti per Educare gli Adolescenti attraverso la Comunità e il Territorio – selezionato da CON I BAMBINI nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile è il nostro progetto nazionale per contrastare la povertà educativa e favorire inclusione e benessere dei ragazzi che vivono in contesti difficili.

Attivo dal settembre 2018 in 10 quartieri periferici di Piemonte, Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia, Sardegna, caratterizzati da situazioni critiche di disagio socioeconomico. Il progetto coinvolge 3200 ragazzi, 1700 famiglie vulnerabili e 690 insegnanti e si sviluppa attraverso un modello innovativo che mira da un lato a rafforzare gli adolescenti, specie i gruppi più vulnerabili; dall’altro a potenziare i soggetti (formali: insegnanti, operatori sociali e informali: famiglie, volontari, cittadini, operatori territoriali) che rappresentano la comunità educante.

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