Nello Spazio Gioco di Latina le regole non impediscono di stare insieme

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Reincontrarsi finalmente, riscoprire il significato della parola “insieme”, ritrovare relazioni, divertirsi. Sono state quattro settimane così, quelle dello Spazio Gioco nato all’interno del progetto Radici di Comunità nel quartiere Nova Latina (ne avevamo parlato qui). Un’esperienza che in altri tempi sarebbe stata normale, ma in questi tempi di pandemia ha assunto significati, e ha posto problemi, del tutto peculiari. Per questo abbiamo cercato di fare un bilancio con i due coordinatori dell’esperienza:  Agostino Mastrogiacomo (Acli provinciali di Latina) e Daniela Maurizi (FantasticArt).

Molte associazioni, quest’anno, hanno rinunciato alle tradizionali attività estive, spaventate dalle regole e dalle responsabilità legate alla prevenzione della diffusione del Coronavirus. Ma, secondo Mastrogiacomo, queste difficoltà vanno affrontate con lo spirito giusto: «anche la regola Benedettina è ferrea, eppure l’abate, quando nel refettorio invece di cenare legge le letture ai commensali, alla fine dice: è la regola che fa l’uomo, ma è solo l’interpretazione della regola che rende l’uomo più vicino a Dio. Questo noi abbiamo cercato di fare: rispettare le regole, ma senza spaventarci e soprattutto senza concentrarci solo su di esse».

Le regole e la responsabilità

Questo non significa che sia stato facile, soprattutto all’inizio, spiega Daniela Maurizi. «Era un’esperienza nuova, sia per gli operatori che per bambini e ragazzi. L’abbiamo affrontata mettendo in chiaro le regole e informando gli uni e gli altri. Il lunedì i genitori compilavano il foglio del triage, tutti i giorni misuravamo la temperatura, tutti avevano la mascherina. Siamo stati fortunati con il tempo, che è stato bello per tutte quattro le settimane. Inoltre l’oratorio della parrocchia di San Luca ha ampi spazi all’aperto, anche ombreggiati, con campi da calcio, basket e pallavolo… Durante i laboratori c’era l’obbligo della mascherina, ma nelle altre attività all’aperto si manteneva la distanza e quindi i bambini hanno potuto giocare e divertirsi, senza doverla indossare. Abbiamo posto molta attenzione alla igienizzazione delle mani, ma anche degli spazi. Sicuramente tutto questo tempo ha richiesto tempo e attenzione, ma i ragazzi si sono adeguati e abbiamo potuto fare tutte le attività tranquillamente».

È stato anche grazie alla collaborazione dei bambini e dei ragazzi che l’esperienza di Spazio Gioco ha raggiunto il suo obiettivo, che era soprattutto quello di farli stare insieme. «Nel lockdown hanno sofferto», ricorda Mastrogiacomo. «Nella palazzina vicino a quella dove vivevo io c’è una specie di cortiletto: i genitori ci portavano i bambini, anche per pochi minuti, ma sembrava il regalo più bello che gli si poteva fare. Li vedevo giocare con i sassolini, come facevamo noi alle case popolari cinquant’anni fa».

Per questo il momento forse più bello di queste quattro settimane è stato quando «all’interno di ogni gruppo i bambini e i ragazzi hanno davvero cominciato a integrarsi: non solo a giocare insieme, ma a “imparare chi siamo”. Non solo memorizzare nome e cognome, quanto sei alto, come ti vesti… ma imparare qualcosa di più di te, e comunicare qualche cosa di più di me. Da quel momento hanno cominciato a  fare le attività con più trasporto, senza paura di rivelare se stessi a degli sconosciuti».

È andata bene: lo dicono loro!

All’inizio infatti non si conoscevano, perché sono arrivati a Spazio Gioco da diversi percorsi, spiega Maurizi: «Alcuni avevano già seguito le attività fatte durante l’anno all’interno del progetto Radici di Comunità, nella parrocchia o nella scuola. Alcuni avevano seguito, durante il lockdown, i nostri laboratori di coding a distanza.  È bastato che il parroco dicesse in chiesa che c’era questa iniziativa, perché arrivassero le iscrizioni. Abbiamo dato la priorità agli abitanti della zona e agli alunni della scuola, a chi aveva disabilità, alle famiglie monogenitoriali, e ai ragazzi segnalati dal Comune».

Il bilancio è sicuramente positivo. Spiega Mastrogiacomo che bambini e ragazzi si sono portati a casa tante Tutti gli articolicompreso, tra tutte le altre, un «rapporto più consapevole con le proprie emozioni, che è una cosa difficile sempre, per tutti. In questo periodo molti di loro hanno dimostrato di avere un buon rapporto con le proprie emozioni e di poterlo sviluppare, se vogliono».

Tanti i segnali che testimoniano la positività dell’esperienza, racconta Maurizi, a cominciare da «i bambini stessi, che ci hanno chiesto se era possibile aggiungere una settimana, perché volevano continuare. E poi i genitori, che ci hanno scritto biglietti di ringraziamento. E alcuni ragazzi, che si erano iscritti solo la prima settimana, perché erano titubanti e si sentivano quasi costretti dai genitori, che non potevano occuparsene.  Invece hanno confermato tutte le settimane successive: erano proprio loro che volevano venire».

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