Coinvolgere gli anziani, per costruire Comunità educanti
di cemeadelmezzogiorno
Annamaria Calore è la presidente dell’associazione Raccontarsi Raccontando, che è uno dei partner del progetto Radici di Comunità. Per lei il tema della Comunità Educante è fondamentale, all’interno dell’impegno di contrastare la povertà educativa. Per questo ripropone questo tema, ogni volta che si presenta l’occasione, ad altre associazioni, gruppi, persone che ritiene debbano avere un ruolo nella comunità.
Così è successo in novembre, durante un incontro che si è tenuto su iniziativa dell’associazione Televita, dei gruppi vincenziani e della stessa Raccontarsi Raccontando, nella parrocchia di San Frumenzio a Roma, in quel Municipio 3 che è uno dei territori su cui si realizza il progetto Radici. L’incontro si svolgeva all’interno di un progetto, “Da Frammenti a Mosaico”, finanziato dal Comune di Roma per mettere in rete le tante esperienze di volontariato e impegno civile del territorio. Ne abbiamo parlato con lei.
Perché questo incontro sulla comunità educante?
«Perché è il tema portante del progetto Radici e io ci credo, nella comunità educante, anzi, direi che è per questo che abbiamo scelto, a suo tempo, di partecipare anche noi. È evidente che famiglia e scuola da sole non ce la fanno e che dobbiamo passare dalle “connessioni aeree” alle connessioni fisiche: non possiamo continuare a vivere gomito a gomito, ma senza conoscerci».
Chi ha partecipato?
«L’associazione di volontariato Televita è impegnata per la valorizzazione delle competenze degli anziani, considerati una risorsa per il territorio. All’incontro erano stati invitati gli anziani della comunità: quelli di quarta generazione, che l’associazione sostiene e assiste, ma soprattutto quelli di terza generazione, spesso neopensionati. Quello del Municipio 3, infatti, è un ambiente caratterizzato dalla presenza di molti esodi di anticipati. Ci cono molti nuovi anziani, persone in gamba, con competenze elevate».
Come si è svolto l’incontro?
«Avevamo dato alcuni input ad alcune ragazze di due licei romani (Liceo Cavour e Liceo Virgilio) e chiesto loro di realizzare due cartelloni sulla comunità educante: avevano fatto dei lavori spiritosi, creativi, che hanno attratto molto. Le ragazze erano presenti: erano molto timide e stavano un po’ in disparte, ma si sono prese un sacco di complimenti. In sostanza, hanno comunicato con il loro sguardo la comunità educante. Su questo tema avevamo già fatto un altro progetto: un percorso di raccolta di testimonianze di coloro che in tempo di guerra erano bambini. Anche se a quel tempo erano piccoli, gli anziani di oggi hanno ancora immagini vividissime. Poi abbiamo stampato il testo per darlo ai nipoti, ma quel lavoro non conteneva solo le storie: avevamo chiesto quali valori avrebbero voluto mettere in una valigia per consegnarli ai nipoti, presenti o futuri. Le generazioni future sono i bambini di adesso, che diventeranno cittadine e cittadini, per questo ci sembrava importante valorizzare il contributo dei nonni».
Dove gli anziani possono esercitare un ruolo educativo, oltre che in famiglia?
«In molti luoghi. Quella di San Frumenzio, in particolare, è una grande comunità, dove ci sono anche giovani, immigrati, donne sole con bambini – perché c’è una casa famiglia – e c’è tutto un territorio da riscoprire, che spesso i ragazzi non conoscono, neanche nelle sue risorse culturali. Si può coinvolgere gli anziani, in tutto questo».
Quindi è attraverso l’impegno civile, magari nel volontariato, che gli anziani posso educare?
«Certo, tanto più che questa è una generazione di sessantenni con ancora molte energie: un serbatoio di comunità educante a costo zero. Anche se purtroppo sono un’etnia in via di estinzione, nel senso che in futuro gli anziani non avranno più questa condizione di privilegio»
Ruolo delle associazioni, di conseguenza, è rimettere in circolo queste energie…
«… e i saperi e le competenze. Tante di queste persone, che sono andate in pensione anticipata, hanno un titolo di studio superiore, parlano una lingua straniera, hanno competenze informatiche. Li perdi socialmente, se non dai loro uno scopo: le donne, che hanno allevato i figli, più facilmente hanno voglia di impegnarsi, mentre gli uomini, spesso, vanno in depressione prima ancora di essere effettivamente in pensione. Se sei garantito – come lo sono questi anziani – hai un obbligo morale di dare qualcosa alla società. Coinvolgere gli anziani fa sì che il bisogno di non far ammalare le persone, perché non lavorano più, si saldi con quello di recuperare competenze utilissime socialmente. Aggiungo che noi, con il progetto Radici, facciamo una serie di attività dentro l’IC Uruguay, che si trova appunto nel Municipio 3. Credo che le scuole dovrebbero diventare luoghi di elaborazione e di costruzione della comunità educante: per questo anche gli anziani vanno portati nelle scuole».
(la foto di copertina è di Lucio Governa, associazione: Televita)
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