“L’educazione è fuori”. Perché è necessaria oggi più che mai una scuola all’aperto
di natiperleggere
Se ne è discusso nel convegno online organizzato dall’Università di Macerata, partner del progetto QUIsSI CRESCE! A breve anche la pubblicazione di un’attività di ricerca dell’Ateneo, iniziata prima della pandemia, che raccoglie documentazione e indicatori dei benefici riscontrati nei bambini e nelle bambine a seguito della frequentazione di attività didattiche all’aperto.
I bambini e le bambine che hanno frequentato campus estivi ed esperienze di apprendimento all’aperto hanno maturato una capacità maggiormente spiccata nelle abilità interpersonali. L’approccio quotidiano con la natura, la stimolazione oculo manuale, la centralità del corpo e l’equilibrio hanno consentito di mettere maggiormente a fuoco competenze sociali che sono così importanti per l’autoregolamentazione emotiva. A dirlo è uno studio ancora inedito dell’Università di Macerata portato avanti dalla docente Paola Nicolini e dalla dottoressa Evelyn Manoni. Un lavoro corposo, frutto di un anno di osservazione portato avanti dall’Ateneo in collaborazione con l’Associazione Bimbisvegli e l’Istituto Comprensivo Serravalle d’Asti. Le ricercatrici hanno studiato caratteristiche e risultati, metodi educativi adottati per comprendere la eventuale replicabilità in ambiente scolastico: uno studio su pratiche innovative ideato prima dello scoppio della pandemia che assume ancora maggiore importanza nel confronto con la stretta attualità.
I buoni motivi per far uscire la scuola fuori dalle mura scolastiche
Se n’è dato ampio spazio nel convegno online “L’educazione è fuori” organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata per dare voce ai numerosi buoni motivi per far uscire la scuola fuori dalle mura scolastiche, per renderla diffusa e all’aperto. Tra gli interventi anche quello della ministra all’Istruzione Lucia Azzolina che ha elogiato le buone pratiche e si è detta favorevole ad un sistema didattico che integri l’educazione all’aperto con quella tradizionale. “Far uscire la scuola dalla scuola è un approccio che condivido pienamente
per le sue enormi potenzialità – ha riferito la ministra – un approccio che stimola le alunne e gli alunni al rispetto dell’ambiente circostante, permette loro di riappropriarsi degli spazi all’aperto, guarda alla natura come insieme di stimoli ed esperienze sensoriali”.
Al dibattito hanno preso parte come relatori Anna Oliverio Ferraris, Giuseppe Paschetto, Gianni Marconato, Paolo Mottana, Antonino Attanasio, Giampiero Monaca, Giuseppina Rita Mangione e Laura Parigi, guidati e introdotti da Paola Nicolini. Molti dei relatori hanno sottolineato come le buone pratiche di insegnamento all’aperto spesso vengono relegate ad attività extra scolastiche, senza riuscire ad entrare nel tessuto profondo della didattica nelle scuole.
Le scuole nel bosco
In particolare la psicologa e psicoterapeuta, docente di Psicologia dello sviluppo Anna Oliverio Ferraris si è soffermata su questo aspetto: “i bambini hanno sempre dato segnali di voler essere attivi, ma le teorie più avanzate di alcuni studiosi che già un secolo fa dicevano queste cose sono rimaste sui libri. Oggi esistono in Italia una ventina di scuole nel bosco, ma sono iniziative isolate e spesso incontrano anche la diffidenza di insegnanti e genitori”. La colpa di un mancato aggiornamento del sistema scolastico va ricercato secondo la studiosa in certa politica, ma anche in una categoria di pedagogisti troppo teorici per confrontarsi con le applicazioni pratiche.
“Rimanere chiusi in casa è il più grosso abuso che si fa all’infanzia – ha concluso – ove possibili certe esperienze andrebbero favorite, ai bambini è stato tolto lo spazio”. Da qui l’esigenza di alcune realtà di innovarsi utilizzando a pretesto le mutate condizioni ambientali che spingono all’adozione di nuovi modelli compatibili con il momento attuale.
Molti gli esempi virtuosi in Italia
Giuseppe Paschetto racconta dell’esperienza di alcune classi di una comunità biellese che è riuscita a far inserire nel PTOF le escursioni domenicali che genitori insegnanti e bambini di diverse età svolgevano nel tempo libero la domenica: “è una situazione in cui si è andati oltre gli spazi e i tempi rigidi della scuola, con i voti o le suddivisioni in fasce di età. La montagna, in collaborazione col Cai, veniva vissuta come un ambiente di apprendimento. Davvero si può dire che questa esperienza non sia istruzione?”.
La stessa domanda è stata posta per “Bimbisvegli“, il campus estivo proposto dall’omonima associazione di Asti e oggetto dello studio
dell’Università di Macerata assieme ai due casi marchigiani studiati per gli agrinido.
Giampiero Monaco, anima e ideatore del campus ha ipotizzato uno spazio di divertimento che fosse anche uno spazio di apprendimento, che consentisse ai bambini e alle bambine di essere spazio di cittadinanza. E la prova tangibile di tale sicurezza si è “materializzata” proprio nel corso dell’incontro online quando anche i piccoli partecipanti al campus hanno posto domande ad una platea di adulti con consapevolezza e voglia di dire la propria. “Il bimbo sveglio è per noi chi vuole entrare in modo attivo e partecipativo nella vita sociale, nella polis, sia che si parli di noi, sia che si parli di problemi – racconta – L’esperienza del Green campus è nato dall’ esigenza di uscire dal lockdown, dall’ isolamento forzato e ansiogeno e ricostruire i ponti relazionali e al contempo avere un recupero anche dal punto di vista relazionale. “Bimbisvegli” è nata come associazione per fare quelle cose che le istituzioni non riescono a fare”.
Il campus è stato suddiviso per settimane e per ogni settimana veniva creata una narrazione attorno alla quale inserire insegnamenti didattici, dalla matematica che entrava come formula per trovare il tesoro, all’inglese come linguaggio parlato da una “tribù”, alla storia, che forniva la cornice narrativa. Una settimana infatti i bimbi svegli erano uomini preistorici, un’altra greci antichi, un’altra ancora gallo celtici.
Tutto il campus si è svolto sotto l’occhio della ricerca UniMc che a breve produrrà gli esiti di questo corposa documentazione: “sarà un catalogo che fornisce documentazione e inquadramenti teorici, raccolta dati su come l’esperienza estiva abbia una ricaduta sull’ immagine di sé nei bambini.
E’ stata fatta una rilevazione in entrata e in uscita – conclude la Nicolini autrice della ricerca assieme ad Evelyn Manone – e tramite alcuni indicatori siamo riusciti a quantificare la ricaduta. La ricerca è ampia e articolata ma è interessante vedere come rispetto all’ingresso la variazione più forte sia sulle abilità interpersonali. Questa esperienza ha dato tante possibilità di interazione con la natura ed è stata da stimolo alla coordinazione oculo-manuale, alla consapevolezza del corpo, così centrale in questi anni di vita ma soprattutto ha fornito occasioni di interazioni per mettere maggiormente a fuoco le competenze sociali che permettono l’autoregolazione emotiva che è ciò che manca a molti adulti e che porta spesso ad episodi di violenza. Questi cittadini di oggi che dialogano con gli adulti, con l’ ambiente e fra di loro, hanno la capacità di convivere in tanti ambienti, di coltivare strategie di gruppo. Imparare a chiedere aiuto è un’importantissima strategia sociale”.
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