Se Maria Montessori vedesse un bambino con l’iPhone… ne parliamo con Howard Gardner

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“Se Montessori e Malaguzzi dovessero tornare in Italia o in qualsiasi Paese di oggi e osservare i mondi tecnologici, culturali, sociali, politici e lavorativi radicalmente diversi del 2020 (rispetto al 1920 o 1970) come avrebbero reagito? E quali cambiamenti avrebbero apportato?” La domanda affascinante e ricca di riflessioni arriva da Howard Gardner, psicologo e docente statunitense, padre della teoria delle “intelligenze multiple”.

Un quesito a cui, però, neanche l’illustre studioso può rispondere, ciò tuttavia non rende meno interessante l’idea che Gardner ha dei due studiosi italiani, che, confessa, sono stati la base sulla quale ha elaborato il progetto “Spectrum” ovvero l’applicazione pratica del suo corpus teorica. E proprio sul rapporto fra teoria e pratiche (e buone pratiche) ha ruotato l’intervento dello studioso, ospite di punta del convegno online dedicato alla figura di Maria Montessori per i 150 anni dall’anniversario della nascita, previsto a Macerata in primavera e rinviato sulla piattaforma Zoom causa Covid-19.

Gardner storicizza la figura della Montessori tributandole un ruolo fondamentale nell’educazione mondiale, capace di arrivare laddove studiosi più noti non sono riusciti con la sola teoria. La pratica infatti è quell’aspetto dell’educazione che rende vera e dimostrabile la teoria, che consente di “sperimentare” i fondamenti del pensiero e di “sporcarsi” nel terreno della realtà.

Su gentile concessione dell’Università di Macerata e della professoressa Paola Nicolini riportiamo alcuni passaggi della Conferenza internazionale “Maria Montessori: un’aula grande quanto una regione” che aveva come tema proprio l’indagine sulla teoria e pratica nella prima infanzia.

In ogni area dell’educazione, dalle scuole d’infanzia all’università, c’è una tensione tra la teoria e la pratica – sostiene lo studioso – se guardiamo il secolo scorso vediamo una divisione simile del lavoro. I maggiori pensatori in area psicologica, come Jean Piaget, Lev Vygotskij, Jerome S. Bruner e Burrus F. Skinner, così come i filosofi come John Dewey e Jurgen Habermas hanno messo a punto i concetti di sviluppo e crescita umana, e sulla base di questi concetti hanno proposto specifici interventi educativi. Mentre potrebbero essere meno conosciuti dagli studiosi e scienziati, gli educatori come Caleb Gattegno con le sue Geoboard e le canne Cuisenaire, o Samuel Orton e Dorothy Gillingham, con i loro fonogrammi.

Ma essi hanno avuto un impatto significativo sul modo in cui gli educatori pensano all’educazione matematica e all’insegnamento della lettura ai bambini con la dislessia.

In effetti, due giganti dell’educazione del XX secolo, entrambi italiani, ebbero un notevole successo nel colmare il divario spesso considerevole e importante tra la teoria e la pratica. Ho in mente Loris Malaguzzi, il genio dell’educazione le cui idee hanno ispirato e creato il Reggio Children approach e Maria Montessori, il genio dell’educazione che ha ispirato e creato quello che oggi è universalmente descritto come Metodo Montessori.

È da notare che queste persone provenivano da un Paese europeo di medie dimensioni ed entrambi hanno raggiunto il loro impatto contro ogni previsione: Maria Montessori è stata una delle prime donne a diventare un medico in Italia, continuamente in lotta contro una professione dominata dagli uomini, in un ambiente politicamente instabile. E Malaguzzi, formatosi come giornalista, iniziò il suo lavoro educativo in una zona dell’Italia settentrionale bombardata nei tempi della Seconda guerra mondiale, dove le donne lottavano per sopravvivere e crescere i propri figli.

Anche se non c’ero mentre sviluppavano le loro idee e pratiche, li vedo come teorici e professionisti sensibili, ben istruiti, in grado di basarsi sui concetti e sulle pratiche di epoche precedenti. Ma allo stesso tempo, essi hanno condotto una necessaria sperimentazione giorno dopo giorno, anno dopo anno, aiutati da collaboratori dediti al loro lavoro, per creare dei materiali appropriati per le fasce di età con cui lavoravano, con i genitori e gli insegnanti di quelle epoche e, va sottolineato, nelle condizioni politiche spesso turbolente del tempo.

E penso che sia perché il loro lavoro era così ben radicato nella pratica (oltre che nella teoria) che oggi – decenni dopo la loro morte – i loro nomi e i loro metodi dominano l’educazione della prima infanzia in tutto il mondo”.

Gardner nel corso della sua lectio non manca di rimarcare come proprio l’approccio sperimentale dei due “geni italiani” sia stato humus fertile per creare la procedura del suo “spectrum” applicazione della sua teoria delle intelligenze multiple teorizzata negli anni 70.

“Avendo presentato questa teoria, insieme al mio collega David Feldman abbiamo deciso che sarebbe stato opportuno vedere se avessimo potuto documentare l’esistenza e la crescita di queste supposte intelligenze nei bambini piccoli – prosegue – E così, lavorando con ricercatori di talento come Mara Krechevsky, Julie Viens e Jie-Qi Chen, abbiamo creato un intervento educativo e una serie di materiali che abbiamo soprannominato “Project Spectrum”. 

Analizzando le nostre avventure nell’insegnamento mi rendo conto che ci siamo rivolti ai materiali che erano stati sviluppati da Maria Montessori, come i blocchi, usati per valutare le intelligenze spaziale e cinestesica, e le campane, usate per valutare l’intelligenza musicale. E mano a mano che osservavamo e occasionalmente intervenivamo nelle aule, ci rendevamo conto dei “cento linguaggi dei bambini” descritti da Loris Malaguzzi, nonché dell’ambiente aperto, sperimentale, esplorativo caratteristico di Montessori, Reggio Emilia e dell’educazione progressista più in generale.

Questo tipo di equilibrio – tra un ambiente ben strutturato e insieme la fiducia nelle capacità dei bambini di imparare dalle proprie attività e dalle loro stesse interazioni con i coetanei – ha caratterizzato l’approccio degli educatori in tutto il mondo nel secolo scorso. 

Se Montessori e Malaguzzi dovessero tornare in Italia o in qualsiasi Paese di oggi, e osservare i mondi tecnologici, culturali, sociali, politici e lavorativi radicalmente diversi del 2020 (rispetto al 1920 o 1970) come avrebbero reagito?

Non saprei rispondere, ma vorrei scommettere che le loro idee di base sui bambini, sullo sviluppo, i cento linguaggi e la mente assorbente, così come le pratiche che hanno sviluppato, sarebbero rimaste invariate e durature. Dopotutto, le pratiche particolari che hanno sviluppato vivono anche oggi nelle aule di Reggio Emilia e delle scuole montessoriane grazie agli insegnanti, sia in Italia che in Islanda, in India o in Indiana”.

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