Let’s play. Giochiamo ad imparare le lingue

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Se sperate che basti posizionare il proprio figlio davanti al televisore in ascolto di “Peppa Pig” in inglese per consentirgli di imparare fin dalla tenera età un’altra lingua, dobbiamo smentire l’aspettativa. Non solo infatti l’approccio passivo non funziona ma, a volte, risulta addirittura dannoso.

 

L’apprendimento di una lingua nei bambini piccoli somiglia ad un piccolo miracolo: decifrare le parole della mamma e del papà, dare un senso a quei fonemi, tradurli in azioni, sentimenti, grammatica, spesso inventando parole del tutto nuove, forme verbali tanto scorrette quanto divertenti e affascinanti. Sono segnali di un processo creativo effervescente e dinamico, un mondo che il bambino sta districando e che ancora non è soggetto alla rigidità della struttura e delle griglie grammaticali, ma che può permettersi errori, neologismi e anarchia. Un processo cognitivo assai complesso che meraviglia e stupisce sempre i genitori che non dimenticheranno mai la prima parola del proprio figlio. E proprio in virtù di questa creatività è il momento più adatto per apprendere in maniera intuiva un idioma secondario. Ma come farlo? Come inserire la seconda lingua nell’apprendimento e perché è utile farlo anche per le famiglie “monolinguistiche”.

Risposte che l’associazione onlus “GENITORI&FIGLI, per mano” cerca di dare su un tema importante che va oltre, a nostro avviso, al saper parlare una seconda lingua in età precoce. Il plurilinguismo durante l’infanzia implica, infatti, risvolti cognitivi e personali essendo risorsa importante per affrontare le sfide educative dell’attuale società multiculturale e si pone in linea con gli obiettivi del progetto QUIsSI CRESCE! riguardo alla lotta alla povertà educativa minorile ed alla formazione di una cultura di comunità educante. La tematica è stata recentemente affrontata da esperti e studiosi nel corso di un convegno sugli aspetti educativi e sociali nel bi-plurilinguismo nell’infanzia, promosso dalla stessa associazione e dall’Università degli Studi di Macerata, partner del progetto QUIsSI CRESCE!

Da un po’ di tempo,  dunque, il tema del bilinguismo è uno degli argomenti che vengono affrontati dall’associazione maceratese “GENITORI&FIGLI, per mano” di cui è responsabile Andriana Steta, docente di inglese al Dipartimento di Scienze della formazione, beni culturali e turismo dell’Università di Macerata, appassionata promotrice del bilinguismo fin da bambini. E lo ha testato personalmente con i suoi figli, introducendo, oltre all’italiano, lingua prevalente, la lingua croata. I vantaggi per i bimbi non sono solo legati alle opportunità future che la padronanza e l’utilizzo di più lingue consentono, ma anche dal punto di vista cognitivo. Ed è per questo che l’associazione organizza momenti educativi gratuiti con la playgroup di inglese, un approccio ludodidattico verso l’insegnamento di una lingua straniera.

I vantaggi nell’apprendimento di una o più lingue diverse da quella prevalente sono enormi – spiega –e non sono legati solo alle opportunità future, ma sono anche immediatamente visibili nei processi cognitivi. Apprendere fonemi e riconoscere idiomi differenti mette in moto processi che diventano utili anche per il movimento, per la formazione psichica e neurologica ad ampio raggio. Per lungo tempo studi inadeguati e cattivi informatori hanno diffuso l’idea che il bilinguismo producesse una sorta di “confusione” nel bambino, rendendolo incapace di apprendere adeguatamente l’una e l’altra lingua di espressione. Nulla di più falso e sbagliato – continua la Steta – tanto che oggi noi lo suggeriamo anche per quelle famiglie che non hanno genitori di nazionalità e linguaggi differenti. Introdurre, attraverso metodi e procedure corrette l’abitudine al suono e ad un modo diverso di espressione permette infatti nella fascia di età da zero a tre anni di abituare il bambino a lingue diverse come se fosse del tutto naturale”.

E’ come se interagendo in una seconda lingua, di fatto, si aprisse un file che mantiene memoria di quell’apprendimento precoce, agevolando un processo di studio più complesso e dettagliato: “Introdurre una lingua secondaria come gioco permette a livello inconscio di viverla e utilizzarla in modo positivo, serbandone un ricordo piacevole”. I metodi sono molti e tutti legati appunto al divertimento: “utilizziamo la playgroup – continua la referente – oppure dei mediatori iconici, come ad esempio dei pupazzi che parlano nella seconda lingua, oppure è possibile scegliere un determinato momento della giornata in cui si sceglie di parlare inglese, durante il pranzo ad esempio o prima della nanna. Un altro metodo simpatico è indossare un accessorio, un cappello ad esempio e chi lo indossa deve parlare in inglese. Non funziona affatto invece in bambini così piccoli l’utilizzo di dispositivi elettronici, tecnologici o anche la televisione che propongono un approccio passivo. L’apprendimento della lingua passa sempre dal dialogo e dall’interazione umana. I cartoni animati in inglese a questa età sono del tutto inutili, se non addirittura dannosi”.

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