Povertà educativa e Codiv19
di Ecomuseo Casilino
“Chi viene a trovarci oggi?”
“Nessuno”
“Andiamo all’asilo?”
“No”
“Andiamo al parco?”
“No”
“Andiamo da nonna?”
“No”.
Al termine di questa sequela di speranzose domande scatta, inarrestabile, il pianto di frustrazione, così iniziano le giornate in quarantena di una coppia di amici, chiusi in casa con i loro gemelli di tre anni e mezzo.
E’ una condizione diffusa e comune, poiché le bambine e i bambini d’Italia sono reclusi in casa da settimane, da fine febbraio nelle regioni del Nord, e dal 20 marzo al centro e al sud, a causa delle misure adottate per prevenire il contagio da Covid-19.
Le scuole, chiuse da prima, si sono immediatamente date da fare per garantire una continuità didattica alle classi. Recuperando in tempi record un gap enorme nei confronti della digitalizzazione, docenti di ogni ordine e grado hanno attivato chat, piattaforme, classi virtuali, svariati canali attraverso i quali tentano di raggiungere alunne e alunni all’interno dei domicili per portare il rassicurante comfort di divisioni a due cifre, analisi grammaticali, perifrasi e analisi del testo. Maestre delle scuole d’infanzia inviano nelle chat dei genitori video per i laboratori di manipolazione, audio di canzoncine, letture di albi illustrati per far arrivare alle bambine e ai bambini, attraverso le loro voci familiari, un po’ di stimoli e serenità.
Tutto questo incredibile sforzo si traduce in ore spese davanti ai dispositivi, diventati improvvisamente da agognati e abusati oggetti di intrattenimento, mezzi privilegiato per la diffusione della didattica. Una didattica d’emergenza, ovviamente, alla quale manca completamente l’elemento sociale e comunitario garantito dalla frequentazione della scuola. Una didattica che esaspera le differenze, amplificando le disuguaglianze sociali, perché non tutti sono in possesso degli strumenti idonei a recepirla al meglio: in primis dispositivi e connessioni. Per questo bisognerebbe promuovere, come sostiene Save the Children, la creazione di un fondo per le famiglie che possa essere utilizzato nell’immediato per rispondere a bisogni essenziali, come spesa, farmaci, prodotti per la prima infanzia, ma che includa anche i beni educativi, per evitare che i bambini tagliati fuori dall’utilizzo della rete, privi di pc, di cellulare e di connessione, restino di fatto “invisibili” al circuito educativo. Sebbene anche il possesso degli strumenti non è garanzia di efficacia per questa didattica, comunque penalizzante, soprattutto per bambine e bambini con bisogni speciali, o non madre lingua italiani.
Bisogna poi considerare il ruolo giocato tanto nella didattica a distanza, quanto più in generale nella quarantena, da altri due fattori: avere genitori in grado di sostenere la propria prole e case adeguate. È facile intuire quanto possa essere diversa una quarantena in un appartamento con spazio per tutti, magari terrazze e giardini, libri, giochi e genitori disponibili, da una quarantena in un appartamento piccolo e magari condiviso con altri, o in un campo, in una casa d’accoglienza, con genitori o altri adulti con pochissimi strumenti a disposizione. Lo slogan #iorestoacasa funziona molto bene, quando c’è una casa confortevole dove stare, ma se pensiamo a case i cui ci sono difficoltà economiche, disagi, violenze suona molto meno convincente.
Anche se poi, dopo li primi giorni, il restare chiusi in casa inizia a mostrare comunque i suoi limiti: come è possibile immaginare che i bambini possano stare reclusi in casa per settimane con uno schermo in mano? Eppure negli innumerevoli decreti che si sono succeduti nelle ultime settimane, mai una parola è stata spesa per l’infanzia. Sono state infatti promosse numerose iniziative finalizzate a porre sotto gli occhi del governo questa grave incongruenza: nei decreti hanno giustamente trovato spazio le esigenze degli animali domestici, che possono essere accompagnati per le passeggiate da un proprietario per volta, e non le categorie più fragili: bambine e bambini, disabili, anziani.
Educatori, cooperative e organizzazioni sociali, hanno diffuso petizioni per sollecitare l’individuazione di una soluzione, naturalmente nel rispetto della grave situazione che stiamo vivendo e in ottemperanza a tutte le misure cautelari previste in questo periodo (evitare assembramenti, mantenere le distanze di sicurezza, non frequentare parchi e giardini), ma che consenta almeno a un genitore per volta di poter accompagnare il proprio figlio a fare una passeggiata nelle vicinanza del domicilio, per arginare i rischi altissimi di una vita troppo sedentaria. In seguito alle tante richieste, il 31 marzo è stata emessa una circolare del Viminale che consente l’uscita, solo nei pressi del proprio domicilio, di un genitore con un figlio. Si è reso necessario richiedere e ottenere indicazioni chiare alle quali attenersi, per scongiurare il libero arbitrio e la personale interpretazione delle direttive precedenti, poiché avrebbero favorito la crescita del clima di sospetto già presente nel nostro Paese, un clima che raggiunge talvolta la violenza verbale, ancora più grave se subita in compagnia di minori già di per se stessi emotivamente provati. L’auspicio ora è che questa circolare venga interpretata alla lettera (si parla chiaramente solo della possibilità di fare una passeggiata, non di incontrare amici, giocare, andare a trovare qualcuno), e non dia il via libera a comportamenti irresponsabili che vanifichino gli enormi sacrifici compiuti finora.
La circolare rappresenta anche un primo segno di attenzione, tardivo e insufficiente, nei confronti delle famiglie e in particolare dei genitori, fino a questo momento lasciati soli a gestire l’emergenza con i propri bambini e con molteplici compiti da assolvere: svolgere il proprio lavoro, se si tratta di persone impiegate in attività considerate indispensabili (si pensi, per fare solo un esempio, a chi lavora in ospedale), improvvisarsi smart worker, se il lavoro da ufficio è stato rapidamente convertito in lavoro da remoto, o far fronte alla sospensione e possibile perdita del lavoro, se si tratta di attività legate al terziario (commercio, turismo, ristorazione) o precarie; educare i propri figli ad affrontare questo periodo inconsueto, senza poter fare affidamento su nessun tipo di esperienza, visto che non c’è mai stata una situazione analoga a questa; fare da tutor, perché la didattica a distanza necessita di un supporto notevole da parte dei genitori, o di altre persone adulte di riferimento; e fare anche da animatori culturali, perché non di soli compiti e intrattenimento virtuale potranno vivere queste bambine e questi bambini, costretti dalla quarantena al domicilio coatto.
E’ facile prevedere che la privazione degli abituali impegni (scuola, danza, piscina, musica, vedere gli amici, senza dimenticare terapie e sostegni socio educativi), avrà effetti molto importanti sull’equilibrio psichico di bambine e bambini, e ancora di più degli adolescenti: la mancanza di contatti sociali è uno dei fattori principali della depressione. La stessa Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, ha scritto al Presidente del Consiglio: “Penso ai minorenni con disabilità, a quelli che vivono fuori famiglia, in affido o in comunità. E a quelli che versano in condizioni di povertà economica ed educativa o di marginalità sociale, ai figli dei genitori detenuti, a quelli che hanno famiglie problematiche, ai figli di genitori separati e ai ragazzi inseriti nel circuito penale. Per tutti questi bambini e ragazzi non dobbiamo dimenticare che l’esigenza prioritaria di tutelare il diritto alla salute deve essere contemperata con il principio del superiore interesse del minore e con i diritti all’uguaglianza e alla non discriminazione. Per i bambini e i ragazzi segnati dall’epidemia, i cui genitori sono stati colpiti dal coronavirus, occorre definire tempestivamente interventi di protezione e tutela che favoriscano la continuità affettiva con i familiari più vicini e offrano un adeguato supporto materiale e psicologico».
È necessario iniziare a pensare a interventi da programmare per quando l’emergenza sarà terminata e il lockdown gradualmente sospeso, per consentire un recupero di una quotidianità accettabile, con tutta probabilità non quella a cui eravamo abituati prima della quarantena, in cui trovi spazio un’offerta culturale diffusa e fruibile liberamente. Sul manifesto del 29 marzo, Donatella Di Cesare riflette a proposito dell’epidemia psichica del coronavirus, immaginando l’erogazione di consulenze psichiatriche per ridurre la diffusione del trauma, come pure l’organizzazione di iniziative culturali di massa, ossia garantite a quanta più parte della popolazione possibile.
Questo è l’aspetto più interessante sul quale deve riflettere chi si occupa di contrastare la povertà educativa: pensare a come, non appena sarà possibile, recuperare il tanto, tantissimo tempo perso in termini di offerta educativa e culturale.
E’ infatti vero che la scuola si sta impegnando moltissimo per garantire una continuità a quest’anno didattico senza precedenti, ma è pur vero che lo sta facendo attraverso lezioni frontali, assegno di compiti con correzioni online e poco, pochissima interazione e naturalmente da questa nuova e improvvisata didattica rimane fuori, non solo tutto l’aspetto sociale, ma anche tutto quel corredo di stimoli culturali fatto di scambi, letture, uscite, visite ai musei, fruizione di spettacoli, laboratori, progetti collaterali che normalmente arricchiscono l’offerta formativa delle scuole.
Sono inoltre chiuse ludoteche, biblioteche, presidi territoriali di prossimità, aiuto compiti, sostegno linguistico e tutti quei servizi specifici che hanno da sempre svolto un ruolo prezioso a fianco alle scuole per sostenere le famiglie. Di questa privazione ne risentono tutti, ma a pagarne le maggiori conseguenze sono ancora una volta i minori in condizioni di fragilità sociale ed economica. Per chi si occupa di contrastare la povertà educativa, ipotizzare gli scenari dei futuri interventi rappresenta una nuova sfida. È difficile immaginare la realtà che si manifesterà nelle prossime settimane, è impossibile considerare tutte le variabili innescate dalle restrizioni nazionali e internazionali, ma è necessario compiere uno sforzo collettivo per pensare azioni in grado di ricucire le fratture e colmare le distanze create dall’emergenza sanitaria.
Serena Baldari
Progetto P.arch
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