Insegnare le materie scolastiche con i Lego? Si può. Ed è bellissimo
di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini
La testimonianza di Gene Papetti, docente dell’istituto comprensivo Principe di Piemonte affascinata dal laboratorio dell’Associazione Vela, partner di Panthakù insieme ad Ai.Bi.
Insegnare la storia o la narrativa con i Lego? Non solo si può, ma offre anche ottimi risultati. Lo sa bene Gene Papetti, insegnante di sostegno presso l’Istituto Principe di Piemonte di Santa Maria Capua Vetere (CE).
Dopo il primo anno di formazione, quest’anno ha assunto il ruolo di docente facilitatore per i nuovi docenti che seguono il laboratorio proposto dall’Associazione Vela, nell’ambito di “Panthakù. Educare dappertutto”, progetto selezionato dall’Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo contro la povertà educativa minorile.
“I ragazzi sono entusiasti – ammette – e lo sono anche io, altrimenti non avrei continuato. Credo che questa metodologia sia molto efficace perché aiuta a tenere viva l’attenzione dei ragazzi che, non distraendosi, sono più propensi ad ascoltare. Inoltre ritengo che offrire una rappresentazione visiva di un evento sia molto utile anche per metterli nelle condizioni di ricordare meglio quello di cui stiamo parlando”.
All’inizio, com’era prevedibile, c’era un certo scetticismo, “anche da parte degli alunni che non riuscivano a credere che un gioco potesse trasformarsi in un’occasione di apprendimento”. Invece, testando sul campo le tecniche degli esperti di Vela, hanno capito che il detto “giocando s’impara” è quanto mai reale.
“La metodologia Lego funziona soprattutto per le materie letterarie – continua la professoressa – e consente a noi insegnanti di esprimere la nostra personalità. I ragazzi invece sono invogliati a fare gruppo e a sfidarsi nel solco di una sana competizione”.
LEGO® Serious Play® è una metodologia finalizzata a sviluppare il pensiero, la comunicazione e la risoluzione di problemi complessi di gestione aziendale attraverso l’impiego del gioco di costruzioni. Sono tre i componenti principali del processo: la sfida (in base agli obiettivi, il facilitatore mette in campo una serie di sfide per consentire ai partecipanti di aprirsi al dialogo); le costruzioni (i partecipanti costruiscono risposte alle sfide attraverso dei modellini che riescano a dare un senso alle metafora, seguendo il motto “pensa con le tue mani”); lo sharing (i partecipanti sono chiamati a condividere le loro storie).
Durante il workshop si impara a pensare in modo semplice e veloce, a risolvere i problemi sfruttando le potenzialità del gruppo, a sviluppare il pensiero strategico, a raccontare quello che si crea, a sviluppare la creatività. Il metodo si avvale della connessione “oculo-motoria” che permette di creare modellini tangibili di idee strategiche che risiedono nella nostra mente. L’idea alla base del concetto “pensa con il tuo corpo” prende infatti spunto dalle neuroscienze e dalla psicologia.
“Non conoscevo questa metodologia – precisa Gene Papetti – e ne sono rimasta sinceramente colpita. La ritengo utilissima sia per i ragazzi normodotati che per i diversamente abili. E poi è giusto adattare la didattica ai linguaggi del contemporaneo, anche per avvicinarci ai giovani”.
Del resto, come sosteneva Michel de Montaigne, i giochi dei bambini non sono giochi e bisogna considerarli come le loro azioni più serie.
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