Crescere bene, insieme ai nostri figli!
di Comunicazione NEST
È indubbio che le prime relazioni affettive siano fondamentali per una sana crescita del bambino sia su un piano emotivo sia sociale, per cui cure materne inadeguate esercitano un’influenza sfavorevole sullo sviluppo della personalità del minore. La crescita fisica, psicologica e relazionale di un bambino avviene attraverso fasi specifiche, ognuna con caratteristiche proprie, determinata da differenti bisogni: alcuni genitori rispondono adeguatamente ai segnali del figlio, altri, invece, non riescono a comprendere le necessità che il bambino può avere in quella particolare fase evolutiva.
Si parla tanto di trascuratezza, maltrattamento ed ipercura. Sono stati scritti centinaia di articoli accademici sul tema, articoli che sottolineano i danni enormi che determinati atteggiamenti possono provocare sui minori. È fondamentale che un operatore che lavora in un servizio come Nest conosca alla perfezione il tema e sviluppi gli strumenti per imparare a riconoscere i segni che un bambino “abusato” porta con sé, così come è importante che affini la conoscenza delle procedure da seguire qualora ci sia un sospetto. I casi più gravi, paradossalmente, sono anche i più “semplici” da gestire dal momento che ci sono procedure ben precise da seguire, che, come è fondamentale che sia, lasciano poco spazio al dubbio ed alla libera interpretazione.
Dalla nostra esperienza, ciò che è più difficile è intervenire nelle situazioni meno chiare, laddove si è spettatori di un “dialogo” genitore-bambino fatto di velate minacce, mancati riconoscimenti, incapacità di gestione, rabbia: “Non andare di là che c’è il mostro”, “se fai il cattivo ti faccio la siringa”, “smettila che ti picchio”, sono tutte frasi che tante volte capita di ascoltare nei corridori delle scuole, nello studio del pediatra, per strada. Così come, ci sono genitori che, poco consapevoli dei bisogni di crescita dei bambini, si comportano sempre come se avessero in casa un neonato: “mia figlia mangia ancora gli omogeneizzati”, “il pannolino non si leva prima dei quattro anni”, “lascialo stare che è piccolo”. Trascuratezza ed ipercura sono considerate due forme opposte, ma altrettanto gravi e pericolose, di abuso ai danni di un minore: prendersi cura troppo e prendersi cura troppo poco sono, allo stesso modo, modalità per non prendersi cura affatto del bambino, non riconoscendone le necessità, anteponendo spesso le proprie.
Essere genitore, lo diciamo spesso nei gruppi di parola, non è affatto semplice, significa saper resistere ai capricci, agli improvvisi cambiamenti di umore, significa confrontarsi con un bambino che cresce e che ha nuove richieste, nuovi bisogni ogni giorno e, nel contempo, gestire le proprie emozioni: frustrazione, ansia, preoccupazione. Affrontare le sfide che la crescita di un bambino pone diventa senz’altro più complesso quando il genitore ha meno informazioni e conoscenze che gli permettano di comprendere l’evoluzione del bambino. Ma anche genitori preparati ed eruditi possono sentirsi inappropriati poiché ingabbiati in regole e teorie che poco si adattano alla concretezza della realtà, perdendo ogni forma di spontaneità.
Spiegare ad un genitore perché rivolgersi al bambino in malo modo o dare uno schiaffo in risposta a un capriccio sono reazioni sproporzionate ed inadeguate, nei fatti atti di violenza, non è facile dal momento che tali atteggiamenti sono socialmente accettati, considerati normali. Così come è forse anche più difficile spiegare perché non bisogna eccedere con le attenzioni e le cure verso un bambino che pian piano tende sempre più all’autonomia e ha bisogno dei suoi spazi.
Lavorando sulla gestione dei “tempi”, in quasi due anni di lavoro nell’Hub di Nest di Napoli, abbiamo imparato che con molti genitori è importante lavorare come con i bambini, e non perché gli adulti non hanno le competenze per comprendere ma, “semplicemente”, perché determinati messaggi diventano più efficaci se comunicati “all’occorrenza”, nel momento in cui determinati episodi si verificano. Siamo riusciti a costruire con tutti i genitori un rapporto di fiducia e rispetto, un rapporto che, nella maggior parte dei casi, non rischia di essere minato se l’operatore interviene quando ne ravvede la necessità. Oltre che parlarne con maggiore agio nei gruppi di parola, infatti, se ci capita di osservare un genitore che si rivolge in malo modo al figlio, sentiamo di poter intervenire a difesa del bambino, aprendo anche sempre la possibilità di un confronto più approfondito con l’adulto. All’opposto, se notiamo, per esempio, che un bambino, assolutamente in grado di camminare da solo, è sempre in braccio o nel passeggino perché magari la mamma è preoccupata che lasciandolo da solo il piccolo si possa far male, incoraggiamo quel genitore a fidarsi delle capacità di suo figlio, lo incoraggiamo perché trasmetta al piccolo la consapevolezza delle sue abilità, lo rassicuriamo sul fatto che una eventuale caduta non solo non è grave per il piccolo, ma non lo è neppure per il genitore. Un bambino che cade e piange è “solo” un bambino che ha bisogno che qualcuno lo aiuti a rialzarsi senza sovrapporsi a lui; ha bisogno di qualcuno che comprenda ed accolga il suo “dolore” e che, allo stesso tempo, lo rassicuri sul fatto che è stato bravo lo stesso, che quella caduta non è un fallimento ma solo la testimonianza che ci sta provando da solo.
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