La STORIA DI HM racconta da Eleonora Esposito dell’Università di Siena

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Lui, HM, è un ragazzino di terza, straniero, con zero voglia di andare a scuola. Quando abbiamo iniziato i nostri incontri lui era già l’unico partecipante, quindi fin da subito avevamo avuto modo di istaurare un rapporto uno ad uno. Durante i primi collegamenti sono emersi i problemi: non comunicava con me, le uniche cose che gli sentivo dire erano: ok prof, si prof, va bene prof. Non riuscivo a comprendere se mi stesse seguendo o meno, se gli esercizi che facevamo insieme li stesse capendo o solo ricopiando, sono onesta, a tratti non capivo neanche se mi stesse prendendo in giro oppure no (purtroppo lavorare con gli adolescenti vuol dire mettere in conto e considerare anche questo). A ciò si aggiungeva la sua totale incostanza nella partecipazione, quando era il suo giorno e mi collegavo non sapevo mai se ci sarebbe stato o se mi avrebbe dato buca.

Non ce la potevo fare, no, mi dicevo, con lui non arriviamo da nessuna parte; rassegnati e getta la spugna. Ho provato ancora un paio di volte, la situazione non è cambiata. A malincuore ho deciso di avvertire la PM di Oxfam italia e la docente referente  comunicandogli che non lo avrei potuto più seguire, preferivo a quel punto concentrare il mio lavoro con chi invece stava dimostrando interesse. Ricevuto il consenso a non seguirlo più gliel’ho comunicato. E lì per me il primo battito emotivo: la sua reazione. Alla mia comunicazione che non ci saremmo più rivisti e che qualcun altro lo avrebbe aiutato, lui, il ragazzino incostante, semi muto, frettoloso e a tratti sbeffeggiante, mi scrive: “no Prof, io voglio lavorare con lei, solo con lei”. La mia reazione fu un turbinio in sequenza di emozioni contrastanti: ero incredula, interdetta ed anche un po’ arrabbiata, si arrabbiata perché mi sentivo nuovamente presa in giro, mi dicevo: “ma come?! Prima non partecipa e poi vuoi lavorare con me? Mah!”

Abbiamo deciso di dargli un’altra possibilità, un ultimatum, la così detta ultima spiaggia: doveva essere costante, non poteva mai mancare e doveva essere partecipativo. Quando gliel’ho comunicato ha accettato, e da lì siamo ripartiti, insieme. Incontro dopo incontro ho imparato a conoscerlo, l’ho spronato a parlare e piano piano lui ha iniziato ad aprirsi, mi ha parlato di sé, dei suoi sogni, delle sue incertezze, mi ha chiaramente detto che la scuola non gli piace, ma, nonostante ciò si stava impegnando, stava cercando di dimostrarmi che ce la voleva fare, nei suoi limiti, a superare l’anno scolastico. E poi un giorno, durante un incontro, mentre stiamo studiando una poesia, ad una mia battuta inizia a ridere, ride e mi chiede di approfondire l’argomento di studio: sono esplosa di gioia e soddisfazione. Avevo guadagnato la sua fiducia. Adesso, non stava più lavorando per me o perché obbligato, stava lavorando per sé stesso. Una piccola, grande vittoria!

 

Questo è il bello del lavoro che ti ripaga di tutto l’impegno e la tenacia che metti in ciò che fai: un ragazzino dato per perso che inizia a fidarsi di te. Chi lavora con i ragazzi, soprattutto con gli adolescenti, chi decide di insegnare e di essere una guida, un supporto, non dovrebbe auspicare mai niente di meno. Perché come diceva Confucio: “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”

 

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