S.O.S. Madri migranti
A Roma MamHabitat offre assistenza a donne straniere (e italiane) sole con figli. Aiutandole a trovare lavoro e nel percorso di crescita dei bambini. Fino a raggiungere la completa autonomia.
The Post International – 17 Novembre 2022
Amina (nome di fantasia) è arrivata in Italia molti anni fa. Non diremo da dove perché il rischio che possa essere individuata è molto alto. Vive a Roma con i suoi bambini. Un anno e mezzo fa ha trovato il coraggio di allontanare il suo compagno dalla casa in cui abitava con i figli, stanca della sofferenza e delle violenze subite. Lo ha fatto lentamente. Era terrorizzata dall’idea che qualcuno potesse portarle via i piccoli. Ma è stato proprio grazie a loro se ha trovato il coraggio di affidarsi alla rete di volontari del progetto MamHabitat, attivato dalla cooperativa sociale La Nuova Arca di Roma, i quali già da tempo le stavano tendendo la mano per tirarla fuori da quel circolo vizioso. Per sei mesi ha accettato di prendere solo il pacco alimentare che le offrivano. Non una parola sul suo vissuto. Poi, con l’arrivo dell’estate ha deciso di portare i bambini al centro estivo della cooperativa e solo dopo aver visto quanta cura era stata riservata ai suoi figli, è riuscita a fare un passo in più. Amina era senza documenti. Non aveva i mezzi per aggirare gli ostacoli burocratici. Aveva e ha ancora bisogno di aiuto. A oggi, infatti, l’ex compagno rifiuta ancora di firmare quelli per i figli, privandoli di una serie di agevolazioni ai quali i bambini nati Italia, seppur da genitori stranieri, hanno diritto, come l’accesso gratuito alla mensa scolastica o le cure mediche dal pediatra. Grazie all’equipe de La Nuova Arca, Amina ha potuto rivolgersi a un’avvocata che la segue nella sua battaglia contro l’uomo che per anni l’ha costretta a vivere nell’ombra. Ma quella di Amina è solo una delle esperienze di vita con le quali l’equipe del progetto MamHabitat ha dovuto confrontarsi negli ultimi anni. Il 90 per cento delle donne che chiedono loro aiuto sono straniere. Nella maggior parte dei casi escono da un contesto violento e hanno bisogno di protezione per sé stesse e per i loro figli. Il tratto dominante è quello della povertà economica. Juana (nome di fantasia) è arrivata da poco a La Nuova Arca dal Perù. È giovane e ha tre figli da accudire. Uno di loro ha una grave malattia e ha bisogno di cure. Grazie a Mamhabitat è riuscita ad accedere alle cure necessario per il figlio. Lei ha il sogno di diventare Oss per migliorare la propria condizione: grazie al progetto potrà finalmente pagare un corso di formazione e realizzarlo.
Il progetto
Il progetto MamHabitat nasce da una rete di servizi, Mum&Co., che si occupa, in particolare, di accompagnamento e accoglienza di donne sole con bambini, e che include molte realtà di case-famiglia e volontariato, che già prima si focalizzavano intorno al tema del sostegno ai nuclei mamma-bambino. È stato finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini, che l’ha selezionato a seguito del bando “Un passo avanti”», spiega Antonio Finazzi Agrò, presidente de La Nuova Arca. L’impegno principale di MamHabitat è stato quello di accompagnare le mamme sole in difficoltà dopo aver completato il percorso in casa-famiglia o comunità. Solo a Roma, sono oltre trecento i nuclei mamma-bambino che ogni anno vengono accolti in percorsi simili. Dal 2020, ottanta mamme e circa 150 minori sono stati accolti all’interno del progetto, che si concluderà a marzo 2023. «Potrebbe esserci l’idea di portare avanti alcuni dei servizi offerti, ma di MamHabitat è importante ciò che viene lasciato in termini di media o lunga durata», spiega il presidente. Come l’attivazione delle reti di volontari, che rimarranno a disposizione anche dopo il periodo previsto dal bando. «Una cosa che non riusciremmo a sostenere dopo il mese di marzo sono gli appartamenti in affitto, all’interno dei quali, attraverso il servizio di co-housing, sono stati accolti circa 25 nuclei», afferma Finazzi Agrò. Ma ciò che rende unico il progetto è l’istituzione del Fondo di Garanzia MamHabitat che consente di accedere al Microcredito. Si tratta del primo fondo dedicato in esclusiva alle mamme sole, realizzato dalle organizzazioni promotrici del progetto omonimo, in collaborazione con l’Ente Nazionale per il Microcredito e con BCC di Roma. «Le nostre beneficiarie non sono tecnicamente bancabili, perché non hanno garanzie personali, spesso non hanno una residenza. Non avere credito, in termini etimologici significa che nessuno crede in loro, nelle loro capacità generative», spiega Finazzi Agrò, ricordando poi le difficoltà incontrate prima di riuscire a trovare i partner giusti e, soprattutto, l’istituto bancario che accettasse di attivare questi prestiti. Una volta fatta richiesta per il prestito – che varia dai tre ai cinquemila euro –, le beneficiarie usufruiscono di diverse agevolazioni. La prima è il tasso all’1,5 per cento; la seconda, la rateizzazione fino a 72 mesi. Inoltre, per evitare che la banca attivi una segnalazione qualora i soldi non dovessero essere restituiti per tempo, l’istituto può attingere al Fondo di garanzia. Prima, però, c’è un periodo di pre-ammortamento della durata di sei mesi, che si può estendere per ulteriori sei mesi, prima di iniziare a pagare. Quello di MamHabitat è un microcredito di tipo sociale e non imprenditoriale: «Abbiamo voluto impostarlo come un investimento in quello che noi chiamiamo “capitale umano”. Possono spenderlo per pagarsi la patente, prendere una macchina per andare al lavoro oppure pagare corsi di formazione professionale», dice il presidente.
Conquistare la vita
Ma la rete di MamHabitat non si prende cura solo delle mamme straniere. Violenza, solitudine, difficoltà genitoriali insieme alla povertà economica sono frequenti anche nei nuclei mamma-bambino italiani. È il caso di Serena, romana, con due figli di 13 e 9 anni. Serena lavora come cuoca ne La Nuova Arca, ma usufruisce dei benefici che il progetto MamHabitat offre ai bambini: aiuto compiti, laboratori creativi. E, nel frattempo, grazie al Microcredito può pagare un corso di perfezionamento in pasticceria. Ma facciamo un passo indietro. Le difficoltà di Serena iniziano nel 2008, quando incontra un ragazzo del Senegal: «Credevo potesse essere un complice di vita. Ma sono rimasta incinta prima di poter capire chi avessi davanti». Quando Serena apprende la notizia della gravidanza, decide subito di portarla avanti: «Una scelta che oggi rifarei altre cento milioni di volte», racconta. Ma dopo appena un mese dalla nascita del bambino, si rende conto di dover fare un’altra scelta molto importante: restare con quell’uomo o proseguire da sola. «Ho cominciato ad avere i primi segnali di allarme, ma ho continuato a illudermi che avremmo vissuto felici e contenti», continua Serena. Quel finale da favola non c’è stato. Il suo ex beveva, era assente e partiva per il suo paese per mesi. «Ho più volte tentato di costruire un rapporto con lui per amore di nostro figlio. Volevo dargli una possibilità e proprio in quel periodo arriva la notizia della seconda gravidanza», racconta Serena. Ad aprirle gli occhi è stata la figlia più piccola: «Un giorno, tornata dal lavoro, per un mio rifiuto di avvicinamento intimo mi diede uno schiaffo. Avevo la piccola in braccio, aveva un anno e mezzo. Fu lei a dirmi: “mamma, basta”. L’ho ascoltata, chiamato i carabinieri e chiesto aiuto. La denuncia non mi ha portata a nulla, ma per fortuna si è avviata la macchina dell’assistenza sociale», prosegue Serena, la quale da allora ha iniziato un percorso su sé stessa per tornare a riconoscersi come donna, prima che come madre. A distanza di anni Serena è finalmente felice e sogna di aprire un home restaurant. Vive in una piccola casa in mezzo al verde dove sta organizzando il lavoro per mettersi in proprio e portare avanti la sua passione direttamente da casa sua, accanto ai suoi figli.