Le interviste di #LiberailFuturo alla società civile: parliamo con Erica Battaglia
di Arciragazzi Roma
Continuano le interviste sociali per il progetto #LiberailFuturo condotte da Stefano Bernardini, responsabile della comunicazione del progetto.
Abbiamo l’onore di discutere oggi di tempi importantissimi quali la povertà educativa, a dispersione scolastica, la necessità di creare una comunità educante e quale futuro attende i ragazzi di oggi con l’attivista civile e politica Erica Battaglia.
Clicca qui e scopri l’intervista video.
Chi è Erica Battaglia
Erica Battaglia, 43 anni, attivista civile e politica. E’ stata consigliera comunale di Roma, presidente della commissione politiche sociali; esperta di welfare e di terzo settore. Oggi è un quadro dirigente presso un’organizzazione di volontariato nazionale. Vive nel Municipio Roma VII, che va da San Giovanni fino alle periferie oltre il Grande Raccordo Anulare, a ridosso dei Castelli Romani.
L’intervista
Stefano Bernardini: “Senti Erika, parliamo di questo, l’emergenza sanitaria in atto, secondo te ha solo ribadito quanto siano ampie le differenze in termini di accesso ai servizi come rete internet, disponibilità di device per i ragazzi e gli studenti o ha provocato un ulteriore accelerazione verso il già grave problema della dispersione scolastica e della povertà educativa? E soprattutto in questo, in tutto questo la diversa estrazione sociale dei giovani quanto influisce?”
Erica Battaglia: “Mentre facevi la domanda ci stavo proprio pensando perché una cosa non esclude l’altra, il COVID-19 ha esasperato entrambe le situazioni che tu delineavi. Quindi da una parte la pandemia ha ribadito e ampliato le differenze in termini di accesso ai servizi per ragazzi e per gli studenti che probabilmente c’erano anche prima, magari prima non erano un bene essenziale quindi nessuno se n’era reso conto. Non erano così evidenti. Oggi lo dicono anche i dati, esiste una differenza molto più evidente tra chi ha accesso ad alcuni servizi e chi invece ha avuto difficoltà anche nell’esperienza della didattica a distanza, vuoi per l’assenza di computer sufficienti dentro una casa, vuoi per luoghi domestici non consoni ad un’educazione a distanza e anche per una conoscenza dei sistemi informatici, perché poi uno dice la didattica a distanza, non è che tutti i genitori e tutti i bambini sanno come si adopera un computer o un programma per la didattica a distanza. Dall’altro lato io credo che il Covid abbia anche accelerato il problema della dispersione scolastica e quindi della povertà educativa, che era un fenomeno che in Italia è sempre esistito. Nel tempo sale o scende la curva del dato, però io credo che la didattica a distanza abbia un po’ allontanato chi già si sentiva ai margini dell’istituzione scolastica, dei percorsi di apprendimento. In questo senso io lascio anche a voi una suggestione, perché documentandomi un pochino, ho preso spunto dall’indagine Demopolis di marzo 2021 in cui, intervistando un’ampia fascia di genitori con bambini dai 5 ai 17 anni, questi genitori chiedono un’estate ad alta intensità educativa, per la prima volta, forse con un po’ più di forza e vigore perché c’è sempre stato un gruppo di genitori che chiedevano alle scuole di restare attive anche l’estate. Una presenza della scuola onde evitare una dispersione in generale dei ragazzi. C’è, diciamo un 70% dei genitori intervistati che vorrebbe che le scuole restassero attive anche l’estate. Guardate anche il ritardo che i più “bravi” hanno accumulato in questo periodo di covid, perché la didattica a distanza è stata faticosa anche per i più bravi della classe, richiede forse anche forme nuove di stare insieme o di prolungare il tempo di apprendimento. Quindi chiediamo, laddove possibile, laddove l’idea fosse ritenuta ragionevole un’estate ad alta intensità di apprendimento, cioè teneteci le scuole aperte anche a giugno, a luglio, magari non con un’attività nelle aule, ma con un’attività al di fuori della scuola, con dei laboratori. Riprendiamo non solo l’aspetto educativo che è venuto un po’ a mancare con la didattica a distanza, ma riprendiamo anche tutto quell’aspetto di socializzazione e di riacquisizione della fiducia in sé che la scuola dà in quanto istituzione. E questa secondo me, è una buona idea, fatta magari anche in collaborazione con il terzo settore, con tutta quella comunità educante che di volta in volta citiamo, ma non sappiamo bene come si concretizza. C’è sempre questo mito della comunità educante, tutti noi possiamo essere comunità educante. Ci vorrebbe però un ente locale che prende la regia di queste azioni e decide che questa cosa si fà. Tanto per dare per dare dei numeri, anche la didattica a distanza è stata promossa da un gran numero di genitori. In quest’indagine, però c’è una preoccupazione sempre più crescente e questo non è che lo dico io, lo leggo nei dati e me ne faccio carico. Altrimenti non servirebbero a niente. C’è una preoccupazione crescente per la situazione emotiva dei ragazzi, noi questo dato forse essendo adulti lo abbiamo un po’ sottovalutato, no? Comunque fare la didattica a distanza, comunque siete impegnati, in realtà c’è un aspetto anche di rrande solitudine e grande irritabilità. Perché poi si sta 5, 6, 7 ore davanti a un computer che spinge tanti ragazzi ad allontanarsi più che ad avvicinarsi all’istituzione scolastica e ad allontanarsi anche dai propri compagni e da tutte quelle compagnie che poi la scuola garantisce anche con l’attività sportiva. E questo è un altro danno che i ragazzi hanno subito in questi 13 mesi di pandemia “.
Stefano Bernardini: “Ti volevo interrompere un attimo perché c’è proprio una domanda che volevo farti rispetto all’impatto emotivo del lockdown e della didattica a distanza. Ti volevo domandare: ci sono esperti di neuroscienze che indicano come assolutamente essenziale per chi lavora nelle scuole, per le famiglie valutare e analizzare questo impatto psicologico causato dalla pandemia sui bambini e sugli adolescenti. Ma secondo te qual è stato, qual è oggi e quale sarà l’impatto emotivo sui bambini, sui ragazzi in questa situazione, e con questa didattica a distanza? Hai dei dati che ci possono far capire meglio questo momento?”
Erica Battaglia: “Secondo me l’impatto emotivo c’è perché c’è impatto emotivo ogni volta che si cambiano le proprie abitudini. È chiaro che andare a scuola per tanti bambini è una routine, ci si alza allo stesso orario, si prepara la colazione, magari ci si dà appuntamento con i propri compagni per raggiungere l’edificio scolastico insieme. C’è una tabella, oggi c’è matematica, c’è geografia. Ci sono gli appuntamenti con le interrogazioni, con i voti, c’è una routine che responsabilizza anche i bambini, sia che vadano alle elementari, alle medie, alle superiori, c’è comunque un impegno. Questo impegno con la DAD è stato in qualche modo rivoluzionato. Non che non ci sia l’impegno scolastico, ma è chiaro che la routine è cambiata e quando cambiano le routine, diciamo che c’è una rivoluzione emotiva dentro di noi. Questo vale anche per noi adulti, quindi figuriamoci per i bambini che nella scuola costruiscono amicizie, relazioni, non è solo la scuola come istituzione severa, ma è anche il luogo in cui loro si divertono e stanno tra di loro. Secondo me un impatto emotivo c’è e fanno bene, soprattutto le associazioni di rappresentanza, a chiedere degli studi dedicati a questo aspetto perché oggi c’è un dato ma nel futuro ce ne sarà un altro, perché tutto questo avrà un effetto anche a lungo termine. Quando tu mi chiedi dei dati io faccio riferimento alla denuncia che ha fatto Stefano Vicari, il responsabile di neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù di Roma, notizia di pochi giorni fa, che dice: “attenzione, perché presso il mio istituto aumentano le persone, quindi i ragazzi, che vengono a chiedere aiuto per stati d’ansia sempre più frequenti, crisi di panico, irritabilità, disturbi del sonno. Stefano Vicari è una persona che di prima mano tratta queste cose, si rende conto di un aumento dell’utenza che è un’utenza nuova. Dopodiché ci sono anche altre indagini, c’è un’indagine doxa del Telefono Azzurro che ci riporta anche le preoccupazioni espresse dai genitori, quello che i genitori vedono dentro casa rispetto ai propri figli e anche qui tornano prepotenti con un 35% tanti genitori preoccupati per stati emotivi in qualche modo nuovi per le famiglie, anche qui tornano le ansie, anche qui tornano i disturbi del sonno, anche qui tornano le irritabilità. Dopodiché il Telefono Azzurro ci fa riflettere anche sull’aumento dei casi di violenza domestica che non hanno riguardato solo ed esclusivamente le donne, ma anche i minori presenti in alcune tipologie di famiglia, quindi anche dover stare per forza nella stessa casa, in alcune situazioni familiari, è stato più complicato che per altre situazioni. Poi gli stessi dati vengono confermati dall’istituto di ricovero e cura Gaslini in cui ci dicono: “attenzione perché il 65% dei minori di sei anni ha subito questo stress emotivo e il 71% di tutti i ragazzi con un’età superiore ai sei anni”. È chiaro che poi ognuno fa la sua indagine, però in generale c’è un dato comune che ci dice “attenzione perché sono aumentati i disturbi del sonno, ansia, irritabilità” e a volte anche situazioni limite come la violenza domestica. Tornando a prima, quando tu mi dicevi delle disuguaglianze volevo solo riportarvi il dato dei ragazzi con disabilità, perché a maggior ragione c’è stata un’esclusione nell’esclusione, se le disuguaglianze in termini di didattica ci sono state e sono risultate più evidenti che nel passato, immaginate quanti ragazzi con disabilità che hanno proprio nella scuola il luogo di socializzazione per eccellenza, si sono trovati invece esclusi dalla didattica a distanza proprio per difficoltà legate alla patologia di cui sono portatori o alla difficoltà di seguire da soli o con l’assistenza dei propri genitori un insegnamento fatto tramite lo schermo di un computer. Anche qui dei dati ci sono, vanno presi naturalmente con le pinze. l’Istat parla di un 8% che è stato totalmente escluso dalla DAD tra i bambini normodotati, percentuale che sale al 23% per i ragazzi con disabilità. Quindi dovremmo riflettere anche sulla tipologia di ausili che vengono forniti, alle famiglie con figlioli con disabilità. Sono dati su cui dobbiamo immaginare le politiche del futuro e anche un approccio nuovo all’educazione e alla scuola, all’insegnamento”.
Stefano Bernardini: “Sono dati importanti in effetti quelli che stai dando, devono far riflettere. Mi allaccio a questo che stai dicendo per farti un’altra domanda: la didattica a distanza spinge un po’ la comunità educante, anche chi ricopre delle responsabilità professionali nell’ambito del lavoro, della formazione che ha il compito sociale e formativo del fare scuola non a scuola e quindi comunità. Secondo te quali sono state e quali sono le difficoltà del mantenere viva una comunità classe, la comunità scuola? Il senso di appartenenza contro il rischio di isolamento e di demotivazione e, soprattutto, con quali metodologie, mezzi, strumenti, a questa mitica comunità educante, potrà riconsegnare ai ragazzi l’opportunità di costruirsi il proprio futuro?”
Erica Battaglia: “Guarda, secondo me tante difficoltà non sono ascrivibili ad una categoria in particolare, quindi non è colpa di nessuno, non è colpa degli studenti, non è colpa delle famiglie, non è colpa degli insegnanti. In realtà sono 13 mesi che ognuno di noi, a prescindere dal ruolo che svolge nella società, dal lavoro che fa, è assoggettato a delle regole. Regole a volte altalenanti, una volta siamo regione rossa, una volta siamo regione arancione. La nostra esistenza in questi mesi è stata legata all’andamento del virus, della pandemia. Abbiamo cambiato 2000 volte le nostre abitudini e ogni volta che tentavamo di organizzare qualche cosa il giorno dopo magari arrivava la zona rossa e dovevi ricostruire tutto per poi rimontare in un secondo momento quando si passava alla zona arancione. Quindi al di là della buona volontà che obiettivamente ci hanno messo tutti, è chiaro che il covid, la pandemia ha portato in ognuno di noi un senso generale di smarrimento e quindi, anche secondo me, un po’ di perdita di speranza nella riorganizzazione delle cose. Noi tutti abbiamo pensato: vabbè, magari domani si ricomincia, tra due mesi è finita, fra un mese è finita, invece adesso sono arrivate anche le varianti. È tutto un punto interrogativo che rende difficile l’organizzazione della “normalità” di prima. Siamo difronte, obiettivamente, ad una rivoluzione anche delle nostre abitudini e bisogna coltivare la cosiddetta “resilienza”, un’altra parola magica che ci siamo detti magari mille volte e in 1000 occasioni, ma questa è l’unica occasione giusta perché obiettivamente siamo tutti di fronte a qualcosa che ha stravolto la nostra vita e il nostro usuale modo di stare al mondo. La resilienza vuol dire immaginare un altro tipo di scuola, almeno fintanto che dura quest’emergenza e magari fare anche tesoro di alcune esperienze positive che questo periodo può portare in termini di cambiamento. Penso per esempio ai piccoli gruppi, ci sono dei comuni in Italia che hanno fatto più che la classe da 20 studenti, hanno spacchettato il gruppo in diversi sottogruppi e hanno così promosso comunque un insegnamento in presenza, magari con dei calendari diversificati, per permettere a tutti almeno alcuni giorni in presenza. Altre scuole hanno immaginato di fare le attività didattiche all’aperto utilizzando i parchi, i luoghi abbandonati della città, Immaginando una didattica sostanzialmente fuori dai luoghi canonici della scuola, così come l’abbiamo fatta noi. Immaginare anche delle attività diverse, perché è chiaro che il gruppo va ricostruito, no? Immaginiamo un bambino di prima elementare che magari ha fatto il primo anno in DAD, il gruppo classe non esiste, chi ha fatto la prima media, cioè chi è all’inizio di un ciclo scolastico. Quindi, forse, immaginare e realizzare, come richiesto dai genitori, di allungare il periodo scolastico per un’estate didatticamente vivace; immaginare anche dei laboratori dove ricostruire un senso comune di appartenenza. Una volta questo lo faceva lo sport, quindi quando si facevano i tornei scolastici, una scuola contro un’altra, quello creava gruppo. Allora immaginare anche dei laboratori in cui, a prescindere dalla didattica, si possa ricostruire una socialità. E poi il coinvolgimento vero di una comunità educante, che non sono solo questi poveri insegnanti, fatemelo dire, io non è che voglio difendere la categoria, però è stato complicato anche per gli insegnanti reinventarsi come educatori in primis e poi come insegnanti. Rimettere in piedi una comunità educante vuol dire coinvolgere anche le famiglie che devono essere protagoniste del percorso educativo dei propri figli. Immagino un coinvolgimento anche del terzo settore dell’associazionismo, del volontariato, che possono comunque contribuire, con i loro insegnamenti, a dare qualcosa in più; però ci vuole un’azione vera e concreta dell’ente locale che tenga in piedi una regia degli interventi. Perché il cuore della comunità educante è l’ente locale al di là della buona volontà che possono metterci i diversi soggetti. Penso dunque che costruire comunità educanti territoriali, anche a livello di quartiere, magari facendo venire un nonno a spiegare com’è stata la sua gioventù, a spiegare un suo mestiere, anche quella è comunità educante. Io ricordo quando ho fatto le elementari, negli anni ‘80, avevo un maestro particolare che faceva la comunità educante senza che questa comunità educante esistesse sulla carta. Io ricordo, per esempio, che il sabato veniva a scuola il nonno di un nostro compagno, che in diverse occasioni era un collezionista di oggetti, comprava roba ai mercatini di antiquariato e ci portava vecchi oggetti appartenuti a secoli passati e ci spiegava l’utilità di questi oggetti. Anche quello è stato, e lo dico seriamente, fondamentale per la mia formazione, sono cose che dentro casa non facevo e quindi ho appreso qualcosa in più”.
Stefano Bernardini: “Bene allora, su questo siamo in linea perché il progetto #Liberailfuturo ha previsto e prevede diverse azioni laboratoriali, anche proprio d’incontro con materie che non sono scolastiche, no? Per cui abbiamo lavorato anche sul design del riciclo, abbiamo lavorato moltissimo sui laboratori di musica, di video. Ancora un’ultima domanda Erica. Come evidenziato anche proprio da “Con i bambini”, che finanzia questi progetti, tra cui il progetto #Liberailfuturo; la povertà educativa è strettamente legata alla povertà economica e impedisce spesso, sia ai bambini, che ai ragazzi di avere accesso alle opportunità che potrebbero garantire una crescita sana. Parliamo di istruzione, accesso a internet, percorsi formativi, servizi per l’infanzia, alle biblioteche e lo sport, luoghi di aggregazione, la musica, l’arte. Quindi, a causa di questa povertà educativa|povertà economica, spesso il potenziale dei ragazzi rischia di rimanere un po’ schiacciato ai margini. Allora la domanda è: secondo te quali sono le azioni che vanno poste in atto per contrastare questo fenomeno? Ne parlavamo anche con Luisa Mattia, scrittrice di narrativa per ragazzi e parlavamo proprio di questo ascensore che non scende, nè sale. Cosa ne pensi Erica?“
Erica Battaglia: “Allora guarda io sono d’accordo con te quando tu dici la povertà educativa è strettamente correlata alla povertà economica che naturalmente non è la povertà economica dei bambini o degli adolescenti che poco centrano, ma è legata alla fragilità economica di alcune famiglie che in Italia sono tante, perché poi la povertà tra i bambini e una povertà con numeri allucinanti. L’Istat ci ricorda che sono 1.200.000 i bambini in povertà assoluta e quasi due milioni i bambini in povertà relativa. Quindi noi abbiamo bambini che vengono da famiglie che non possono garantire loro l’ora di sport a settimana, un corso di musica, la visita di un teatro, di un museo, che sono tutte attività correlate che arricchiscono o comunque fanno nascere dei desideri nei bambini. Che cosa voglio fare da grande? Che cosa voglio fare da grande si scopre anche avendo tante possibilità di capire che cosa ci abbiamo intorno. No? Altrimenti diventa complicato decidere del proprio destino. In più c’è un tema di opportunità. È chiaro che questi ragazzi hanno meno opportunità di altri perché poi le scuole superiori hanno un costo, l’università ha un costo e quindi anche i percorsi lavorativi futuri di questi ragazzi sono sostanzialmente compromessi. Che cosa si può fare? Si deve investire! come si dice le nozze con i fichi secchi non si fanno, e non si fanno soprattutto su queste materie. Noi purtroppo sono anni che diciamo dobbiamo investire sulla scuola, dobbiamo investire sull’educazione. In realtà i fondi sono sempre molto residuale, cioè esistono ma non sono sufficienti a quello scatto di cui abbiamo necessariamente bisogno. Io sono abbastanza fiduciosa sui fondi che il governo italiano ha ottenuto con il recovery fund, primo perché sono tantissimi ed è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un’Europa che non è più matrigna, ma anzi una mamma accogliente che dice: avete avuto un momento di difficoltà, vi aiuto con degli investimenti. Anche perché leggendo alcune bozze di destra, voi sapete che a fine aprile dovremmo presentare come governo italiano questo piano nazionale, sperando che ci venga approvato, in queste bozze che girano c’è un interesse a fornire i territori di strumenti. Penso al piano di asili nido e dell’infanzia che viene ribadito in tante bozze. Penso all’interesse, è la prima volta che lo leggo in documenti ufficiali, ma magari è ignoranza mia, all’interesse che c’è per gli istituti tecnici e professionali che non possono diventare dei parcheggi delle scuole superiori, ma hanno tutta la titolarità per diventare invece delle officine dei nuovi mestieri, delle scuole belle che vogliono essere frequentate, non che uno sceglie perché è la scelta residuale. Noi dobbiamo immaginare anche una forte alleanza tra scuola e chi, con il mondo della scuola, non c’entra niente, perché poi i ragazzi sono il nostro futuro. Noi lo diciamo sempre, ma sono un futuro che interessa tutti, anche me che non faccio l’insegnante, quindi o c’è nella società civile un sentimento, una vera e propria alleanza di paese, di società civile che dice è arrivato il momento di investire veramente su questo settore, riproponendo anche un patto educativo forte tra la scuola e le famiglie, com’era un po’ negli anni ‘70, quando arrivavano i decreti delegati e i genitori erano protagonisti di questa nuova scuola che si affacciava. Io lo ricordo, i genitori stavano dentro la scuola con i consigli d’istituto, uscivano i primi decreti delegati. Insomma, c’era una partecipazione vera, perché si capiva che la scuola era utile al ragazzo, per carità di dio, ma era utile anche alla famiglia. Sperare in quel figlio dottore, come dice un famoso cantante, no? Perché la scuola veniva interpretata come ascensore sociale. Quindi da una parte i fondi, perché alcune infrastrutture servono, ma servono anche i sostegni alle famiglie, perché anche nella richiesta di libri, di ausili scolastici, di aiuti economici per poter permettere ai ragazzi che hanno meno possibilità di fare le gite, di frequentare un doposcuola, ci vuole un investimento vero, un investimento sulle famiglie, sulle infrastrutture e poi ci vuole però un’alleanza culturale nella società civile che porti un po’ tutti ad appoggiare una scelta di governo che noi dobbiamo far sentire sempre più importante, sempre più forte, perché su questo settore ci sia un’attenzione particolare”.
Stefano Bernardini: “Certo, certo bene. Sei stata veramente esaustiva e quindi io personalmente ti ringrazio. Ti ringrazia il progetto #Liberailfuturo e i partner del progetto. Mi auguro di poterti incontrare non a distanza, prossimamente in una serie di attività che faremo con il progetto #Liberailfuturo e conoscerti, come dire di persona, stringerti la mano”.
Erica Battaglia: “Beh, magari in una comunità educante, vengo volentieri!”.
Stefano Bernardini: “Va bene, va bene noi del progetto #Liberailfuturo in questo momento la stiamo immaginando smart, anche a distanza, online. Abbiamo fatto diversi incontri e al prossimo ti inviteremo volentieri”.
Erica Battaglia: “Va bene. Buona serata, grazie infinite”.
Stefano Bernardini: “Ciao, buona serata”.
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