Tornano le interviste di #LiberailFuturo: parliamo con la Dottoressa Chiara Saraceno

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Chi è Chiara Saraceno? La presentiamo in questa intervista realizzata dal responsabile della comunicazione del progetto Stefano Bernardini.

Chiara Saraceno è stata professoressa ordinaria di sociologia della famiglia all’università  di Torino e professoressa di ricerca all’istituto di ricerca sociale di Berlino (WZB), del quale dal 2011 è professoressa emerita. Attualmente è “Honorary Fellow” al Collegio Carlo Alberto di Torino. Nel 1999 – 2001 ha presieduto la Commissione sulla povertà e l’esclusione sociale, di cui aveva fatto parte per diversi anni. La Dottoressa Chiara Saraceno attualmente presiede il Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza.

Clicca qui e scopri l’intervista video.


Oltre che di povertà si è occupata e si occupa ancora di formazione della famiglia, rapporti di genere e generazione, condizione minorile e politiche sociali. Tra le sue pubblicazioni recenti, Sociologia della Famiglia (con Manuela Naldini) edizioni Il Mulino 2021, Poverty in Italy (con D. Benassi e E. Morlicchio), edizioni Policy Press 2020; e ancora il saggio Il Welfare edizioni Il Mulino 2020, Mamme e papà, edizioni Il Mulino. In prossima uscita, Advanced handbook on family policies scritto in collaborazione con Edward Ekgar.

L’intervista

CHIARA SARACENO: Ciao Stefano, grazie a lei per l’invito.

STEFANO BERNARDINI: Allora Dottoressa, con la pandemia la tecnologia è stata fondamentale per il sistema didattico a distanza. Internet dovrebbe essere una grande risorsa per la scuola ora. Crede tuttavia che abbia rallentato in qualche modo l’apprendimento dei ragazzi? Vede dei pericoli in tema di povertà educativa dovuti a questo nuovo “sistema scolastico”?

CHIARA SARACENO: Innanzitutto se non fosse stata possibile fare della didattica a distanza la situazione sarebbe stata ancora più drammatica. Perché quest’ultima ha consentito di mantenere, più o meno efficacemente, grazie ad Internet e alla tecnologia, un certo rapporto con la scuola. Per la maggioranza, ahimè non per tutti, al di là della volontà di partecipare, c’era anche il problema della connessione che in Italia non arriva proprio ovunque; tanto che il 10% non ha ricevuto proprio nulla per mancanza di strumenti e connessione.

La questione è che non si era attrezzati, né la scuola, né i bambini/ragazzi e né gli insegnanti. Molti sono arrivati totalmente impreparati e questo ha portato a non essere autonomi sia in attrezzatura tecnologica che in connessione; molte famiglie d’altronde non avevano un proprio abbonamento, né spesso i soldi per attivarlo. Tutti noi sappiamo che ci sono stati ragazzini che dovevano fare didattica a distanza con il cellulare e i “giga” dei genitori, che non sono sufficienti ovviamente. Solo chi era realmente attrezzato ha potuto usufruire del sistema. Da considerare anche il problema degli spazi in casa. Un conto è avere la propria camera e il proprio strumento, un conto è farlo in una sala condivisa con tutta la famiglia in ambienti poco silenziosi.

I bambini e i ragazzi non sono arrivati in pari condizioni ad affrontare questo nuovo sistema didattico. Già prima non lo erano affatto e questa situazione ha accentuato la disparità ancora di più. Durante il lockdown molti genitori hanno aumentato il sostegno verso i loro figli, in termini di aiuti nell’apprendimento scolastico. Tra questi però ovviamente i genitori più istruiti.

La didattica a distanza ha aumentato le disuguaglianze. Non dimentichiamo che l’Istat, poco prima dello scoppio della crisi, aveva rivelato che il 40 % di minorenni italiani vive in condizioni sovraffollate. E allora non stupisce che ci siano stati molti abbandoni durante o subito dopo il lockdown. Studenti che non si sono più presentati anche dopo con il ritorno a scuola. Tanti sono stati i bambini delle medie che hanno iniziato il primo anno in lockdown con la didattica a distanza e non hanno conosciuto i compagni e le maestre.

Poi lo stesso problema è stato affrontato il secondo anno. Mi chiedo: che cosa ha voluto dire per questi ragazzi?! In generale nel processo di crescita e nello stimolo di apprendimento importante è anche la fiducia nell’insegnante, come d’altronde lo è la consuetudine con i propri compagni.

Io oltre ad essere co-fondatrice dell’Alleanza per l’Infanzia, faccio parte anche della sovra-rete Educazioni e ricordo benissimo che nel secondo lockdown avevamo chiesto se fosse stato possibile, laddove le condizioni familiari erano complicate, che i ragazzi potessero andare in aree protette fuori casa, in piccoli gruppi e accompagnati da un adulto che potesse appoggiarli e seguirli. Ma non è stato possibile. Sui minorenni c’è stata una forte sottovalutazione non solo sul piano scolastico. Se penso che era riconosciuto uscire per comprare le sigarette, ma non per portare a passeggiare un bambino o comprargli le matite colorate, è davvero straziante! Un’assenza di percezione di quello che voleva dire per i bambini: essere messi improvvisamente in queste condizioni.

STEFANO BERNARDINI: Quale legame si crea tra divari educativi e mancato sviluppo dei territori?

CHIARA SARACENO: I divari educativi non sono solo divari di apprendimenti formali, che pure sono importanti, ma sono anche i divari nello sviluppo delle capacità. Cioè la povertà educativa non riguarda solo il fatto che so leggere o scrivere, più o meno bene; ma anche non ricevere sufficienti sviluppi alle proprie capacità sia cognitive che relazionali, quindi mancata autostima e fiducia in se stessi e nelle propri capacità. Dunque la relazione è con il capitale umano ma anche sociale.

Chi soffre di povertà educativa non è che vale di meno come umano, come persona, però sicuramente ha potuto sviluppare meno le proprie capacità quindi può farsi valere meno come persona, come lavoratore, cittadino, come competente che può articolare i propri bisogni e interagire con gli altri.

Nella misura in cui un paese non è in grado di contrastare la povertà educativa, che può derivare dal nascere e appartenere ad una famiglia meno fortunata, e dal puto di vista delle risorse però non è colpa loro, dovrebbe essere un compito fondamentale della scuola e dei processi educativi, quello di livellare il campo e di mettere tutti in condizione non tanto di fare la propria corsa ed entrare in competizione, ma di sviluppare a pieno le proprie capacità.

Il famoso articolo 3 della Costituzione Italiana: “il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli nello sviluppo della propria persona” riguarda i minorenni innanzitutto prima che gli adulti. Poi riguarda anche i territori perché laddove la povertà educativa è più diffusa, il tasso di abbandono scolastico precoce è più diffuso. Hanno meno capitale umano e quindi meno capitale sociale e di conseguenza hanno meno risorse nello sviluppo.

STEFANO BERNARDINI: L’impatto della povertà educativa e la differenza tra il centro e la periferia.

CHIARA SARACENO: Centro e periferia mi fa pensare subito ad una definizione spaziale in termini geografici. E noi sappiamo che non tutte le periferie sono povere e non tutti i centri sono abitati dai ricchi. Non è così in tutte le città, ma in molte anche il centro è povero. La contrapposizione tra centro e periferia ha più a che fare con l’essere più o meno lontani, o viceversa vicini, sia all’insieme delle risorse qualitative come servizi, ospedali, trasporti che funzionano; sia la possibilità di accedere ad una serie di attività e territori in cui ci siano centri decisionali e siano visibili. E’ facile far finta di non vederle e di scaricare su di esse problemi (mi riferisco alle periferie). Allora in quel caso oltre al distanziamento fisico c’è proprio un distanziamento sociale di “invisibilità sociale” e mancanza di riconoscimento. Però chi abita nelle periferie del centro, nei luoghi invisibili del centro, può anche soffrire proprio del fatto di essere quasi contiguo alla ricchezza. Questo confronto può certamente irritare e anche far sentire un senso di assoluta squalificazione.

STEFANO BERNARDINI: Esiste un divario tra nord e sud Italia in tema di problematiche relative alla povertà educativa?

CHIARA SARACENO : Ahimè, questo divario è un fatto strutturale del nostro Paese, cioè un divario tra nord e sud Italia sia in termini economici, sia di risorse di capitale sociale. Nel caso della povertà educativa c’è una responsabilità non solo locale ma anche Nazionale.

Il Mezzogiorno per esempio, dove c’è più povertà, non solo in termini economici, ma anche povertà minorile, è meno dotato in termini di strutture educative rispetto al resto del Paese. Non ci sono gli asilo nido in alcuni paesi, che pure sono necessari per i bambini, non solo come strumento di conciliazione per i genitori che lavorano, ma come strumento di contrasto alla povertà educativa che va operato dall’inizio, da quando sono piccolissimi.

Nel Mezzogiorno ci sono ancora le scuole d’infanzia a tempo parziale, e ciò significa che non hanno la mensa che è importante per il momento di condivisione e convivialità, ma anche importante laddove c’è povertà oltre che per il fatto educativo. Infine non c’è tempo pieno: è pressochè assente nella scuola primaria nel Mezzogiorno. Franco Lorenzoni, un grande maestro pedagogista, dice sempre che se noi confrontiamo i bambini che possono frequentare la scuola a tempo pieno e gli altri che non ce l’hanno, i secondi soffrono in qualche modo di povertà educativa.

Perché dico questo?! Per far riflettere che la povertà educativa non è determinata solo dal contesto familiare per le scarse capacità economiche, ma è dovuta anche dalle politiche pubbliche e dai politici locali che non si preoccupano perché non ci sono richieste da parte della popolazione. La mia risposta a questo problema è che gli enti politici, maggiormente quelli locali, devono occuparsi di garantire lo stesso livello di istruzione a tutti ed hanno la responsabilità di preoccuparsi per i bambini e per il loro percorso di crescita.

Laddove c’è più povertà, come nel caso di alcune parti del Mezzogiorno, purtroppo ci sono meno risorse e in qualche modo le politiche pubbliche invece di contrastare le povertà, le rafforzano senza prendere mai dei provvedimenti per debellarle.

STEFANO BERNARDINI: Dottoressa Saraceno, grazie ancora per la sua disponibilità, è stata molto gentile e grazie per il confronto su questa tematica che ci tocca tanto. Le porto i saluti di Annamaria Berardi e di Arciragazzi Roma che promuovono questo progetto.

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