Non solo cronaca: spunti per una riflessione sui bambini e le bambine maltrattati e sui loro genitori

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Elena, Loris, Giovanna, Samuele ….un lungo elenco di nomi che ci fa rabbrividire e gridare di indignazione, rabbia e dolore.

L’uccisione di queste bambine e questi bambini per mano di chi dovrebbe amarli e proteggerli dai pericoli – circa 480 dal 2004, più di uno al mese, dicono i media – ci sollecitano emozioni profonde e un irrefrenabile  bisogno di vendetta – sia pure forse attraverso il sistema giudiziario del nostro Paese – per non sentirci complici di queste donne e di questi uomini, adulti come noi,  che da datori di cure sono diventati datori di morte .

Al supermercato, al bar, nei luoghi di lavoro, in questi giorni si commentano le notizie tragiche che conosciamo. Unanime è la condanna, uno solo l’interrogativo: com’è possibile? C’è chi addirittura non ne riesce proprio a parlare perché il solo pensiero che una madre abbia ammazzato il proprio figlio è impensabile. Lo è, infatti.

Ma da adulti, da comunità educante, dobbiamo sforzarci di pensare l’impensabile e domandarci cosa ci sia nel profondo di quella mamma o di quel papà che ha commesso un gesto così contro natura. Soprattutto quali segnali lo hanno preceduto e quanti sono i bambini che oggi vivono nel maltrattamento senza essere uccisi fisicamente.

I Dati del maltrattamento

Come riportato dalla II^ Indagine Nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia, realizzata da Terres des homes e CISMAI per l’Autorità Garante per l’Infanzia nel 2021 in Italia ci sono più di 77.493 minorenni sono vittime di maltrattamento.

La forma di maltrattamento principale è rappresentata dalla patologia delle cure (incuria, discuria e ipercura) di cui è vittima il 40,7% dei minorenni in carico ai Servizi Sociali, seguita dalla violenza assistita (32,4%), dal maltrattamento psicologico (14,1%), maltrattamento fisi­co (9,6%), abuso sessuale (3,5%).

Dinanzi a questi dati, i punti di domanda sono: perché come comunità adulta siamo così pronti a scandalizzarci, ma nella quotidianità chiudiamo gli occhi, le orecchie, il cuore alle richieste di aiuto esplicite o mute che tanti bambini e bambini, ma anche tante madri vulnerabili, formulano davanti ai nostri occhi? Perché preferiamo per i nostri figli amicizie più rassicuranti? Perché non siamo disposti ad aprire la porta alla solitudine, alla sofferenza e forse anche alla angoscia?

 

Le domande degli operatori sociali

Come comunità professionale ci chiediamo, invece, come rispondiamo alle richieste di aiuto delle donne, giovanissime o mature, per le quali la gravidanza non è sempre un dono, ma piuttosto una fatica, a volte l’esito di una violenza, altre la riattivazione di traumi passati; a quelle madri che vivono in situazioni di sopraffazione, sole, isolate, intimidite, a volte anche molto povere; a quelle spaventate dalla malattia. Donne che non hanno nessuno con cui condividere le emozioni, ma anche le preoccupazioni della gravidanza, della nascita e della crescita. Donne a cui tutti chiedono di essere delle moderne wonder woman – perché una madre non può sentirsi stanca – ma il cui punto di vista è sistematicamente ignorato o sottovalutato da un sistema socio-sanitario da anni al collasso che si rimpalla competenze e responsabilità creando sacche di vuoto assoluto proprio nelle fasi più delicate dell’esperienza genitoriale.

L’Home visiting

Legami Nutrienti fa proprie queste riflessioni e punta esattamente alla cura dei legami…quelli che spezzano la solitudine, che aprono le porte, che riaccendono le speranze, i talenti ed i sogni. E prova a farlo attraverso un dispositivo di prossimità: l’home visiting. Le ricerche internazionali insegnano che l’home visiting applicato nei primi 3 anni di vita del bambino rappresenta un programma specifico di prevenzione del maltrattamento. La donna madre che si ritrova in una relazione in cui è accolta, vista, rispecchiata può scoprirsi competente, sostenere le preoccupazioni e i pesi della crescita di un figlio, può avere fiducia nel chiedere e ricevere aiuto.

Il filo conduttore di tutto sono i legami nutrienti, quelli professionali tra madre ed operatrice, quelli informali tra donne, quelli in un sistema di servizi che si ridefinisce comunità di cura.

È possibile, costa poco, rende molto. Heckman ci ha spiegato che un dollaro speso in prevenzione ne vale 7 spesi in emergenza, mentre Bowlby ci ha indicato la strada: “Se vogliamo proteggere i bambini, dobbiamo prenderci cura delle loro madri”.

Questo deve essere il punto di partenza per continuare a scandalizzarci dei bambini ammazzati per mano dei loro genitori e contemporaneamente per aiutare tutti quelli, tanti, che continuano a vivere nella violenza con le loro madri.

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L’articolo è a cura di Marianna Giordano, responsabile del progetto “Legami Nutrienti”.

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