Evan, le botte e la necessità della prevenzione precoce

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Riportiamo di seguito integralmente uno spunto di riflessione molto interessante, a cura di Ornella Esposito, sulla vicenda del piccolo Evan Lo Piccolo, apparso il 16 settembre scorso sul blog Coi Bambini dell’Huffingot Post.

Ancora una volta la parola d’ordine è: prevenzione.

“In queste settimane la notizia agghiacciante della morte per percosse del piccolo Evan sta scuotendo l’Italia intera, come accadde poco più di un anno fa per Giuseppe, il bambino di Cardito, provincia di Napoli, anche lui ammazzato di botte dal compagno della madre.

Due tragedie annunciate che con facilità fanno intuire l’esistenza di una fetta di infanzia gravemente esposta al rischio di maltrattamento e invisibile agli occhi dell’opinione pubblica perché, per fortuna, non colpita da esiti tragici come è stato per Evan e Giuseppe. Ma il maltrattamento più o meno visibile di tanti bambini è in sé agghiacciante? La risposta è sì.

Ritornando alle vicende di Evan e Giuseppe, seppur con le rispettive differenze, balzano all’occhio alcuni aspetti comuni a entrambe che devono spingerci a spunti di riflessione e di azione.

 

Le madri e la loro “ambiguità”

Sapevano e tacevano? Sono complici? Queste le domande a cui la magistratura darà una risposta. Ma provando a mantenere la barra dritta sulla cum-prensione profonda, e non sul giudizio, Letizia e Valentina, le due mamme, sono giovani, con alle spalle precedenti convivenze fallite e con accanto nuovi partner evidentemente violenti.

Da quale contesto familiare provengono? Con molta probabilità da uno molto disfunzionale, non efficacemente raggiunto dai servizi di tutela infantile. Sono state due bambine maltrattate? Se così fosse, al netto delle loro responsabilità genitoriali, il modello familiare violento potrebbe essere la loro “normalità”? È possibile che la violenza dei loro partner le abbia paralizzate rendendole inabili alla difesa dei loro figli?

La rete familiare esistente ma non sufficientemente tutelante.

Sullo sfondo restano le famiglie di origine dei genitori dei due bambini che dalle sommarie ricostruzioni giornalistiche pare non vedano i segni delle violenze: “nostra figlia non ci aveva detto niente”, si scherniscono. Se le due mamme si sono isolate, non raccontando alle loro famiglie quanto accadeva, queste, di contro, non si mai sforzate di comprendere i motivi della loro lontananza. Se fossero famiglie disfunzionali, la loro cecità sarebbe coerente con tale profilo.

I servizi socio-sanitari-educativi.

Evan e Giuseppe sono entrati nelle maglie della rete formale, pare, anch’essa cieca. Ferme restando le responsabilità istituzionali, è possibile domandarsi se quegli operatori sono adeguatamente formati a riconoscere i segnali del maltrattamento e in numero sufficiente secondo la popolazione? Se sono giustamente sostenuti e protetti dalle loro organizzazioni nel delicato compito della tutela infantile o, come sovente accade, abbandonati a se stessi? Se hanno occasioni di condivisione, supervisione e integrazione multiprofessionale?

Tutte domande che convergono verso un’evidenza: sono necessari programmi di prevenzione precoce al maltrattamento che contemplino un set di azioni che vanno dalla costruzione di un modello di intervento integrato tra i servizi, alla formazione e supervisione degli operatori, passando per l’offerta di “luoghi” di aiuto qualificato, anche non tradizionali, per le famiglie vulnerabili come lo può essere l’home visiting, intervento innovativo in Italia.

Ed è proprio ciò che intende fare a Napoli il progetto “Legami Nutrienti” selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo contrasto alla povertà educativa minorile: intercettare precocemente il disagio, soprattutto dei giovani genitori, e interrompere così la catena intergenerazionale del maltrattamento offrendo ai datori di cura, a forte rischio di povertà educativa, un accompagnamento nel loro percorso genitoriale.

Certo, vivremmo nel paese delle meraviglie se pensassimo che con questo tipo di progetti si potesse eradicare il fenomeno del maltrattamento infantile, ma ridurlo di molto sicuramente contribuendo a rendere l’Italia un paese civile, se per civiltà si intende, parafrasando Ghandi, il modo in cui una comunità si occupa dei suoi bambini”.

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