Tra le cime delle Orobie con i ragazzi del penale minorile

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La montagna offre l’opportunità di vivere esperienze che aiutano a conoscere realtà diverse, persone nuove e un nuovo modo di vivere, e magari aiutano ad assumere un nuovo sguardo su sé stessi e a osservarsi in un contesto mai sperimentato prima, scoprendo risorse e qualità che non si pensava di possedere.
È ciò che è accaduto a dieci ragazzi provenienti dal milanese e dalla Brianza che hanno commesso reati da minorenni e si trovano ora a riparare il danno commesso: alcuni di loro hanno storie familiari disgregate e provengono da quartieri difficili della periferia milanese, e per mancanza di alternative e di progetti concreti sul futuro sono scivolati in situazioni di illegalità; c’è chi invece una famiglia solida ce l’ha ma si è lasciato tentare da un momento di leggerezza, di cui adesso paga le conseguenze, o da compagnie devianti, dalle quali dopo il reato è riuscito a prendere le distanze.
La maggior parte dei ragazzi sono in messa alla prova, ovvero un istituto innovativo del diritto penale, che prevede la sospensione del processo penale e l’affidamento del ragazzo ai Servizi Sociali, che preparano il progetto di messa alla prova (che può durare anche due anni) considerando le risorse personali, familiari e ambientali del minore; l’obiettivo non è tanto punire ma è quello di rieducare e recuperare il ragazzo senza danneggiare ulteriormente la sua crescita e senza lasciargli uno stigma che può comprometterne il percorso di vita. Qualcun altro invece è agli arresti domiciliari e questa esperienza in montagna ha costituito un momento assai prezioso per sperimentare nuove relazioni e conoscere un mondo diverso oltre le mure di casa.
Per questi dieci ragazzi – divisi in due gruppi da cinque ragazzi ciascuno – è stata organizzata dal partner Consorzio Comunità Brianza l’esperienza di cinque giorni sulle Orobie, alla scoperta di luoghi maestosi e spesso sconosciuti ai ragazzi, i più dei quali non si sono mai confrontati con la dimensione della montagna e con la fatica ed essenzialità che essa richiede.
A partire dal 1 luglio e fino al 12 luglio i due gruppi si sono alternati al Rifugio Alben, gestito dall’associazione La Cordillera, che sostiene con i proventi dell’attività missioni in Sud America; anche la sezione di Bergamo del Club Alpino Italiano ha dato un contributo essenziale all’esperienza, fornendo le proprie competenze e la propria disponibilità; Dario Nisoli, Presidente del CAI Bergamo, ha affiancato le figure educative di Consorzio Comunità Brianza e ha accompagnato i due gruppi nelle escursioni nel massiccio dell’Alben; nel corso delle due settimane, anche i volontari del CAI Serina e della Commissione Sentieri hanno proposto attività, accompagnando i ragazzi alla scoperta dei sentieri dell’Alben e ripristinando la segnaletica dei sentieri attorno al Rifugio. Con i volontari dell’associazione Testimoni di Resistenza di Cornalba il gruppo ha ripercorso i tragici avvenimenti che il 25 novembre e il 1° dicembre 1944 hanno portato all’uccisione di quindici giovanissimi partigiani della brigata “XXIV Maggio” con base a Cornalba per mano del comandante Resmini e dei fascisti della Compagnia O.P. di Bergamo.
Le due settimane non prevedevano però solo escursioni: ai ragazzi era infatti richiesto di contribuire attivamente alla gestione della vita quotidiana del Rifugio che li ospitava, servendo la colazione e la cena, lavando le stoviglie e occupandosi della pulizia delle zone comuni come la sala da pranzo; al rientro da ciascuna escursione il gruppo si dedicava inoltre alla manutenzione del Rifugio; le attività proposte, talvolta molto faticose, rientravano nei “lavori socialmente utili” che nella maggior parte dei casi il Giudice dispone per i ragazzi autori di reato, e che consistono nello svolgere lavori che abbiano un impatto positivo sulla comunità per riparare al danno arrecato alla collettività dal reato commesso; i dieci ragazzi hanno spaccato legna per la stufa del Rifugio, pulito il pascolo sottostante dalle pietre e dagli arbusti per permettere agli animali di muoversi in sicurezza, rimosso i massi che ingombravano il sentiero che sale al Rifugio.
I ragazzi hanno compreso che i Rifugi sono strutture a disposizione di chi frequenta la montagna, luoghi per ripararsi e ristorarsi ma soprattutto spazi di condivisione e fraternità, e con il loro lavoro hanno contribuito al buon funzionamento di un patrimonio comune e al sostentamento di un’associazione di volontari che lavora non per arricchirsi ma per realizzare progetti sociali dall’altra parte del Mondo; con i racconti dei volontari de La Cordillera e del CAI e attraverso le foto dell’altopiano boliviano che arricchiscono le pareti della sala da pranzo del rifugio Alben, i dieci partecipanti hanno conosciuto una realtà molto distante da quella in cui sono immersi ogni giorno e nella quale il denaro, la fama e la visibilità sono i temi predominanti; una realtà spesso percorsa da una grande povertà sociale ma anche educativa, poiché molti ragazzi hanno abbandonato la frequenza scolastica e si trovano privati anche delle occasioni di scoperta del mondo e di sé che la scuola offre, come viaggi di istruzione, laboratori, attività sportive, che aiutano i giovani ad ampliare il loro orizzonti e a costruirsi come adulti responsabili ed equilibrati.
I momenti di lavoro proposti ai ragazzi che hanno partecipato alle settimane al rifugio Alben avevano l’obiettivo di mostrare loro che collaborare per un obiettivo comune e rispettare le regole di convivenza sono ingredienti imprescindibili per creare un ambiente sereno e stare bene insieme, e che il benessere del gruppo dipende dal contributo e della condotta di ciascuno. Nonostante le storie di devianza e di povertà educativa da cui molti dei ragazzi provenivano, tutti hanno deciso di rispettare le regole proposte e le due settimane sono trascorse senza intoppi fra trekking, falò sotto le stelle, osservazione di camosci, stupore per i paesaggi e momenti di confronto e condivisione.
La bellezza della montagna e il soggiorno in Rifugio – che per quasi tutti i ragazzi era una novità, basti pensare che nessuno di loro aveva mai assaggiato un piatto di pizzoccheri e non sapevano nemmeno cosa fossero! – hanno sicuramente contribuito a creare un clima di scambio e collaborazione: il primo giorno G. di quindici anni, dopo essere arrivato tra i primi al Rifugio, è ridisceso insieme al rifugista per portare una bottiglia d’acqua e alleggerire dal peso dello zaino chi era più lento e si era attardato sul sentiero. Molti di loro si sono stupiti di poter sopportare sforzi fisici impegnativi e si sono sentiti appagati dalle salite: con grande stupore degli educatori, tutti i componenti del gruppo della seconda settimana si sono presentati sulla porta del rifugio prima del sorgere del sole per salire al Passo della Forca ad ammirare l’alba, e molti dei ragazzi hanno riferito che proprio questa salita, nel freddo della mattina e con poche ore di sonno alle spalle, è stata quella che hanno apprezzato di più. S., diciannove anni, poco sotto la Cima dell’Alben ha videochiamato la madre mostrandole il sentiero e spiegandole con voce emozionata e soddisfatta che aveva quasi dovuto arrampicare per arrivare lì.
Questa esperienza, dura e fuori dall’ordinario per i ragazzi che hanno partecipato, ha mostrato loro che con fatica e coraggio si possono affrontare le salite che la vita pone sul cammino di ciascuno e ha ricordato agli adulti che «non esistono ragazzi cattivi», come sottolinea sempre anche don Claudio Burgio, ma esistono solo ragazzi fragili che hanno attorno pochi riferimenti positivi.

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