Tor Pignattara, tra stereotipi e realtà

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È difficile parlare di Tor Pignattara senza servirsi di narrazioni abusate, nelle quali il quartiere può essere descritto o come la periferia abbandonata e pericolosa, abitata da orde di immigrati indisciplinati, o come il variopinto quartiere multietnico, con le strade colorate di murales e le vie inebriate da profumi di spezie e cucine dal mondo. Ovviamente la realtà si discosta dall’una e dall’altra narrazione, entrambe troppo viziate dalle finalità di condannare o salvare una realtà complessa e in continuo divenire.

Proviamo quindi a partire dal principio, e dipingere un quadro che non pretende di essere esaustivo ma tenta di evitare le facili definizioni.

Torpigna nasce poco più di cento anni fa, quando lungo la via Casilina iniziano a sorgere baracche e casette di fortuna che ospitano famiglie di braccianti, lavoratori a giornata e operai che concorrono alla crescita edilizia e economica di Roma. La maggioranza di loro proviene dalle regioni a Sud e a Est del Lazio, principalmente Molise, Abruzzo, Basilicata, Sicilia e Calabria, ma ci sono anche le famiglie di sfollati allontanati dai quartieri del centro per le opere di riqualificazione urbanistica della Roma fascista. All’edilizia spontanea si somma, nel corso degli anni ‘30, quella programmata, con interventi di costruzione di case popolari, rete fognaria, e dotazione di presidi civici atti a trasformare la borgata rurale in quartiere (caserma, scuola, servizi).

Nel corso dei decenni successivi, la crescita del quartiere procede costante, senza però raggiungere i livelli di urbanificazione intensa dei limitrofi quartieri Tuscolano e Prenestino, riuscendo a mantenere quell’atmosfera retrò tra città e campagna, tipica anche di altre periferie romane, che in qualche modo lo caratterizza anche adesso.

Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, il quartiere conosce un cambiamento antropologico importante: il processo di desertificazione dovuto all’invecchiamento della popolazione locale e all’abbandono da parte della popolazione giovane, si arresta a causa dell’arrivo di famiglie migranti. Quindi l’ex borgata rurale composta da famiglie del Sud d’Italia, si trasforma nel giro di un paio di decenni in quartiere multietnico, abitato soprattutto dalla comunità del Bangladesh e, a seguire, da persone di origine cinese, nordafricana, filippina, est-europea. 

 

Un angolo di Tor Pignattara
Un angolo di Tor Pignattara immortalato dal fotografo Luca Dammicco

I negozi lasciati vuoti dalle vecchie gestioni riaprono e ospitano le attività commerciali più facili da avviare per i nuovi residenti: negozi di casalinghi, alimentari, frutta e verdura, lavanderie. Le famiglie di origine migrante portano nel quartiere anche un’ulteriore bene precedentemente in esaurimento: la prole. Nel giro di pochi anni le scuole, in particolare la Pisacane, semi abbandonata e spopolata, si arricchiscono con la presenza di alunne e alunni provenienti da oltre 18 paesi diversi. 

Dunque se da un lato il mutamento antropologico ha comportato, nel corso degli anni, conflitti sociali tra vecchi e nuovi residenti e momenti di tensione razziali sfociati in episodi anche molto gravi (come l’omicidio di Muhammad Shahzad Khan nel settembre del 2014), dall’altro ha innegabilmente causato una rivalutazione del quartiere, non priva di contraddizioni. Infatti se per le famiglie di origine migranti gli affitti sono alti e le condizioni di locazione tutt’altro che normate e tutelate, la loro presenza ha causato una svalutazione degli immobili, già non di pregio, che ha facilitato l’arrivo negli ultimi anni di giovani coppie e famiglie che scelgono Tor Pignattara proprio per i prezzi abbordabili delle case e la relativa vicinanza al centro città. 

Si intuisce dunque quanto sia difficile raccontare il quartiere facendo ricorso a un solo registro narrativo, ne occorrono molteplici: Tor Pignattara rientra sicuramente nella definizione di periferia, non tanto per la sua lontananza dal centro di Roma, in effetti piuttosto relativa, quanto per la cronica mancanza di servizi pubblici e mezzi di collegamento. Non ci sono teatri né cinema, mancano le biblioteche, gli spazi verdi scarseggiano e perfino le piazze e gli spazi urbani destinati all’incontro sono pressoché inesistenti. Alla carenza di iniziative pubbliche e amministrative, si contrappone però una grande ricchezza di iniziative dal basso, sociali e civiche, dovute soprattutto alla numerosa presenza di associazioni di volontariato e del Terzo settore molto attive nella valorizzazione del quartiere e delle sue risorse. 

A fronte di condizioni socio-economiche piuttosto sfavorevoli, la ricchezza di Tor Pignattara si trova proprio nella diversità dei suoi abitanti, e nella capacità delle tante associazioni attive nel quartiere, molte della quali riunite dal progetto Galassia Torpigna, di valorizzare le numerose comunità linguistiche, culturali e religiose che convivono in un medesimo luogo.

Le due scuole principali del territorio (la Pisacane primaria e secondaria di primo grado per l’IC Salacone e la Deledda primaria e la Pavoni secondaria per l’IC Laparelli) offrono un luogo favorevole alla sperimentazione di inclusione e condivisione. La scuola infatti, pubblica e dell’obbligo, è il contesto privilegiato dove porre le basi per la sinergia tra le anime del quartiere; è l’ambiente nel quale le istituzioni scolastiche e territoriali, in collaborazione con le associazioni, possono costruire alleanze educative che facilitino l’accoglienza e la convivenza e siano in grado di superare eventuali resistenze e diffidenze, rendendo Tor Pignattara un quartiere sempre più consapevole del suo potenziale e della sua unicità.

(Serena Baldari)

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