#distantimavicini Cambiano i bisogni e cambiano le attività, ma UISP Sassari c’è!

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©Valentina Spanu per Save the Children

È mercoledì 4 marzo, il mese è iniziato da poco. Il tema dominante – sulla scena globale – è già da qualche settimana sulla bocca di tutti. Con i ragazzi di Futuro Prossimo siamo al Poliss (luogo in cui si svolgono alcune delle attività di progetto) alcuni di loro hanno finito di fare i compiti. Sono quasi le 17, l’ora in cui iniziano i laboratori pomeridiani. Stanno arrivando i più grandi, ci salutano. C’è chi lo fa con un semplice ciao, chi batte il bugno chiuso nel tipico saluto dei rapper.

Il laboratorio di oggi nasce da una nuova idea: una grande e ricca chiacchierata collettiva, che vuole porre le basi per la creazione di un tavolo di confronto tra operatori e ragazzi. Vorremmo che nel tempo si trasformasse in un salotto attivo di ideazione e realizzazione proposte, come fosse l’anticamera di un percorso di partecipazione attiva che aiuti i ragazzi a porsi come soggetti sempre più attivi rispetto a quanto facciamo qui e, più in generale, rispetto alla loro vita in questa città.

Sassari, città piccola ma viva. Sassari, che vive giorni di paura come tutta l’Italia del resto. La paura ha un nome. Ed anche tutte le malattie hanno un nome. Se fossimo in un cartone animato questo nome (corona) ci farebbe pensare a un re o a una regina. Ma siamo nella vita vera, quella reale, e la parola che si accompagna a corona è virus. Virus, idea che nella nostra mente ricrea un’immagine negativa che sublima in un’emozione chiara e confusa allo stesso tempo: la preoccupazione.

Iniziamo a parlare, emergono le prime interessanti osservazioni. Qualcuno si lancia in proposte brillanti trovando il sostegno di alcuni e incontrando la diffidenza di altri. Ogni tanto c’è chi salta fuori con una domanda che è sempre la stessa: “Ma domani si va a scuola o no”? La preoccupazione c’è, ma la voglia di fare un po’ di pausa dalle attività scolastiche è tanta che tanto poi “passerà subito” – pensano -, giusto il tempo di starcene un po’ a casa. La chiacchierata continua. Questi primi incontri sembrano funzionare, anche se oggi quel tema, onnipresente pressante e dominante, riesce a scavalcare i muri e si insinua nelle case e nelle camere dei ragazzi e nelle loro giovani menti. Nelle loro vite. Quando stiamo per salutarci qualcuno prende la parola per dire che no, domani non si andrà a scuola. Dice che ora è certo, lo ha detto Conte.

Non vediamo i ragazzi da quel mercoledì. Durante i primi giorni di emergenza alcuni operatori si sono ritrovati in sede UISP per predisporre un funzionale e significativo cambio di rotta rispetto alle attività programmate, incontro utile a capire come rimodulare secondo un nuovo approccio un progetto che fa della relazione e del confronto diretto un punto essenziale. Anche il concetto “a distanza” è qualcosa che può far paura. Fa paura a chi lavora con le persone. Fa paura perché la relazione è la base essenziale su cui costruire tutto il resto. E perché la relazione a cui si è abituati è vera, fatta di parole, di gesti, di sguardi.

Chiamiamoli tutti, ci siamo detti. Sentiamo come stanno, di cosa possono aver bisogno e cerchiamo di capire se ci sono emergenze da affrontare e superare, situazioni particolari cui possiamo far fronte in modo attivo. I due grandi obiettivi del nostro lavoro – oggi più che mai – sono due: il sostegno ai ragazzi e il sostegno alle loro famiglie. A cambiare è tutto il resto: le modalità, le priorità, i bisogni.

Un gruppo di operatori attivi dalle prime ore del mattino contatta una lista di circa dieci ragazzi per volta. Ci si chiede come va, come si passa il tempo, come sia l’umore. Una chiacchierata introduttiva che porta poi ad approfondire eventuali bisogni specifici. E così si scopre che alcune famiglie non riescono a pagare l’affitto, che ad altri manca la spesa, che non si riesce a fare i compiti a distanza perché mancano dispositivi adatti e traffico dati. Ci si concentra su tutti, ma si cerca di dare priorità alle situazioni più fragili. Nello scorrere dei giorni le risposte più attese dalle famiglie di Sassari, di Sardegna e d’Italia arrivano. Arrivano, e con loro arriva la spesa, i sostegni economici, i beni materiali imprescindibili in una fase di vita difficile che nessuno ha scelto di vivere ma che per alcuni, come la storia insegna, va sempre un po’ peggio che agli altri.

E cosa fare di non imprescindibile ma che sia comunque utile? Come essere vicini ai ragazzi in una prospettiva che somigli il più possibile alle dinamiche del contatto reale? Possiamo aiutarli a esprimersi e a dare più valore al loro tempo? Come possiamo farlo, ora che di tempo sembra ne avanzi sempre? I Punti Luce di Save the Children danno forma ad una iniziativa dal nome particolarmente esplicativo: distanti ma vicini. La trasformano in un hashtag. A Sassari quell’hashtag diventa un invito rivolto ai ragazzi. Chiediamo loro di raccontarsi, di farlo attraverso un disegno, una fotografia, frasi, una canzone. Gli operatori fanno lo stesso ma lo fanno attraverso video tutorial, cercando di dare ai loro contributi una valenza di carattere informativo. Proviamo a organizzare challenge più ludiche, sfide online di gaming a sfondo didattico, caccia al tesoro e quiz divertenti. I ragazzi rispondono, noi iniziamo a sentirli sempre più vicini. Finalmente iniziamo anche a sorridere.

Una mattina – difficile dire quale visto che tutte sembrano somigliarsi – una mamma parla con gli operatori di Futuro Prossimo al telefono. Le si chiede di cosa possa aver bisogno. La signora, che lontana da una condizione di serenità economica e familiare di richieste potrebbe forse averne tante, interrompe l’operatrice e dice: “Cosa posso fare io per voi? Vorrei anche io aiutare gli altri ragazzi e le loro famiglie. Se c’è qualcosa che posso fare, ditemelo”. Non sorridiamo stavolta, negli occhi c’è una sottile patina lucida che cerca di non trasformarsi in lacrima. A volte più ci sentiamo soli e più sentiamo il bisogno di spenderci per gli altri. È una scoperta, perché anche se lo abbiamo sempre saputo le parole di quella mamma ce lo insegnano una volta per tutte.

Una riflessione importante in tal senso ci arriva da Davide, uno degli allievi del laboratorio musicale. Qualche giorno fa Davide ci ha scritto: “Quella che state facendo è una cosa molto altruista. Sarebbe bello se tutti fossero più altruisti in generale, non solo con gli aiuti materiali. Bisognerebbe sempre dedicarci a quello che ci piace ma cercando di trovare un equilibrio tra quello che possiamo fare per noi e quello che possiamo fare per gli altri”. Davide lo abbiamo già ringraziato al telefono, ma vorremmo ripeterci ancora perché sentirsi vicini è soprattutto questo. E un grazie va anche a Mame, giovane studentessa senegalese da qualche anno a Sassari che ci scrive una frase sintetica quanto profonda: “Quello che state facendo per noi non lo dimenticherò mai”.

Un affermato pedagogista di fama nazionale, in un articolo pubblicato di recente su una rivista che tratta tematiche educative e sociali affermava che l’atto di educare, nella maggior parte dei casi, passa attraverso un’azione inconsapevole. Non educhiamo quando poniamo regole o quando decidiamo consapevolmente di farlo, educhiamo molto più spesso con quello che diciamo e facciamo in modo indiretto, quando il filtro dell’autocontrollo e della consapevolezza è più basso. A volte succede che i ruoli s’invertano quando si lavora con le persone, forse capita più spesso se quelle persone sono giovani. Capita che attraverso la relazione che s’instaura con loro ti arrivi in faccia una restituzione emotiva fortissima, in grado di farti riflettere, emozionarti e in alcuni casi anche di cambiarti. Quando succede, è come se i ragazzi senza saperlo ci stessero educando. È un’altra scoperta, una delle tante che in un periodo come questo forse abbiamo la fortuna di vivere più profondamente e con un trasporto maggiore. #distantimavicini ragazzi: con voi non solo non ci sentiamo mai soli, ma abbiamo anche il privilegio di scoprirvi e si scoprirci un po’ speciali.

Articolo a cura di Pasquale Posadinu, di Uisp Sassari

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