Asinitas: quando sostenere significa far percepire la propria vicinanza di anima e di pensiero.

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Asinitas Onlus nell’ambito di progetto DOORS porta avanti azioni di mediazione interculturale, quali: percorsi di formazione insegnanti sui temi della società multiculturale e plurilingue, laboratori di didattica integrata nelle scuole, attività di supporto e sostegno, in particolare corsi di lingua italiana L2 e corsi di alfabetizzazione informatica. In seguito alla pubblicazione del DPCM dell’11 marzo 2020 in merito al contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, le attività di Asinitas si sono adeguate a nuove condizioni di vita. Abbiamo chiesto alle loro operatrici (Mona, Behts, Mitul, Federica, Laura, Alessandra e Cecilia), coinvolte direttamente o a titolo personale, in diversi progetti di pedagogia e mediazione interculturale, come riescono a sostenere le donne della comunità, che non possono più ritrovarsi nei presidi territoriali, ma che possono continuare ad apprendere dall’esperienza quotidiana. Perchè, come scrive Carl Rogers, “ogni apprendimento non può che essere automotivato e basato sull’esperienza”.

I: Quali criticità state affrontando in questo momento come operatrici e mediatrici? Come riuscite a lavorare e stare vicini alla vostra comunità?
Asinitas: Spesso nel lavoro sociale e di cura si è molto impegnati ad offrire un ottimo servizio alle famiglie, senza pensare alla nostra condizione come operatrici. Noi, mediatrici interculturali, in questo periodo di emergenza, siamo e ci sentiamo nella stessa situazione complicata in cui si trovano le mamme e famiglie che seguiamo quotidianamente: abbiamo case piccole, non abbiamo Wi-Fi per svolgere con maggiore facilità il nostro lavoro e a questo si aggiunge la difficoltà di gestione del tempo tra casa, figli e impegni lavorativi.

Questa situazione da un lato ci rende un po’ più vicine alle famiglie di cui ci occupiamo e dall’altro è piuttosto difficile da gestire. Cerchiamo, però, di trovare delle strategie di collaborazione reciproca e soprattutto di sostenerci all’interno del nostro gruppo di lavoro. Nonostante l’emergenza, il nostro lavoro continua e in qualche misura è aumentato dal momento che i vari punti di riferimento istituzionali e non istituzionali che le famiglie si erano costruiti nel tempo sono, almeno nel primo periodo, venuti meno: associazioni, parrocchie, servizi sociali, amicizie.

Abbiamo proseguito il nostro lavoro intensificando e consolidando i contatti attraverso colloqui telefonici con i servizi del territorio: ospedali, consultori familiari, servizi sociali e la rete dal basso di aiuto che si è creata in questo periodo. Abbiano sentito la necessità di creare i gruppi whatsapp, tradurre i vari comunicati anche per iscritto e fare video messaggi per rassicurare e dimostrare vicinanza alle nostre comunità.

Le procedure della mediazione sono diventate più articolate. Ad esempio, la mediazione dal medico richiede gli stessi passaggi, ma i tempi degli interventi si sono allungati e non c’è l’immediatezza e la rassicurazione emotiva che offre la presenza fisica. Ci troviamo a sostenere le famiglie nel loro disorientamento causato dal non potersi spostare: appuntamenti medici annullati, l’impossibilità ad accedere ai servizi sociali, donne in gravidanza che hanno paura di andare in ospedale nonostante abbiano un’urgenza, famiglie che non comprendono i vari avvisi pubblici e che non riescono a utilizzare le piattaforme di didattica on-line indicate dalle scuole dei figli. Molto spesso sono famiglie che non parlano bene la lingua italiana, famiglie numerose che non possiedono un computer e che hanno come unico mezzo di comunicazione, con l’esterno, il cellulare di uno dei genitori.

La mediazione è trasversale a tutte le nostre attività messe in campo. L’incontro è un dialogo, che insieme alla ricerca attiva di una rete, cerca di soddisfare le varie richieste. Il telefono squilla tutto il giorno: ascoltiamo voci di donne che esprimono paure, angosce e preoccupazione per la perdita del lavoro del marito, per le nuove difficoltà economiche, per la fatica della convivenza in case piccolissime; ma raccontano anche le novità e le scoperte: la pazienza, il conoscere meglio chi gli sta accanto, il comprendere meglio il valore della scuola dei figli, della scuola di italiano e il tempo che il marito dedica al lavoro. Ci si confronta e nella condivisione ci si saluta un po’ più alleggerite.

Sentiamo che stiamo crescendo a livello professionale. Stiamo scoprendo nuove possibilità, nuove reti di supporto, affrontando direttamente situazioni che prima passavano per altri canali e tutto ciò rafforza le nostre competenze, sia come mediatrici interculturali che come operatrici sociali.

I: Come state portando avanti le altre azioni a sostegno alla genitorialità, in particolare la scuola di italiano per donne e madri? Cosa è cambiato?
Asinitas: In seguito allo stato di emergenza, abbiamo ripreso il nostro corso di italiano per madri di bambini stranieri on-line a partire dalla creazione di un gruppo WhatsApp di classe, per poter riallacciare legami e contatti. Ci siamo rese conto che era di primaria importanza far sentire loro la nostra presenza, seppur a distanza. Abbiamo cercato, quindi, di ricreare l’atmosfera della classe all’interno del gruppo. Per facilitare le dinamiche on-line, molto diverse rispetto a quelle in presenza, abbiamo suddiviso le donne in 3 micro gruppi basati su: nazionalità, amicizie instaurate, il livello di comprensione della lingua e la partecipazione. Abbiamo chiesto loro di scaricare sul cellulare l’app Zoom, per potersi rivedere tutte insieme, attraverso le videochiamate.

Al di là del momento iniziale di smarrimento, ci siamo subito messe all’opera per raggiungere quante più studentesse possibili: per continuare a praticare la relazione educativa e di cura che contraddistingue il metodo che utilizziamo di solito nelle classi in presenza. Farlo on-line, a distanza, senza poter incrociare gli sguardi, osservare i volti e i corpi, è decisamente più faticoso, ma sta funzionando perché siamo convinte che “sostenere” significhi anche solo far percepire la propria vicinanza di anima e di pensiero. Con il Covid-19 sono molte le dinamiche che sono cambiate: una scuola a distanza non potrà mai essere paragonabile ad una in presenza. A nostro favore gioca, ancora una volta, la cura delle relazioni che abbiamo sempre cercato di mettere al primo posto nel nostro modo di pensare e fare scuola.

I: In riferimento alle forme di mediazione e pedagogia interculturale da voi attivate in questo momento “a distanza”, in che modo la vostra presenza sta interagendo nel sostenere le fragilità sociali? Quali problematiche ed emergenze state riscontrando nelle famiglia della vostra comunità?
Asinitas: Il nostro ruolo di supporto, in questo momento, consiste essenzialmente nell’ascolto, il più possibile attento, delle esigenze e problematiche delle donne e delle loro famiglie. Cerchiamo di far fronte a questi problemi inizialmente raccogliendo le richieste e offrendo soluzioni di sostegno per quanto riguarda la lingua; ad esempio, spiegando o orientando le studentesse nella compilazione di moduli e richieste al comune (come i buoni spesa). Fin da subito, abbiamo capito che la disponibilità degli strumenti digitali delle studentesse del corso di italiano era, non di rado, veramente limitata: un problema che si ripercuote anche sulla possibilità dei bambini di seguire lezioni e percorsi didattici on-line. Abbiamo, quindi, cercato di rintracciare le studentesse che avevano questa problematica, supportandole sia nello svolgimento dei compiti dei figli, sia nell’ottenere un tablet o un PC attraverso donazioni da enti del terzo settore o le scuole di appartenenza.

I: Cosa significa per voi educare all’intercultura? Perché oggi più che mai è importante occuparsi di rigenerazione sociale?
Asinitas: Abbiamo sempre inteso l’educazione interculturale come un processo culturale, dando valore prioritariamente alla “relazione tra le persone”, piuttosto che alla diversità culturale. Da quando è iniziata l’emergenza, ci siamo attivati per trasportare su un piano virtuale i legami e il senso di comunità, per continuare a stare accanto alle persone. Le relazioni, la capacità di resilienza, pilastri del nostro metodo, sono ancor più importanti in un momento come questo. La nostra esperienza in contesti marginali, ha allenato la nostra capacità di ascolto: le nostre “orecchie d’asino” sono più che mai drizzate, attente a recepire richieste di aiuto e segni di fragilità, ma anche il bisogno di socialità, di rassicurazione, di esprimere, trasformare e condividere ansie e paure. Questo momento di crisi rappresenta un’occasione per ampliare il nostro spazio d’azione: insieme, italiani e stranieri, affrontiamo la stessa sfida. Oggi possiamo davvero costruire una comunità multiculturale inclusiva e solidale, anche se a distanza e con molta fatica. Far parte di reti significative come quella del progetto Doors ci dà forza, stimoli e voglia di perseverare. Non vediamo l’ora di riabbracciarci.

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